Food packaging, quando l’imperativo è la sostenibilità

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Lächelnde Frau im Supermarkt schaut auf eine Packung Nudeln

Esiste una definizione standard di “sostenibilità”? Proviamo a capirlo entrando nello specifico

“Sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Così recita la Fonte originale, nel Rapporto della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo, Risoluzione Generale 42/187, 11 Dicembre 1987.  Com’è stato declinato però l’assunto nella filiera produttiva del packaging, e del packaging per gli alimenti in particolare?  Potremmo rispondere che, oggi, un insieme di regole e leggi definisce in maniera precisa la gerarchia dei requisiti di sicurezza: al primo posto, in maniera indiscutibile, figura la necessità di tutelare la salute pubblica; subito dopo, sul secondo gradino di un podio virtuale, compare l’esigenza di assicurare anche un alto livello di tutela ambientale, premessa indispensabile per un food packaging “sostenibile”. Un food packaging “sostenibile” può essere dunque garantito nel rispetto di due macro requisiti, sviluppati poi in regolamentazioni speciali applicabili, così sintetizzabili:
• un imballaggio per alimenti deve essere igienicamente sostenibile;
• un imballaggio per alimenti deve essere ambientalmente sostenibile.

Quando gli imballaggi entrano in contatto con l’alimento: l’impatto
E’ noto come l’Unione Europea disponga di una chiara strategia per la sicurezza alimentare e intervenga non soltanto sugli alimenti tal quali, ma anche sulla salute e sul benessere degli animali e delle piante, grazie a regolamenti che impongono tecniche utili a monitorarne l’intero processo di produzione e fruizione (dal produttore primario al consumatore finale).
Lo slogan “dalla terra alla tavola”, rende perfettamente l’idea.
L’approccio europeo alla sicurezza alimentare è inoltre di tipo precauzionale (diversamente ad esempio anche a quello più simile, esistente in USA, che è invece probabilistico) e la strategia poggia su almeno tre elementi fondamentali:
• legislazione organica in materia di sicurezza dei prodotti alimentari e dei mangimi per animali;
• solida base scientifica quale fondamento delle decisioni;
• sistema integrato dei controlli.
La legislazione a tutela della sicurezza alimentare nell’Unione Europea può dunque dirsi esaustiva, in quanto va dai mangimi per animali agli alimenti, fino all’igiene alimentare in senso lato, processi produttivi e distributivi ovviamente inclusi (un insieme di regolamenti noti appunto come “pacchetto igiene”). Le norme generali sono poi accompagnate da misure speciali per i settori in cui è giustificata una tutela dei consumatori più specifica, come l’uso di pesticidi, integratori alimentari, coloranti, antibiotici, ecc. Così la legislazione si occupa anche dei Materiali con i quali sono realizzati prodotti e Oggetti di qualunque natura destinati ad entrare in Contatto, diretto o indiretto, con gli Alimenti (MOCA); prodotti come gli imballaggi per alimenti, ma non solo. Sono infatti MOCA, oltre al food packaging, gli avvolgenti e gli utensili da cucina, il monouso per alimenti, le macchine alimentari (nei materiali costituenti parti che entrano in contatto con l’alimento), superfici di lavorazione, ecc. Di fatto negli ultimi anni la legislazione sui materiali destinati a entrare in contatto con le sostanze alimentare è stata, a livello europeo, integrata e approfondita, anche in conseguenza del susseguirsi di scandali mediatici e allerta (registrate dal Sistema di allerta Rapido Europeo per la filiera Alimentare e dei Mangimi – RASFF) che in vario modo hanno investito il settore, preoccupando i consumatori e le autorità competenti.

Vector Spaghetti and Fusilli Spiral Pasta Packaging Template Isolated on White Background

