Radiazioni ultraviolette, disinfezione della acque reflue

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Uno studio pubblicato sul numero di ottobre della rivista scientifica “Food Control”, ha dimostrato l’efficacia delle radiazioni ultraviolette (UV) nella disinfezione delle acque reflue usate per il lavaggio di Valerianella di IV gamma.

La sperimentazione inizialmente ha avuto inizio con la finalità di verificare l’applicabilità delle radiazioni luminose direttamente su Valerianella per provare a estenderne la shelf life. A questo fine, i ricercatori hanno sperimentato diverse soluzioni per ridurre la carica microbica della pianta cercando di mantenerne invariate le proprietà fisiche e sensoriali. Variando tempi di esposizione alla luce, trasparenza dei supporti e geometrie di posizionamento delle lampade, hanno individuato una configurazione efficace, soprattutto nel ridurre la carica microbica iniziale dell’alimento. Nel contempo, però, hanno anche registrato alterazioni strutturali ai tessuti della pianta provocate dalle stesse radiazioni, che vanificavano, così, i benefici ottenuti. Poiché l’applicazione diretta si era rivelata fondamentalmente impraticabile, i ricercatori hanno analizzato le possibilità di impiego della luce UV in altre fasi della lavorazione. È nata così la sperimentazione sulle acque utilizzate nelle fasi di prelavaggio e lavaggio. Dopo averla contaminata inoculando ceppi di Escherichia coli, Salmonella enterica e Listeria monocytogenes, l’acqua è stata trattata con luce UV continua a diverse intensità, per tempi variabili da 0 a 60 secondi, in modo da identificare le dosi ottimali di luce. Le analisi microbiologiche hanno mostrato che un’intensità di 0.4kJ/m2 è sufficiente a inattivare la maggior parte della microflora originaria e a ottenere una riduzione della carica batterica inoculata pari un fattore 5-log (vale a dire centomila volte). Sono stati, inoltre, effettuati lavaggi multipli, fino a cinque, ottenendo una diminuzione di 1000 volte della concentrazione di microflora originaria nell’acqua di lavaggio.

Un fattore critico per l’impiego di questa tecnica, però, è costituito dall’accumulo di materiale organico e di particelle sospese durante i vari lavaggi, come ci spiega la dott.ssa Lara Manzocco, professore associato in tecnologie alimentari dell’Università di Udine e tra gli autori dell’articolo scientifico pubblicato su “Food Control”: ”utilizzando le radiazioni UV, la carica microbica viene ridotta di un fattore 3-log (mille volte) ad ogni ciclo di lavaggio ma nell’acqua si accumulano anche residui organici che, col tempo, la rendono torbida fino ad impedire il passaggio della luce e rendere inefficace questa tecnica”. L’analisi delle proprietà spettrali dopo cinque cicli di lavaggio, infatti, indica che la luce riesce ad attraversare l’acqua solo se il suo spessore è inferiore al centimetro mentre al primo ciclo sono sufficienti circa 4,2 centimetri. “È comunque sufficiente applicare all’acqua torbida dei sistemi di filtrazione per ripristinarne la limpidezza e rendere nuovamente possibile il passaggio della luce si tratta, peraltro, di sistemi facilmente implementabili in un’azienda. Quindi, dopo averla filtrata, è possibile riutilizzare l’acqua anche dopo il quinto lavaggio”. Poiché la sperimentazione svolta con luce UV continua (e non pulsata), per essere efficace, ha richiesto almeno 30 secondi di esposizione, un ulteriore sviluppo del progetto è consistito nel tentativo di ridurre i tempi di trattamento applicando radiazioni luminose UV pulsate.

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Le prove di laboratorio hanno rivelato che, per avere la stessa efficacia, questa modalità richiede un tempo di soli 50 millisecondi per ogni pulsazione ma è necessaria una dose minima di luce pari a circa 20 volte quella impiegata con luce continua (11kJ/m2), il che, in definitiva, si traduce in un sensibile aumento dei costi: “abbiamo effettuato delle stime economiche generali, basandoci sui costi sostenuti in laboratorio. Naturalmente l’applicazione a livello industriale comporterà costi diversi, con un altro ordine di grandezza, ma indubbiamente l’utilizzo del sistema a luce continua si rivela più conveniente. I costi di impianto sono risultati circa un terzo rispetto a quelli con luce pulsata e i costi di esercizio addirittura un ventesimo. Va inoltre tenuto in considerazione che la luce pulsata, attualmente, è ancora un processo tecnologico innovativo ed è, quindi, soggetto a restrizioni normative, soprattutto in campo alimentare”.