Metodi molecolari per il riconoscimento di specie animali

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L’incessante spinta alla produzione di alimenti a basso costo, dovuta ad un minor potere di acquisto dei consumatori, può indurre alcuni produttori a mettere sul mercato prodotti che sono dichiarati in etichetta come derivanti da una certa specie animale, quando in realtà ne contengono altre di minor pregio e quindi di minor costo. Basti pensare ai numerosi scandali riguardanti mozzarelle di bufala nelle quali di latte di bufala ve ne é ben poco, o pesce che dopo essere stato trasformato (e quindi reso irriconoscibile) passa da una specie a un’altra più pregiata, o carni separate meccanicamente che anziché essere di puro suino vengono “diluite” con specie dal minor costo di mercato. Tali procedure rappresentano frodi vere e proprie, non solo ai danni dei consumatori ingannati ma anche degli altri produttori alimentari, che operano in modo onesto sobbarcandosi maggiori costi per l’approvvigionamento di materie prime. Vi sono poi casi particolari, riguardanti per esempio alcune comunità religiose, per le quali la presenza non dichiarata di una certa specie animale “proibita” assume una gravità che va oltre la frode alimentare. I soggetti potenzialmente interessati ad applicare metodi analitici in grado di accertare la specie di provenienza di un certo prodotto o di una certa materia prima sono vari: le autorità competenti in materia di sicurezza alimentare e antifrode, ma anche vari protagonisti della filiera alimentare quali i clienti che acquistano materie prime da trasformare e ne vogliono accertare la conformità a quanto pattuito, o le catene Gdo che debbono garantire adeguati standard qualitativi dei loro prodotti a marchio.

