Francesco Panella, apicoltura e biodiversità

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Cosa non capiamo ancora?
Per esempio, perché quando un’ape in volo verso un dato bosco, sceglie di stare ad una determinata altezza e come mai il suo tragitto è sempre costituito da un insieme di segmenti la cui somma è ottimale rispetto alla distanza da percorrere. Le api sono diversissime dall’uomo, sono capaci di plasmarsi in funzione delle circostanze. Nonostante la mia pluriennale esperienza, mi spiazzano; ogni volta che visito uno dei miei apiari non ho certezza di cosa troverò. Nel cercare la nuova sistemazione per un apiario, l’esperienza porta a scegliere un luogo in teoria giusto, ma la conferma verrà solo dalle api, anni dopo. Questa incertezza vale per mille altri aspetti; affascina in quanto fonte di costanti dubbi.

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Lodati e scomodi
Quanto miele si produce ogni anno in Italia?
Non ci sono dati ufficiali su quantità di miele italiano, numero di alveari e apicoltori. Alcune stime si fermano a 130 mila quintali di miele, altre azzardano 200 mila. Gli alveari dovrebbero essere 1 milione e 150 mila. Quanto agli altri derivati ed agli eventuali servizi (produzione, commercio di api, servizio di impollinazione a frutteti, orticole, produzione di semi ecc…) non ci sono nemmeno dati ufficiosi. Nel 2014 è stato avviato un censimento per arrivare a chiarire questi aspetti.

Perché tanto disinteresse per il settore?
La produzione di miele è sempre stata considerata marginale e complementare rispetto ad altre attività agricole. Prima degli anni ’70, le api erano parte delle attività rurali, ogni cascina aveva i propri alveari, la concezione produttiva dell’allevamento, tanto più quella professionale, era quasi inesistente. L’allevamento delle api aveva una dimensione dopolavoristica; era l’attività tipica dei parroci di campagna. La chiesa ha avuto, nell’ottocento, un ruolo decisivo nel diffondere le tecniche dell’apicoltura italiana. Dopo l’unità di Italia, molti parroci si trovarono privi di risorse economiche e l’apicoltura aveva due vantaggi: portava un piccolo reddito e presupponeva una certa cultura. Consentiva al parroco di distinguersi dal contadino e di restare nel élite del paese, con il medico ed il farmacista. Dagli anni’70 in poi, la modifica radicale del contesto rurale ha indotto alcuni agricoltori a specializzarsi. In agricoltura, la specializzazione è una calamità, perché obbliga a ragionare solo e sempre in termini di soglia economica.

Oggi siete spesso al centro della scena…
Ci sono stati alcuni importanti passaggi legislativi, fra questi la possibilità di svolgere un’attività agricola senza avere un terreno. Sembra un aspetto puramente formale, ma è stata una grande conquista in un Paese come il nostro dove la burocrazia è molto attorcigliata. In seguito, dapprima le Regioni e poi i Ministeri hanno cominciato a considerare l’apicoltura come comparti a sé. Oggi si parla molto di noi in relazione alla scomparsa delle api, artefici dell’impollinazione e fondamentali per garantire la biodiversità. Senza impollinazione non c’è frutto. L’agricoltura intensiva uccide le specie che le sono indispensabili. La scomparsa della biodiversità è preannunciata dal declino delle api. Le api sono il fenomeno più evidente, ma sono spariti anche pipistrelli, quaglie, allodole, farfalle, lombrichi.

Alcuni vi guardano con fastidio…
In termini di biodiversità, oggi la campagna è più povera delle periferie urbane. L’apicoltura ha pertanto assunto un ruolo ambivalente, se da un lato il declino degli impollinatori preoccupa, dall’altro è un fattore di disturbo perché segnala un problema. L’apicoltore è un testimone scomodo soprattutto quando riesce a fare avvalorare dalla scienza ciò che osserva anno dopo anno. Come apicoltore spero che la nostra attività sia considerata un indice della compatibilità ambientale dei metodi di coltivazione intensiva. In sintesi il mio pensiero è “Dite che questo tipo d’ agricoltura è sostenibile? Vediamo se le api vi vivono e producono come una volta”. In gran parte dei contesti agricoli italiani questo non succede più. Vivo e lavoro nella zona del Gavi, un ottimo vino che amo molto e del quale sono molto fiero, ma da qualche anno devo posizionare i miei apiari il più lontano possibile dai vigneti. E’ sufficiente una piccola vigna nei dintorni dell’apiario e la produzione del miele diminuisce, lo stesso vale per frutteti e coltivazioni di mais. L’Italia ha piccola superficie agricola ed un grande utilizzo della chimica.