Tecnologie alimentari, industria e ricerca

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Come superare i pregiudizi tra impresa e ricerca?
“I pregiudizi – osserva Rossi – sono di tre tipi. Il primo pregiudizio che ha un nostro imprenditore sui temi della ricerca e dell’innovazione è che non fanno i conti con il business plan, non fanno cioè i conti con la commercializzazione dell’innovazione; si tratta di un pregiudizio fondato, nel senso che chi fa ricerca e innovazione spesso non valuta lo scaling up, cioè il passaggio da un prototipo a un’attività industriale che ha economie, ha dei costi, ha un business plan, un problema di scala, di impianti, di logistica, di distribuzione nei canali del freddo e del fresco o della temperatura ambiente. Tutto questo è un discorso di contesto imprenditoriale dove in realtà il ricercatore fa un po’ fatica a entrare. In questo caso la soluzione è avere delle iniziative interdisciplinari, cioè la ricerca si deve unire alla ricerca applicata e all’economia, per capire i mercati, i consumi, etc. e mi sembra che in questa direzione stiamo facendo dei passi in avanti. Il secondo pregiudizio è del ricercatore nel senso che il prodotto che gli scienziati  elaborano rischia di essere comunque troppo costoso. Nell’alimentare si lavora su margini molto stretti, cioè non abbiamo i margini delle altre industrie, non possiamo rischiare investimenti molto forti su prodotti con margini piccoli, e quando i prodotti costano tanto hanno un posizionamento di prezzo molto difficile da scontare. Quindi bisogna raccontare al consumatore cosa ha di nuovo quel prodotto, sia in termini incrementali che radicali. Anche questo è quindi un pregiudizio fondato nel senso che spesso non si fanno i conti con il posizionamento nel rapporto prezzo/qualità e il posizionamento del prodotto nuovo o incrementato che andrà a sostituire o ad affiancare quelli precedenti. Il terzo pregiudizio è riferito al mercato e al consumatore. Abbiamo tutti noi l’impressione che il consumatore sia, in Italia in particolare, molto tradizionalista e conservatore perché, per esempio, dichiara di amare la pasta ed il pesto fatti in casa, oppure ha una cultura gastronomica di eccellenza ed è capace di riconoscere i prodotti, etc., quindi non ama particolarmente l’innovazione. Questo invece è un pregiudizio falso perché noi vediamo tantissimi prodotti innovativi sul mercato, e se non vengono dai produttori italiani vengono dall’estero, quindi rischiamo di perdere un po’ del nostro mercato rispetto a quello di tendenza estero. Ma dobbiamo essere noi ad aumentare il tasso di innovazione per seguire il consumatore evoluto, quello meno conservatore o rassegnato,  nelle sue scelte e curiosità alimentari”.

Ruolo delle Istituzioni
Quali possono essere gli interventi dello Stato, delle Regioni, dell’Europa per incrementare il rapporto industria/ricerca? “Possono essere fatte subito almeno tre cose”, premette Rossi . “La prima è quella di rendere molto facile il finanziamento anche parziale alla ricerca applicata, con crediti di imposta automatici, con rendicontazioni semplici, con dei costi ordinari di progetto con un forfait del 20-30%; abbiamo molto semplificato lo schema di accesso ai finanziamenti italiani ed europei, ma lo sforzo deve proseguire per evitare che le imprese fuggano. La seconda è generare un po’ di capitale di rischio, per condividere joint venture, dare ruolo maggiore agli equity founds non troppo rapaci, favorire la partecipazione finanziaria a questi progetti innovativi imprenditoriali; questa in Italia è ancora una materia poco nota mentre all’estero è molto diffusa. In questo senso in Italia lavorano molto bene sia la Simest che la Sace, come anche l’Enea ed il Cnr molto validi a costruire e co gestire risorse per progetti innovativi. Poi è necessario lavorare molto con le altre Agenzie statali e regionali insieme ai grandi enti di ricerca, oltre all’Enea ed al Cnr, come il CRA-Inran, gli Zooprofilattici, l’Istituto Superiore di Sanità, gli Enti Regionali, le Università più virtuose,  che lavorano moltissimo sull’alimentare, per fare in modo che ci sia questa sinergia complessiva, cioè che l’insieme dei contenuti progettuali, delle capacità di stare sul mercato con prodotti e processi innovativi, siano condivisi dall’impresa e dall’ente di ricerca. Con l’Enea, per esempio, abbiamo costituito un Centro Servizi per le imprese alimentari. Questo significa trasformare le conoscenze e le competenze in servizi per l’innovazione. E questo è un passo che le Università e di grandi enti di ricerca – Bologna è già avanti, il CNR più in passato, l’Enea l’ha già fatto, il CRA lo sta facendo – hanno messo in atto per avvicinare le imprese alle diverse competenze della ricerca di base e di quella applicata”.