Metodi basati sul riconoscimento proteico

Fino a tempi relativamente recenti, i metodi scientifici in grado di accertare la specie di provenienza di una certa materia prima erano pochi, complessi e costosi. I metodi tradizionali sono di tipo immunologico, elettroforetico o cromatografico. Tali metodi si basano tutti sull’analisi delle proteine, che però sono poco resistenti al calore: la denaturazione proteica rende difficile l’interpretazione di risultati ottenuti con prodotti sottoposti a trattamenti termici, fatto assai frequente per molti prodotti a base di carne e pesce, o lattiero-caseari. Come ricordato precedentemente una frode molto comune è la produzione di mozzarelle di bufala con aggiunta di latte di altre specie meno pregiate, ma spacciate come 100% bufala. Vari anni fa è stata messa a punto la metodica di “focalizzazione isoelettrica” (IEF) delle caseine, trattate con plasmina su gel di poliacrilammide (1): tale metodo dà reazione positiva in presenza di latte bovino, anche in di tracce. La valutazione viene eseguita sui profili di γ3 γ2 caseina per confronto del profilo del campione con quelli ottenuti sullo stesso gel da standard di riferimento contenenti rispettivamente lo 0 e l’1% di latte vaccino. È possibile che la caseina del latte vaccino venga degradata durante la conservazione/stagionatura del prodotto, e per questo motivo non sia più rilevabile con l’opportuna sensibilità dopo lunghi periodi di maturazione del prodotto. Altri metodi per l’identificazione di specie del latte si basano sull’analisi della frazione proteica e quindi sulla ricerca di frazioni omologhe di proteine sia per quanto riguarda la frazione caseinica sia quella siero-proteica. Ι principi analitici si fondano sul riconoscimento delle λs1 caseine tramite elettroforesi per verificare l’origine e la natura delle stesse, basandosi sulla diversa mobilità elettroforetica di proteine omologhe dei latti delle diverse specie. Tali differenze sono dovute a sostituzioni amminoacidiche determinate da variazioni di natura genetica. I metodi di ricerca basati sull’analisi delle caseine risultano più affidabili di quelli che considerano le sole proteine del siero: le caseine infatti risultano particolarmente stabili al calore mentre le proteine del siero risultano più facilmente denaturabili e perciò più difficilmente rilevabili in caso di energici trattamenti termici per il risanamento del latte o per la produzione di formaggio e ricotta. Tali analisi sono tutte caratterizzate da una certa variabilità dei risultati, sia tra laboratori che anche all’interno di uno stesso laboratorio, poiché possono essere commessi errori sistematici, non sempre facili da individuare. Uno dei più frequenti è la non accuratezza della concentrazione dello standard di riferimento. Accuratezza e sensibilità maggiori sono offerte dai saggi immunoenzimatici. Tra i più conosciuti vi è l’ELISA (Enzyme-Linked Immuno-Sorbent Assay): si tratta di un versatile metodo di analisi in grado di rilevare la presenza di una sostanza anche in tracce facendola reagire con anticorpi specifici per la sostanza stessa; tali anticorpi sono legati ad un enzima in grado di catalizzare una reazione “visibile” che permette così di determinare la positività o negatività del test. Oltre a trovare grande impiego in diagnostica clinica, i test ELISA possono essere applicati al settore alimentare proprio per il riconoscimento di specie, grazie all’esistenza di proteine tipiche e diverse da specie a specie. Pur essendo le proteine denaturate dal calore, esistono saggi ELISA applicabili ad alimenti carnei cotti (2). È addirittura possibile non solo stabilire da che specie animale proviene il prodotto, ma anche da che tessuto in particolare (per es. muscoli oppure frattaglie). Con opportuni metodi è possibile eseguire l’analisi anche su matrici alimentari complesse, contenenti molti altri tipi di proteine per es. da latte, uova, soia, etc. Anche la presenza di vari additivi è stata valutata come non influente. Come limite di sensibilità del saggio ELISA utilizzato per applicazioni alimentari, viene in genere considerato l’1%: il test è cioè in grado di rilevare la presenza della specie “proibita” (per esempio suino) se in quantità dell’1% o superiore. Queste ed altre tecniche analitiche che richiedono tempo e abilità dell’analista non sono adatte al controllo on-line in un’industria di trasformazione, ad esempio nell’area ricevimento merci. Può risultare invece importante, per alcune materie prime, fare un saggio di verifica sulla specie dalla quale deriva il prodotto che stiamo per introdurre nel nostro processo produttivo. Recentemente esistono sul mercato kit in grado di fornire un risultato di screening positivo o negativo per la presenza di proteine di suino, sfruttando l’interazione antigene-anticorpo (immunoglobuline G ovvero IgG) in appena 15 minuti. I risultati sono stati convalidati da repliche di test multipli in cui sono stati aggiunti campioni di agnello e pollo a carne di maiale a diverse concentrazioni. I risultati ottenuti dalle soluzioni di prova contenenti 0,05% di carne di maiale sono rimasti stabili nel tempo. La sensibilità (ovvero la più bassa concentrazione misurabile) è dello 0,05% per la carne cruda e dello 0,5% per le carni trasformate, a seconda della matrice. È quindi possibile eseguire il test anche su prodotti a base di carne cotta, seppure con una sensibilità minore dovuta alla denaturazione proteica causata dal calore. La semplicità di utilizzo permette l’uso anche da parte di utenti meno esperti.

