Francesco Panella, apicoltura e biodiversità

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Come si rimedia?
Nel 2013 grazie alla mobilitazione degli agricoltori ed al supporto della ricerca scientifica italiana, si è ottenuta la parziale sospensione dell’uso dei neo-nicotinoidi, gli insetticidi più impiegati al mondo; un grammo di imidacloprid è tossico per le api come sette chili del famigerato DDT. Quanto hanno “innovato” è sempre più chiaro: “una chimica sempre più potente, in quantità sempre minori” per non avere residui nel piatto, ma a scapito dell’ambiente. Su questo fenomeno manca ancora un vero dibattito sociale. La stessa EXPO 2015, ottenuta dall’Italia su ottimi presupposti è poi andata fuori tema: il centro del dibattito dovrebbe essere come produrre, distribuire, non sprecare. L’agricoltura intensiva sta distruggendo la fertilità, rischiamo di lasciare il deserto ai nostri figli.

mf_apicoltoreIl miele
Quanto produce un alveare?
L’apicoltore è l’unico allevatore che non deve sacrificare ciò che alleva. Deve accudire le api nelle migliori condizioni possibili, per permettere loro di produrre un surplus rispetto alle necessità dell’alveare. In un anno, un alveare può consumare fino a 350 chili di miele e 50 chili di polline; in calorie è il consumo di un uomo. Un alveare in Italia, se tenuto correttamente, può produrre da 20 a 60 chili di miele in più rispetto alle proprie necessità.

Da dove deriva il miele?
Dal nettare delle angiosperme o dalla melata, un derivato della linfa degli alberi, prodotta da alcuni insetti succhiatori come la metcalfa, che la trasformano trattenendo l’azoto ed espellendo il liquido in eccesso ricco di zuccheri. Grazie al nettare le piante attirano gli insetti impollinatori ed assicurano la fecondazione dei fiori. L’ape bottinatrice accumula il nettare nella borsa melaria; tornata all’alveare lo rigurgita e lo affida alle api operaie che lo digeriscono, scindendo gli zuccheri complessi in zuccheri semplici. E’ poi deposto sulla parete delle celle, mentre le api ventilatrici mantengono nell’alveare una corrente d’aria che provoca l’evaporazione dell’acqua. Il miele è poi immagazzinato nelle cellette che, una volta piene, vengono sigillate (opercolate).

Quando interviene l’uomo?
Al momento opportuno, l’apicoltore toglie i melari dall’arnia e li porta in laboratorio dove estrae il miele. La disopercolatura è manuale o con una disopercolatrice. I telaini sono poi posti nello smielatore che, grazie alla forza centrifuga libera il miele. Il prodotto attraversa uno o più filtri che trattengono i corpi estranei (residui di cera ed altre impurità) e si deposita nei maturatori, dove decanta. L’affioramento dell’aria determina la formazione di una schiuma superficiale. Seguono la schiumatura e in genere una cristallizzazione guidata che conferisce al prodotto una consistenza cremosa omogenea.

francesco pannella-474La qualità del miele
Come si produce il miele monoflora?
Le api hanno una caratteristica derivante dalla loro co – evoluzione con le angiosperme: sono fedeli. Quando la fioritura è scarsa si dividono i compiti: un gruppo raccoglie il nettare del timo e l’altro della salvia; quando la fioritura è abbondante tutte raccolgono il nettare della stessa specie di pianta. La pianta è così certa di affidare il proprio polline ad un vettore sicuro che le consentirà di riprodursi. Gli apicoltori hanno inoltre l’accortezza di ritirare i melari prima della fioritura successiva. Da questo incrocio tra fedeltà delle api e inventiva dell’uomo nello scoprire che esistono mieli diversi, declinati in base a variabili locali, nasce il miele monoflora. Ogni contesto ambientale porta ad un prodotto con leggere differenze, dovute alle varietà della stessa famiglia di piante o all’interferenza e consociazione di una fioritura minore. L’areale di produzione di un miele è di circa 4 chilometri. Non è enorme, ma tenendo conto delle dimensioni di un’ape, un chilo di miele corrisponde a 150 mila chilometri di volo.

