Dichiarazione di conformità, una responsabilità di filiera

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“Dichiarazione madre” e “dichiarazione di partita”

Con l’avvio del rapporto di fornitura si emette una dichiarazione madre di idoneità al contatto con prodotti alimentari (raccomandata con avviso di ricevimento o fax con ricevuta di trasmissione, messaggio di posta elettronica con notifica di lettura). Indicativamente, non essendo precisati nella legge i termini di scadenza, si consiglia di conservare le dichiarazioni per almeno 5 anni dalla data della prima consegna del materiale o oggetto e con le stesse modalità la dichiarazione dovrà essere conservata dall’utilizzatore. La dichiarazione di partita (o del lotto) può essere interpretata come una dichiarazione sintetica che accompagnerà la partita. Anche i documenti di trasporto (DDT) possono assolvere a questa funzione. Dato che esiste una dichiarazione madre, non si ritiene che queste dichiarazioni debbano essere conservate al termine della consegna fisica, ma è opportuno che le dichiarazioni di partita riportino un esplicito riferimento alla dichiarazione ”madre”.

La catena della responsabilità

Dal produttore delle materie prime al distributore finale, ciascuno rilascia quindi la propria dichiarazione di conformità allo step successivo: qualsiasi commerciante o grossista si innesti tra le categorie indicate deve sempre a sua volta ricevere la dichiarazione e rilasciarla nei confronti del proprio cliente. Quanto sia diversa la propria dichiarazione di conformità dipende dal tipo di lavorazione: se si tratta solo di un commerciante o grossista è chiaro che non aggiungendo nulla al processo produttivo, non farà altro che trasferire le informazioni dal fornitore al proprio cliente. “Ciononostante lo fa sotto la propria responsabilità”, precisa, “quindi in questo caso interviene la valutazione del fornitore che ha prodotto il bene, che è molto importante perché chiaramente il commerciante non ha la possibilità di controllare o verificare”.  Ma chi deve rilasciare o firmare la dichiarazione di conformità? Secondo il Regolamento 1935 chi si deve occupare della dichiarazione di conformità è l’operatore economico, detto anche business operator, e si intende la persona fisica o giuridica responsabile di garantire rispetto delle disposizioni del regolamenti stesso nell’impresa posta al suo controllo. “È chiaro”, precisa Aldrigo, “che non sempre l’AD – soprattutto di grosse società – può firmare tutte le dichiarazioni, quindi delegherà una persona, o una società o un laboratorio, a farlo al suo posto”.

Dal produttore delle materie prime al distributore finale, ciascuno rilascia quindi la propria dichiarazione di conformità allo step successivo

 

Emissioni e scadenze

Ogni quanto si emette la dichiarazione? La risposta è che “non esiste una scadenza anche se deve essere pattuita tra le parti, ma per logica”, precisa Aldrigo, “la dichiarazione si emette quando ci sono modifiche significative di composizione e delle caratteristiche delle materie prime impiegate, quando ci sono cambiamenti significativi del processo produttivo, oppure quando sono cambiati i riferimenti legislativi in vigore. Nelle linee guida redatte in Istituto”, aggiunge, “è stato ritenuto opportuno che vi sia una revisione annuale: emetterla di nuovo con la data aggiornata indica anche che si presta la giusta attenzione a un documento fondamentale”.

La documentazione di supporto

La dimostrazione di conformità porta alla realizzazione di documentazione di supporto. Generalmente, infatti, la dichiarazione si basa anche su prove di laboratorio che possono essere allegate, ma vi sono anche altre informazioni che potrebbero far parte della documentazione di supporto. “Per esempio”, spiega Aldrigo, “la composizione completa con lista degli eventuali additivi utilizzati (inclusi inchiostri, adesivi, sostanze soggette a restrizione); la shelf life del materiale (tempo massimo ammissibile per il mantenimento delle caratteristiche qualitative di sicurezza), le dichiarazioni di conformità dei fornitori, la disponibilità di certificazioni di prodotto/processo (se esistenti), eventuali allerta o informazioni da RASFF e da altre fonti (FDA, FSA, BFR) su tossicologia e/o esposizione e infine lo storico dei risultati analitici su tipologie di materiali simili”.

Il caso di carta e cartone, attenzione alla terminologia

In primo luogo è bene ricordare che per distinguere le differenti casistiche, il legislatore usa una modalità di classificazione che non deve portare fraitendimenti, in quanto parla di alimenti per i quali sono previste prove di migrazione per indicare alimenti secchi, e alimenti per i quali sono previste prove di migrazione per indicare alimenti non secchi. Una distinzione che serve solo a classificare gli alimenti estrattivi (quindi umidi) e quelli non estrattivi (quindi secchi) e non indica le prove analitiche che devono essere effettuate sulla carta (infatti, per la stessa natura di carte e cartoni, non si effettua la determinazione della migrazione globale). Nel caso specifico, il riferimento normativo è il DM 21/3 1973 che stabilisce quindi (art. 27) i costituenti per gli alimenti umidi (almeno il 75% di materie fibrose, al massimo il 10% di sostanze di carica e al massimo il 15% di sostanze ausiliarie), e per gli imballaggi per alimenti secchi (almeno il 60% di materie fibrose, al massimo il 25% di sostanze di carica, al massimo il 15% di sostanze ausiliarie). Riguardo invece i contenitori formati da cartoni multistrati, il decreto stabilisce una grammatura minima di 200 g/m2 e che siano costituiti da almeno tre strati di cui uno strato detto copertura, che può essere patinato e stampato, uno strato intermedio detto centro, uno strato detto retro, destinato al contatto diretto con l’alimento (art. 27 bis).

Chiara Italia