Metodi basati sul riconoscimento genetico

Esistono poi metodiche ancora più raffinate ed attendibili, che si basano sullo studio del materiale genetico (per esempio DNA) tipico di ogni specie: tali metodiche erano inizialmente molto complesse e costose, ma hanno fatto passi da gigante in breve tempo e oggigiorno sono più rapide ed economiche anche di vari metodi basati sul riconoscimento proteico. Inoltre il DNA presenta il vantaggio, rispetto alle proteine, di essere molto più stabile, resistente al calore e a molti agenti chimici, tanto da poter rimanere ben conservato anche per numerosi anni (per esempio utilizzo in medicina legale). La tecnica che ha posto solide fondamenta alla biologia molecolare, permettendo di raggiungere risultati fino a poco prima insperabili anche nel settore delle analisi degli alimenti, è la PCR (Polymerase Chain Reaction). Questa tecnica ha elevatissima sensibilità e permette di lavorare anche su quantità minime di materiale genetico, poiché è in grado di amplificarlo generando un numero elevato di copie di una specifica sequenza genetica, tipica di una certa specie animale, vegetale o microbica. La PCR fu ideata da Kary Mullis alla metà degli anni ’80; le prime applicazioni richiedevano accurati e laboriosi trattamenti del campione e lunghi tempi di risposta, mentre attualmente la PCR real time permette di avere risultati pressoché immediati grazie all’eliminazione di gran parte delle manipolazioni successive all’amplificazione, che rappresentano tra l’altro potenziali fonti di errore e alterazione dei risultati. La PCR è considerata un metodo essenzialmente qualitativo, cioè in grado di dire se una certa specie è presente nel prodotto, seppure in percentuale minima, oppure no. È in grado di rilevare quantità che possono essere presenti per contaminazione accidentale o crociata: tale elevatissima sensibilità può paradossalmente costituire un limite in certi casi, poiché la contaminazione potrebbe non essere responsabilità del produttore ma derivare dalle varie operazioni eseguite durante la filiera da altre aziende, dall’allevamento alla macellazione, passando per il trasporto e lo stoccaggio. L’evoluzione della PCR permette oggi una drastica riduzione sia dei tempi di esecuzione dell’analisi che del materiale consumato, utilizzando un solo strumento ed eliminando completamente l’impiego di reagenti radioattivi o tossici. L’introduzione della PCR real time ha permesso non solo di mantenere spiccate caratteristiche di sensibilità, ma garantisce anche decisivi miglioramenti in termini di specificità, precisione e ampiezza dell’intervallo di quantificazione del campione incognito.

Applicazione ad un caso reale

Un esempio dell’utilità dei metodi analitici appena esposti può essere la determinazione delle specie animali presenti nelle preparazioni di carne utilizzate come ripieno da un’azienda che produce tortellini. Se tale azienda si rivolge anche a clientela che richiede prodotti Halal, dovrà accertarsi che la carne macinata ricevuta, oltre ad avere il certificato di macellazione in conformità al rito islamico, sia priva di qualsiasi traccia di suino, neppure derivante da contaminazione crociata accidentale (per esempio lotto di macinazione precedente). Due miliardi di potenziali consumatori nel mondo, un giro d’affari di 500 miliardi di euro, una crescita esponenziale del 140% dal 2005 a oggi: questi sono i numeri del mercato dei prodotti Halal (“lecito” in arabo): generi alimentari, mangimi, nutraceutici, farmaci e cosmetici prodotti e distribuiti seguendo le prescrizioni alimentari islamiche (3). È indispensabile garantire fiducia nell’autenticità dei prodotti alimentari per i mercati globali in cui è richiesta la certificazione Halal. La complessità insita all’interno della catena di approvvigionamento alimentare globale rende difficoltosa la certificazione della filiera, senza contare che esistono vari sistemi di certificazione a seconda del Paese verso cui si vuole esportare. Data questa situazione, disporre di metodi analitici semplici, rapidi e affidabili diventa molto utile, sia per testare le materie prime all’atto della ricezione, che per garantire la rispondenza del proprio prodotto alle specifiche richieste, per es. allegando allo stesso un rapporto di prova che certifichi la totale assenza di suino. L’esempio qui proposto è solo uno dei tanti casi in cui può essere necessaria la certezza della provenienza della specie in un determinato prodotto, semilavorato o materia prima.

Bibliografia

1-     Regolamento (CE) n. 213/2001 della Commissione, del 9 gennaio 2001, che stabilisce modalità d’applicazione del Regolamento (CE) n. 1255/1999 per quanto riguarda i metodi per le analisi e la valutazione qualitativa del latte e dei prodotti lattiero-caseari e modifica i Regolamenti (CE) n. 2771/1999 e (CE) n. 2799/1999

2-     Chen & Hsieh, 2000. Detection of Pork in Heat-Processed Meat Products by Monoclonal Antibody-Based ELISA. Journal of AOAC International, 83(1) 79-85

3-     Martino Pillitteri, www.ilsole24ore.com

 

Flavio Gibilras