Trattamenti “sottozero”, quali problemi per la qualità delle carni

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La pratica di raffreddare le carni per prolungarne la conservabilità è stata praticata per migliaia di anni, sebbene la maggior parte dei miglioramenti nelle tecnologie di congelamento si siano verificati nel secolo scorso. A causa dell’espansione dei mercati globali, con maggiori necessità di lunghi trasporti, questa tecnologia viene sempre più utilizzata. Il congelamento può essere effettuato con metodi rapidi o ultrarapidi, e in tal caso si parla di surgelazione. Le carni surgelate quindi hanno subito un veloce raffreddamento, tale da portare la temperatura al cuore a valori uguali o inferiori a -18°C in tempi relativamente brevi. La somministrazione del freddo può essere effettuata tramite tunnel ad aria fredda a circolazione forzata, oppure immergendo la carne in liquidi incongelabili come l’azoto, pratica usata soprattutto per pollame e tagli anatomici di piccole dimensioni. I tempi, a seconda del metodo e delle pezzature, variano dalle 6 alle 30 ore. Le carni congelate possono essere commercializzate tal quali o previo scongelamento, che deve avvenire tramite rialzo termico portando il prodotto a temperature positive non superiori ai 4°C. Le carni così scongelate non possono essere ricongelate. I surgelati sono normati dal Decreto Legge n.110 del 27 gennaio 1992 (attuazione della direttiva 89/108/CEE in materia di alimenti surgelati destinati all’alimentazione umana), che integra e modifica la legge 27.1.1968, n.32 “Norme per la vendita al pubblico degli alimenti surgelati”. Il surgelato è definito all’art.2 con due requisiti: il primo si riferisce al modo di produzione e alla temperatura di -18°C, il secondo alle modalità di commercializzazione. All’art.4 è fissato il limite massimo di temperatura a -18°C e la tolleranza di temperature superiori con un massimo di 3°C di fluttuazione per esigenze di trasporto, distribuzione e commercializzazione. Nonostante gli innegabili vantaggi dei trattamenti “sottozero” nel settore delle carni, le conseguenze del congelamento e dello scongelamento sulla qualità della carne rimangono un problema significativo. Il congelamento e lo scongelamento influenzano soprattutto la frazione di acqua presente nella carne (> del 75%, variabile a seconda della specie e del taglio anatomico), che passa dallo stato liquido allo stato solido, con formazione di cristalli di ghiaccio i quali danneggiano le strutture cellulari della carne. I cambiamenti nell’ambiente circostante le fibre muscolari influenzano le caratteristiche della membrana cellulare, e questo a sua volta influisce sulla qualità della carne. La comprensione dei cambiamenti che il congelamento e lo scongelamento provocano in diversi tipi di carne e tagli anatomici è essenziale per l’industria della carne, essendo l’obiettivo principale l’ottenimento di prodotti di qualità elevata e con elevate rese. La qualità della carne è determinata da aspetto, consistenza, odore, sapore, colore, carica microbica e valore nutritivo. La componente aromatica deriva sia dai componenti lipidici che dai componenti proteici. Questi parametri sono influenzati a loro volta dal congelamento, e successivo scongelamento. Un parametro molto importante che influisce sulla qualità della carne è la velocità di congelamento e scongelamento. Tali operazioni modificano sia il contenuto che la distribuzione dell’acqua nella carne. L’acqua nella carne può essere valutata in vari modi, per es. misurando la water holding capacity (WHC), il contenuto totale di umidità, la perdita d’acqua dopo lo scongelamento oppure la perdita dopo cottura. Tuttavia, dato che raramente tali metodi sono fissati da norme internazionale, è spesso difficile confrontare scientificamente i diversi metodi di congelamento e scongelamento, oppure trarre conclusioni da studi in letteratura che hanno impiegato diversi metodi per tali scopi. La perdita di umidità della carne post mortem è inevitabile a causa della diminuzione del pH (più vicino al pH isoelettrico delle proteine), della perdita di adenosina trifosfato (ATP), e dagli effetti sterici dovuti all’accorciamento delle miofibrille. Tutti questi fattori provocano il rilascio di acqua che era stata precedentemente immobilizzata e legata dalle proteine negli spazi intrafibrillari. L’acqua viene poi ridistribuita negli spazi sarcoplasmatici ed extracellulari. Il congelamento e lo scongelamento sono noti per la loro capacità provocare perdita di essudato da parte della carne, poiché contribuiscono alla diminuzione della sua capacità di trattenere l’acqua. È stato rilevato che la perdita in capacità di trattenere l’acqua è legata alla rottura della struttura delle fibre muscolari, così come la modifica e la denaturazione delle proteine. La temperatura finale a cui vengono conservate le carni dopo lo scongelamento determina la quantità di acqua scongelata che rimane disponibile per le reazioni chimiche. Alcuni studi hanno dimostrato che le reazioni biochimiche potrebbero avvenire anche in carni congelate a temperature superiori a -20°C, pertanto la temperatura ottimale per la congelazione delle carni dovrebbe essere inferiore ai -40°C, in quanto solo una percentuale molto piccola di acqua è libera a temperature così basse; raggiungere e mantenere tali temperature comporterebbe però costi energetici eccessivi. Altro fattore da tenere in considerazione è il fatto che il congelamento della quasi totalità dell’acqua provoca un aumento della concentrazione dei soluti intracellulari ed extracellulari, che si ritiene essere la ragione per la reattività chimica residua durante la conservazione sotto zero. I cristalli di ghiaccio, a seconda delle loro dimensioni e della posizione, possono rompere le cellule muscolari, con conseguente rilascio di enzimi mitocondriali e lisosomiali nel sarcoplasma. La frazione di acqua non congelata è importante anche in termini di ossidazione, in quanto le reazioni chimiche che possono verificarsi durante la congelazione possono avviare ossidazioni lipidiche primarie (perossidazione) nella carne. Questo può portare a ossidazioni radicaliche secondarie dei lipidi dopo lo scongelamento con conseguenti cambiamenti negativi di colore, odore, sapore e salubrità. La qualità dei prodotti secondari di ossidazione lipidica è generalmente misurata usando il metodo dell’acido tiobarbiturico determinando le sostanze TBARS (thiobarbituric acid reactive substances). Questi prodotti secondari causano il rilascio di sostanze dall’odore pungente e dal sapore sgradevole. Un recente studio in merito ha rilevato che le sostanze TBARS in carni fresche erano significativamente più basse rispetto a carni conservate per 90 giorni a -20°C: queste osservazioni indicano che la congelazione non è necessariamente sufficiente per impedire che si verifichino fenomeni ossidativi. Gli effetti del congelamento/ scongelamento si hanno anche sulla variazione del colore, altro fattore importante che determina la scelta del consumatore.