Il RASFF registra infatti negli ultimi anni un’incidenza di allerta, causate da MOCA, pari a circa il 10%; essi rappresentano la terza causa di allerta nella filiera alimentare dopo i prodotti ittici e carni. Ed il sistema può essere ulteriormente perfezionato in modo da cogliere tutti i pericoli classificandoli correttamente: infatti la gran parte risulta classificata come pericoli chimici ed in realtà sottostima i pericoli fisici da MOCA (ad esempio per corpi estranei da sfridi o bave di prodotto…), i pericoli biologici (da spore o batteri condotti nei processi da MOCA non puliti, ad esempio…) e quelli che potremmo definire da inidoneità tecnologica (come una potenziale de-laminazione nell’imballaggio flessibile multistrato che possa provocare una permeabilità non controllata a gas e il conseguente deterioramento anticipato del prodotto alimentare…).  Ecco che, guardando prima al sistema di regolamentazione in vigore, poi ai dati restituiti dal sistema di allerta rapido europeo RASFF, quindi alle esigenze espresse dall’utenza e dai consumatori, possiamo comprendere come il tema dei materiali a contatto con alimenti e degli imballaggi primari in particolare, sia oggi più che mai un tema all’ordine del giorno, molto sentito dalle imprese alimentari. E’ sentimento diffuso che l’industria alimentare sia di fronte all’esigenza di comprendere meglio, rispetto al tema dei MOCA, il Know What (Cosa fare) ancor prima che il Know How (Come fare). La mia esperienza ventennale, spesa quale professionista ed esperto in regolamentazione e certificazione food packaging a vantaggio di Organizzazioni ed Enti (espressione della filiera alimentare), mi conferma come la sensibilità sul tema MOCA nell’industria alimentare (la più esposta verso il mercato e spesso nella condizione di dover tutelare il suo marchio forte) sia oggi altissima, ma anche come questa si trovi in difficoltà nel riconoscere con chiarezza il rinnovato assetto delle responsabilità e dunque in affanno nella gestione delle relazioni con i fornitori di imballaggi alimentari. Non è possibile infatti misurare e controllare ciò che non si conosce. Ma anche produttori, importatori e fornitori di imballaggi per alimenti, vivono le stesse difficoltà, impegnati oggi in sforzi spesso davvero importanti per riuscire a completare il salto (loro richiesto anche dal Regolamento 2023/06/CE sulle GMP, buone pratiche di fabbricazione, obbligatorie in filiera) dall’approccio produttivo di tipo classico, “industrial area”, a quello necessario a operare in “food area”.
Insomma “l’impatto” dell’intera filiera con il nuovo tema MOCA, o con il food packaging in particolare, sembra assai “duro”. L’industria alimentare è vincolata a una più attenta analisi delle condizioni di impiego dei MOCA, a una migliore confidenza con la regolamentazione ad essi applicabile ed è sollecitata a trovare nuovi strumenti di dialogo con i fornitori di imballaggi alimentari, con l’unico scopo di far fruire i consumatori di prodotti alimentari sicuri. Risulta quindi soprattutto utile, in un mare magnum di leggi, linee guida, documenti tecnici ecc., poter oggi disporre, da parte dell’industria alimentare, di una assistenza professionale seria, pragmaticamente orientata, in grado di offrire le principali risposte alle domande che più frequentemente assillano i produttori di alimenti inerentemente il food packaging.
Allo scopo sarebbe pertanto raccomandabile il ritorno alle “Tavole della Legge”, contenenti i “dieci comandamenti” applicabili ai MOCA, riassunti qui di seguito. Chiunque immagini di realizzare e immettere sul mercato un MOCA deve:
1. assicurarsi che non costituisca un pericolo per la salute dei consumatori;
2. assicurarsi che non modifichi la composizione dell’alimento;
3. assicurarsi che non modifichi le caratteristiche organolettiche dell’alimento;
4. assicurare la sua rintracciabilità;
5. assicurarsi che sia sempre etichettato correttamente;
6. assicurarsi che sia accompagnato da una idonea Dichiarazione di Conformità;
7. produrlo, trasformarlo o distribuirlo in un “sistema di assicurazione della qualità igienica”;
8. produrlo, trasformarlo o distribuirlo controllando in continuo le operazioni di cui sopra;
9. documentare il tutto in modo controllato;
10. che tutto sia declinato usando… “buon senso”.

