Università, tra ricerca di base e ricerca applicata

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La risposta dipende dalla domanda

Ma da chi parte l’idea di uno progetto di ricerca a livello universitario? E come vengono individuate le tematiche su cui si pensa ci sia il maggior interesse? Non esiste una risposta univoca, dipende dagli attori della ricerca e anche dal committente: «se la ricerca nasce con l’esigenza di dare una risposta all’industria nel nostro ambito – di food e packaging – si cerca di ascoltare le esigenze del momento da parte del settore e di proporre delle idee progettuali che siano condivise da un’azienda o un gruppo di aziende; quando il progetto di ricerca è finanziato direttamente da un’unica azienda, si decidono insieme a quest’ultima obiettivi, modalità di conduzione della ricerca e tempistiche; quando invece la ricerca è un po’ più trasversale e può essere supportata da un’associazione di aziende, si tesse un dialogo più ampio e si cerca di trovare una tematica che possa essere riconosciuta da tutti coloro che sosterranno questo tipo di ricerca. Tuttavia non è detto», precisa Limbo, “che uno studio universitario abbia questa stessa finalità, ma potrebbe essere finalizzato all’approfondimento di un fenomeno che non necessariamente debba interessare l’industria, impegnata in logiche diverse: sono quindi binari un po’ differenti quelli della conoscenza e quello dell’applicazione, intesa come rispondenza a una serie di requisiti”.

Nella ricerca il non risultato è un risultato

Non tutti gli studi sono immediatamente applicabili. Per esempio vi sono settori scientifici, che non hanno un’applicabilità immediata. Oppure possono esserci dei vincoli, come l’aspetto economico o quello normativo, che impediscono l’immediata realizzazione di un prodotto su un mercato: “per esempio se si stanno studiando i nanomateriali per applicazioni di packaging alimentare, si apporta conoscenza anche se a livello normativo non possono ancora essere impiegati senza una specifica autorizzazione dell’European Food Safety Authority (EFSA). In questo caso il compito della ricerca è di continuare in quella direzione per accrescere informazioni alla conoscenza”. Mettiamo il caso, però, di una ricerca che abbia fin dall’inizio un obiettivo di applicabilità: in questo caso se non si dovesse giungere a un risultato applicabile si devono ovviamente dare delle giustificazioni, ma sempre nella consapevolezza che “nella ricerca il non risultato è un risultato, perché se si è lavorato in modo rigoroso e se la metodologia è applicata in modo scientifico, anche il non risultato diventa fondamentale per portare nuova conoscenza”.

L’importanza di «contaminare» i linguaggi

Nell’ambito del packaging, quando si studia un materiale si cerca di realizzarlo secondo dei principi che siano effettivamente consoni all’applicazione finale, tenendo quindi conto, ad esempio, delle prestazioni di saldabilità, della permeabilità ai gas che possono incidere sulla velocità di scorrimento sulle macchine di confezionamento e sulla shelf life del prodotto stesso: parametri di cui non si può non tenere conto. Da qui nasce la necessità di creare un network forte, che permetterebbe di “uscire un po’ dal proprio guscio e iniziare a usare linguaggi diversi: una contaminazione che poi potrebbe portare anche alla creazione di gruppi molto diversi tra loro che non si sarebbero mai parlati senza la finalità di un progetto. Un lavoro che consente di creare qualcosa di nuovo a livello scientifico, uno scambio dialettico con gli altri ricercatori”.