Inchiesta

Una tassa sul “junk food”?

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Tax food: ripercussioni sull’industria alimentare italiana

Daniele Rossi, Direttore Generale di Federalimentare

“Una tax food, anche se limitata alle sole bevande analcoliche e ai superalcolici – dichiara Daniele Rossi, Direttore Generale di Federalimentare – sarebbe un colpo gravissimo per l’industria alimentare italiana, tra l’altro già impegnata sin dal 2005 nella riformulazione dei propri prodotti e pronta a sottoscrivere, lo scorso dicembre, un ulteriore protocollo con il Ministero della Salute riguardo gli interventi da compiere per la riduzione di sali, grassi e zuccheri negli alimenti. Un repentino e improvviso cambio di passo dei vertici del Ministero ha impedito di sottoscrivere questo nuovo accordo, al quale è stato preferito un approccio proibizionista e repressivo fondato sulla leva fiscale e finalizzato al reperimento delle risorse mancanti per la sottoscrizione del Patto della Salute del prossimo triennio con le Regioni. Mentre il mondo dei nutrizionisti invita a non giudicare di per sé un cibo come buono o cattivo ma a privilegiare piuttosto, insieme a una abituale attività fisica, un rapporto equilibrato tra i diversi alimenti nel proprio regime, si pensa invece ad apporre un marchio di infamia su alcuni prodotti, compromettendone immagine e consumo e frustrando gli sforzi dell’industria nell’innovazione. Intaccando potenzialmente anche parte del nostro Made in Italy che difficilmente potrà essere esportato se colpito da una simile tassa”. “Nell’ultimo quinquennio – prosegue Rossi – i consumi alimentari sono calati di otto punti percentuale in termini reali; solo i trasporti – dove l’incidenza dei costi è maggiore – hanno perso di più registrando un calo dell’11,8%. Il potere d’acquisto delle famiglie è sempre più ridotto a causa di un inasprimento fiscale già particolarmente oneroso che sta deprimendo i consumi. Una tassa del genere, nella malaugurata ipotesi in cui venisse introdotta, porterebbe a un’ulteriore contrazione dei consumi provocando fino a ottomila esuberi nel settore, con una flessione di 400 milioni di PIL. Alla fin fine, un ben magro risultato per le casse pubbliche”. La tassa proposta dal ministro Balduzzi, secondo molti osservatori, andrebbe inoltre a colpire la fascia più indigente della popolazione. A questa osservazione Rossi risponde osservando che, “una misura fiscale come quella annunciata è ingiusta e iniqua, perché andrebbe a toccare quelle famiglie per le quali le spese alimentari sono ancora parte significativa del proprio bilancio. Famiglie che sono sempre più in difficoltà. Come recentemente reso noto dal Ministro dell’Agricoltura Mario Catania, nel 2011 sono saliti a 3,3 milioni gli indigenti che in Italia hanno chiesto un pacco alimentare o un pasto ai canali no profit che gestiscono la ridistribuzione delle eccedenze alimentari. Nel 2010 erano 2,7 milioni. Pensiamo ad aiutare queste persone, anche attraverso il nuovo fondo nazionale per gli indigenti istituito con il decreto sviluppo, non ad appesantire ancora di più il carrello della spesa con tasse inutili”. Circa le politiche che andrebbero intraprese dal Ministero della Salute allo scopo di indirizzare i cittadini a una alimentazione sana e corretta, Daniele Rossi sottolinea che “Federalimentare è al fianco delle istituzioni, in particolare con i programmi Scuola e cibo e Guadagnare salute per promuovere un corretto stile di vita, dove l’educazione alimentare e l’attività fisica hanno un ruolo imprescindibile. Queste iniziative sono rivolte ai giovani e soprattutto alle famiglie, dove si formano le abitudini alimentari di ciascuno di noi. Potenziamo, estendiamo, moltiplichiamo queste occasioni di comunicazione, mettendo insieme le forze e abbandonando contrapposizioni ideologiche. Solo così si raggiungerà l’obiettivo, non certo con le tasse che mettono all’indice cibo e bevande. Su questo Federalimentare è nettamente contraria”.

