I gioielli di famiglia

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Nello scorso mese di luglio l’Italia ha perso un altro pezzo della propria storia industriale e un altro prestigioso marchio del settore alimentare. La Pernigotti S.p.A. sorta nel 1860, un anno prima dell’unità d’Italia, leader nella produzione di gianduiotti, torrone e prepararti per gelateria, è stata acquisita dal Gruppo Sanset di Istanbul. Questo passaggio di aziende italiane a gruppi stranieri è un fenomeno che parte da lontano e al quale per molto tempo non è stata data l’importanza che, forse, avrebbe meritato. Il Paese sta perdendo competitività e dopo aver ceduto a multinazionali straniere, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, l’intera attività di comparti produttivi strategici come la chimica, la farmaceutica, l’elettronica, dei quali è sufficiente ricordare aziende come Montedison, divenuta poi Ausimont, Carlo Erba e Olivetti, oggi sta vendendo i gioielli di famiglia del Made in Italy, dell’alimentare e della moda. Nel passato, le cessioni sopra ricordate non hanno portato buoni frutti. Molte di queste aziende sono state chiuse e le lavorazioni sono state trasferite in altri Paesi, dove i costi di produzione sono inferiori, e le conseguenze negative della disoccupazione, a livelli mai visti prima, sono il prezzo che ancora dobbiamo pagare. Eppure, stiamo parlando di aziende che potevano contare su know-how di altissimo livello, che aveva portato, solo qualche decennio prima, al premio Nobel per la chimica, ricevuto dal Prof. Alessandro Natta nel 1963. Ritenere che le acquisizioni dei nostri marchi possano generare situazioni diverse da quelle del passato è un errore che la politica e il mondo imprenditoriale non devono commettere. Ragionare solamente sull’aspetto finanziario del momento, nel medio-lungo termine non solo non paga, ma porterà ad un ulteriore impoverimento, in termini competitivi, del Paese. Infatti, è molto probabile, se non sicuro, che i gruppi che acquisiscono le nostre aziende trasferiscano la parte decisionale, ricerca compresa, nei Paesi di origine dei gruppi stessi, lasciando sul nostro territorio solamente il lavoro, almeno sino a quando la convenienza economica lo consentirà. Oggi, il nostro Paese non è più attrattivo sul piano imprenditoriale come accadeva, invece, negli anni del boom economico, pertanto, gli investitori stranieri sono interessati alle nostre eccellenze industriali, piuttosto che a promuovere nuove attività produttive.  Se da un lato questo può sembrare, comunque, positivo sul piano occupazionale, magari per il prestigio dell’investitore, dall’altro non possiamo e non dobbiamo dimenticare che difficilmente questo consentirà crescita di innovazione per le nostre imprese, indispensabile per le sfide di oggi e di domani, che solo solidi investimenti in ricerca possono consentire. E’ necessario che l’imprenditoria nazionale possa ancora credere nel Paese, che le nostre eccellenze possano rimanere in Italia e, supportate da politiche industriali al passo con i tempi e da una ricerca che non sia la cenerentola d’Europa, possano garantirci un posto di primo piano tra i Paesi più industrializzati di oggi e di domani.