Quali sono i monoflora più apprezzati?
Alcuni come il miele di timo del siracusano o di corbezzolo in Sardegna sono talmente univoci da essere riconosciuti per la loro specificità fin dall’antichità; altri sono più recenti, mi riferisco per esempio al miele di acacia. In Liguria si produce un ottimo miele di castagno. E’ importante non confondere l’idea monoflora con il concetto di qualità superiore. Il bello del miele è il suo contenuto aromatico peculiare. Sono peculiari anche dei millefiori. Il loro sapore è più difficile da descrivere, ma non per questo hanno minor valore. Ci sono aziende in Trentino che propongono millefiori di una specifica valle, diverso da quello della valle vicina.

Cosa pensa del miele industriale?
Mi capita di mangiarlo quando faccio colazione negli alberghi e lo trovo gradevole anche se preferisco i prodotti più vivi, dagli aromi più marcati e sempre diversi come il miele di castagno o di quercia. Il miele industriale è sottoposto ad un riscaldamento, simile ad una pastorizzazione, per mantenere lo stato liquido e prevenire la ricristallizzazione ed è il risultato di un blend che lo rende il più possibile uguale a se stesso. La mia visione del miele è un po’ diversa, è una tavolozza di sapori da conoscere ed imparare ad apprezzare tal quale e come ingrediente. Se in una macedonia si sostituisce il limone con il miele, si scopre che, essendo quest’ultimo acido, la frutta non si ossida e che la macedonia ha una nota insolita.

Cosa non apprezza dell’attuale offerta?
Il mercato è afflitto dalla presenza di miele estero adulterato e tagliato con zuccheri. Un fenomeno illegale che riguarda anche parte dei consumi italiani. Alcuni Paesi emergenti hanno investito molto nella produzione di miele e non potendo incrementare a dismisura le quantità ricorrono a questi sotterfugi. La nostra legislazione sul miele è validissima, ma non sempre i controlli riescono a rilevare le adulterazioni. Quando avremo un miglioramento della qualità dei controlli analitici e dati certi sulla produzione nazionale riusciremo a contrastare meglio questi fenomeni. Per il momento è importante acquistare valutando con attenzione le informazioni riportate in etichetta. Piccolo non è necessariamente bello, contano la completezza delle informazioni e la loro veridicità.

Come si conserva il miele?
Un buon miele dura a lungo, ma con il tempo perde le caratteristiche migliori. Se non è pastorizzato è un prodotto vivo, contiene lieviti, piccole quantità di vitamine. Questi elementi diminuiscono col tempo, soprattutto se non si ha l’accortezza di conservare il prodotto al riparo da luce e fonti di calore.

Ha un sogno nel cassetto?
Più di uno. Il primo è l’anagrafe apistica. E’ importante perché sapendo quanti sono e dove sono gli alveari sapremo di più delle esigenze del settore e potremo impostare nuove politiche per la formazione e l’impiego. Ci sono opportunità di lavoro, ma bisogna saperle riconoscere. In Italia si parla solo di grandi gruppi pubblici e privati e di cassa integrazione, ma c’è tanta economia delle piccole cose, l’apicoltura è una di queste. L’associazionismo è determinante per arrivare a cambiamenti travolgenti, aiuta ad essere aggiornati, ad affrontare le sfide in modo adeguato. Sono felice di avere dato un modesto contributo a scardinare l’attitudine contadina che porta a chiudersi ed alla competizione estrema. Oggi le aziende che resistono lo devono anche all’essere parte di un flusso di comunicazione. Un altro grande sogno è tornare ad avere un’agricoltura dove le api possano prosperare, vorrei contribuire a vincere questa scommessa, determinante se penso ai miei figli.