Educazione alimentare

Andrea Ghiselli, Dirigente di Ricerca presso l’Inran

“Dal punto di vista politico – dichiara Andrea Ghiselli, Dirigente di Ricerca presso l’Inran – non esprimo giudizi che non ritengo di mia competenza, ma dal punto di vista nutrizionale e soprattutto educativo non lo trovo adeguato perché non possiamo definire gli alimenti cattivi o buoni. Infatti gli alimenti sono tutti i buoni, è il loro uso se mai che li può rendere cattivi o buoni e non esiste ragione per cui debbano essere tassati perché peggiori degli altri; se mai dovrebbero esserci degli alimenti privilegiati come la frutta e la verdura, sulle quali dovrebbero essere applicate agevolazioni”. Come emerge da recenti dati forniti da Federalimentare, pur nel perdurare della crisi, l’export del settore alimentare continua a trainare l’intero comparto a riprova della riconosciuta eccellenza del cibo Made in Italy. Partendo da questo assunto, non suona quanto meno fuorviante la sola definizione di junk food? Il problema non riguarda invece il quantitativo di cibo assunto giornalmente? “Certamente sì”, risponde Ghiselli, che prosegue “serve infatti una corretta educazione alimentare che riesca a informare la gente sul fatto che non ci sono alimenti sì e alimenti no, cioè alimenti che fanno sempre bene e altri sempre male, ma uno stile di vita sano o meno sano. E’ ovvio che in una società sempre più sedentaria, che è costretta ad abbassare sempre di più il numero di calorie necessarie per la copertura del fabbisogno, c’è poco spazio per inserire alimenti che sono ricchi di calorie ma poveri di altri nutrienti. Ma proprio per questo noi dobbiamo insegnare alla popolazione che se si conduce uno stile di vita adeguato, ci possiamo togliere tutti gli sfizi che vogliamo senza farci del male, ricordandoci che mangiare è un atto di piacere, non di privazione. Il problema di quello che viene definito junk food è che apporta tante calorie, spesso “vuote”, cioè con pochi nutrienti (vitamine, minerali, etc.). Se quindi una persona ha un fabbisogno bassissimo, ha difficoltà a fare il pieno di tutti i nutrienti necessari senza esagerare con le calorie; in questo senso, bisogna stare attenti”. Ma è vero quanto si dice che questo tipo di tassa andrebbe a colpire soprattutto le fasce di popolazione più povere, cioè persone che già hanno un’alimentazione poco equilibrata con un rischio sempre maggiore di obesità? “Ma l’obesità – osserva Ghiselli – colpisce prevalentemente le fasce economiche più depresse. Questa osservazione però può essere interpretata in due modi, e cioè che si tratta di una tassa che interferisce sulle già precarie finanze di chi è in una fascia debole di popolazione, quella cioè in cui maggiormente si instaura il problema dell’obesità. Dall’altra parte, può essere che proprio nelle fasce più deboli, che sono quelle più colpite dall’obesità, alzare il prezzo di alcuni alimenti potrebbe disincentivarne il consumo. Dubito che sia la seconda ipotesi quella vera, ma che prevalga la prima, cioè che il consumatore non rinuncia al junk food ma compera se mai prodotti di qualità inferiore”. Prescindendo dalle considerazioni di carattere etico, esistono però dei cibi/bevande di cui si potrebbe benissimo fare a meno. “Qualsiasi alimento non è indispensabile – chiarisce Ghiselli – ma ogni alimento è necessario. Anche un alimento ottimo come il latte è indispensabile per il lattante, ma poi se ne può fare anche a meno, come si può pure fare a meno della carne, etc. E’ vero che la tendenza attuale (al cinema, davanti alla TV, durante gli spostamenti) è quella di sgranocchiare sempre qualcosa. Ma è l’atteggiamento a essere sbagliato, non l’alimento”. Per contenere questo fenomeno forse il Ministero della Salute e quello dell’istruzione potrebbero impegnarsi di più? “Ci sono delle iniziative in questo senso – ricorda Andrea Ghiselli – che attraverso il Comitato Scuola e Cibo stanno procedendo molto bene. Inoltre si sta facendo della ottima educazione alimentare nelle scuole; non abbiamo ancora raggiunto dei risultati considerevoli perché bisogna ricordare che questo progetto è in piedi da pochi anni e, fino a poco tempo fa, l’educazione alimentare nelle scuole era materia che riguardava solo la buona volontà di alcuni insegnanti, senza alcun coordinamento però a livello centrale. Si trattava quindi di iniziative spot in quanto alcuni insegnanti illuminati se ne occupavano ma, in mancanza come ho detto di un coordinamento da parte di una struttura pubblica, non tutte queste iniziative andavano per il giusto verso, a differenza di quanto avviene oggi e sono convinto che presto cominceremo a raccogliere i primi frutti”.