Regolamento (UE) 1169/2011, denominazione degli alimenti

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Denominazioni tipiche
Talune denominazioni, tipiche di prodotti di determinate località, rispondono a parametri tramandati da numerosi anni, anche se con modeste varianti. Ora è evidente che gli operatori di altri Paesi, se vogliono attingere alle tradizioni di Paesi che hanno conquistato una certa notorietà sui mercati con i loro prodotti, aventi particolari requisiti, devono rispettare gli stessi requisiti; diversamente, oltre a danneggiare l’immagine dei prodotti stessi, inducono in errore i consumatori. In relazione a ciò, l’indicazione dell’origine può aiutare e rivestire un ruolo fondamentale nella etichettatura, in quanto l’informazione è diretta a far conoscere al consumatore gli operatori che hanno il merito della produzione dell’alimento in parola. Non è in discussione la politica delle DOP e delle IGP che sono prodotti protetti a livello comunitario; qui si tratta di prodotti generici tipici. Con degli esempi, forse, il concetto sarà più chiaro. Prendiamo il Provolone. Il Provolone è un formaggio tipico italiano (anzi della Campania); ciò non toglie che possa essere prodotto anche in altri Paesi e posto in vendita in Italia. Non basta la sola denominazione “Provolone”, per essere venduto come tale in Italia, ma è richiesta obbligatoriamente l’indicazione del Paese di origine anche negli scambi infra-comunitari, per evitare che il consumatore possa considerarlo formaggio italiano. Nell’ambito della famosa Conferenza di Stresa sulla protezione dei formaggi tipici prodotti nei Paesi aderenti, la Svizzera ottenne di poter commercializzare il proprio Emmental senza riferimento geografico. L’Emmental degli altri Paesi doveva essere completato dall’indicazione dell’origine (Emmental austriaco, Emmental bavarese, Emmental finlandese, ecc.).

Denominazioni geografiche generiche
La denominazione di taluni prodotti alimentari, pur non essendo DOC, IGP o STG, può contenere un nome geografico, anche se le caratteristiche non derivano dall’ambiente geografico cui fa riferimento. Il nome, il più delle volte, deriva dalla tecnologia adottata in modo costante e continuativo dai produttori di determinate aree geografiche. In tale situazione il prodotto fabbricato in altre aree geografiche riporta lo stesso nome; non v’è alcuna necessità di aggiungere la parola “tipo”, non esistendo il prodotto originale. Il salame “Milano”, fabbricato in parecchi Paesi, per poter essere chiamato con questo nome non deve essere necessariamente prodotto nella provincia di Milano. Importante è che rispetti le modalità tradizionali previste e si presenti dovunque con le caratteristiche specifiche. In questo caso il prodotto ottenuto in un Paese diverso da quello cui fa riferimento, la denominazione deve essere accompagnata dalla indicazione del Paese di origine o dal luogo di provenienza. Ad esempio “Salame Milano prodotto in Belgio”.

metzger schneidet fleisch
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Denominazioni tradizionali
I prodotti tradizionali rappresentano un aspetto importante della gastronomia alimentare italiana, che ne possiede un lungo elenco. I problemi che essi presentano sono rappresentati essenzialmente dal nome, che riflette generalmente le realtà locali. Molti infatti hanno nomi dialettali che, spesso, non sono comprensibili neppure dal consumatore nazionale. Questi nomi, essendo tradizionali, possono continuare ad essere utilizzati, ma, per rispondere alle esigenze del regolamento comunitario, devono essere completati dalla denominazione generica o da un nome comprensibile dal consumatore. La N’duja, ad esempio, che è un ottimo salame calabrese, non è percepita dal consumatore come prodotto di salumeria. L’aggiunta di una descrizione quale “Salame spalmabile” fa capire chiaramente al consumatore la sua effettiva natura.

Denominazioni costituite solo da qualificativi
Talune denominazioni sono improprie o errate in quanto costituite da qualificativi; questi possono essere utilizzati ma solo a completamento delle denominazioni. I nomi dei prodotti, in pratica, non possono essere sostituti da soli qualificativi. Il regolamento, infatti, prescrive l’obbligo di indicare il nome. L’uso invalso tra gli operatori di ricorrere ad artifizi per designare gli alimenti, utilizzando solo un qualificativo, non risulta conforme, quindi, ai principi del regolamento. La dicitura “crudo di Parma”, utilizzata per designare un prosciutto crudo, che non è quello tipico tutelato oppure ottenuto nel territorio della provincia di Parma, non può essere accettata come denominazione. Sotto tale termine potrebbe celarsi qualsiasi prodotto ottenuto a Parma. Lo stesso può dirsi per il “cotto”.