Image of packaged orange with woman hand in the supermarket

Gli imballaggi per alimenti e l’ambiente: prove di dialogo
E necessario partire dalla considerazione generale che ogni anno negli Stati membri dell’UE vengono prodotti circa due miliardi di tonnellate di rifiuti; cifra in continuo aumento. Il solo stoccaggio di questi rifiuti non è quindi una soluzione sostenibile e le tecniche per la loro distruzione non offrono ancora risultati soddisfacenti a causa di vari fattori, fra i quali le emissioni prodotte e i residui altamente concentrati e spesso altamente inquinanti. La migliore soluzione rimane ancora dunque quella di evitare di produrre rifiuti e, quando esistano soluzioni ecologicamente ed economicamente sostenibili in tal senso, procedere al riciclaggio delle varie componenti dei prodotti, comprese quelle da imballaggio, pur rappresentando esso imballaggio una percentuale minoritaria dell’impronta ecologica del prodotto alimentare nel suo insieme.  D’altro canto gli stessi imballaggi rivestono un ruolo fondamentale all’interno dell’attuale modello di produzione, distribuzione e consumo: potremmo infatti considerare l’imballaggio come la condizione che rende commerciabili i prodotti, in particolare quelli alimentari.
Che fare quindi? Nel caso, prima ancora delle normative e dei regolamenti, la legge di conservazione della massa ci può ben orientare: “Nulla si crea. Nulla si distrugge. Tutto si trasforma”. Nella contemporaneità (così come per i requisiti igienici tesi alla salvaguardia della salute pubblica) le attività sono prescritte e regolamentate dalla cogenza e da una specifica e articolata normativa tecnica, armonizzata a livello europeo. Se come detto la migliore soluzione possibile rimane quella di non produrre rifiuti, ecco che (in un mondo che necessita di imballaggi, cioè prodotti che per loro natura a fine vita diventano rifiuti) la parola d’ordine diventa “prevenzione”. Sono però diversi i soggetti coinvolti nella prevenzione, coloro i quali partecipano alla definizione dell’imballaggio finito. I produttori dell’imballaggio e dei materiali di imballaggio sono oggi chiamati a raggiungere un equilibrio ottimale, a parità di prodotto contenuto, tra prestazioni e quantità di materiali impiegati. Fare prevenzione in questo caso significa spesso ridisegnare il processo produttivo, ridurre le componenti pericolose, aumentare la riciclabilità o ricuperabilità dell’imballaggio, ottimizzare i cicli dei materiali. Gli utilizzatori industriali e commerciali richiedono per lo più un imballaggio con caratteristiche specifiche spesso dettate dal marketing o dalle esigenze della propria logistica; essi sono chiamati a riprogettare il packaging sulla base di principii di prevenzione e sostenibilità, oltre che a informare correttamente i consumatori circa le modalità di smaltimento e possibile recupero del prodotto imballaggio. Un nuovo approccio integrato e di filiera si rende necessario. Ma la stessa Direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, n.94/62/CE, è la prima espressione di questo nuovo approccio: essa prevede esplicitamente la necessità di azioni di prevenzione ambientale che riguardano il prodotto (in questo caso l’imballaggio) per ridurre l’impiego di materie prime, adottare processi e tecnologie non inquinanti, ridurre la produzione di rifiuti, informare correttamente la filiera.
La Direttiva si applica a tutti gli imballaggi immessi sul mercato nella Comunità Europea e a tutti i rifiuti d’imballaggio, utilizzati o scartati da industrie, esercizi commerciali, uffici, laboratori, servizi, nuclei domestici e a qualsiasi altro livello, qualunque siano i materiali che li compongono. A tal proposito la Direttiva definisce inoltre il termine “imballaggio”. Impone poi agli Stati membri di verificare che quelli immessi sul mercato rispettino i “requisiti essenziali” ambientali previsti dalle norme tecniche pubblicate dal CEN e dalla Commissione Europea; i requisiti sono riassumibili come segue:
• limitare il peso e il volume dell’imballaggio al minimo necessario per garantire il livello di sicurezza, igiene e accettabilità per il consumatore;
• ridurre al minimo la presenza di sostanze e materiali pericolosi nel materiale di imballaggio o nei suoi componenti;
• concepire un imballaggio riutilizzabile o recuperabile per compostaggio, biodegradazione o per recupero di energia.

fruits and vegetables in vacuum packing on white background

I “requisiti essenziali” sono dunque oggi cogenti e sono specificati da apposite norme tecniche. E’ quindi indispensabile raccomandare a tutte lo Organizzazioni la predisposizione almeno di un apposito “Dossier Ambientale degli Imballaggi” il quale contenga almeno:
• attestazione di progettazione per riduzione alla fonte di peso, volume e sostanze pericolose, secondo UNI EN13428:2005;
• attestazione di riutilizzabilità degli imballaggi (dove applicabile), secondo UNI EN 13429:2005;
• attestazione di recuperabilità dell’imballaggio per riciclo di materiale, secondo UNI EN 13430:2005;
• attestazione di recuperabilità (dove applicabile) per recupero energetico, secondo UNI EN 13431:2005;
• attestazione di recuperabilità (dove applicabile) per biodegradazione o compostaggio secondo UNI EN 13432:2002 ed E.C. 1,2,3.

Un’idonea documentazione di supporto avallerà la documentazione, secondo gli standard vigenti. Il tutto può essere poi riassunto dalle Organizzazioni in una adeguata “Dichiarazione di Conformità Ambientale” (anche qui le norme tecniche disponibili ci aiuteranno), utile a veicolare le informazioni necessarie lungo la filiera. Dunque prevenzione, poi riutilizzo e in ultima analisi recupero, possibilmente a mezzo di riciclo dei rifiuti di imballaggi. Preme qui anche evidenziare come i criteri informatori della normativa cogente pongano l’accento sulla necessità di promuovere l’accesso a corrette informazioni, destinate in particolare ai consumatori, circa i sistemi di restituzione, di raccolta e di recupero disponibili per i rifiuti di imballaggi, oltre il significato dei marchi apposti sugli imballaggi stessi a tal scopo. Per il food packaging e l’ambiente prove di dialogo in corso, quindi.

Marco Pasqualini