Piattaforma tecnologica “Italian Food for Life”

Filiera alimentare, alla ricerca di sostenibilità e competitività

Approvvigionamento sostenibile e valorizzazione delle materie prime agricole, uso efficiente di acqua ed energia, ottimizzazione del packaging
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Costi energetici, innovazione tecnologica e sviluppo sostenibile

Un refrain comune a tutta o quasi l’industria di trasformazione agroalimentare riguarda i costi energetici che rendono poco competitiva l’Italia. Ma non è che sfruttando meglio i sotto prodotti della lavorazione si potrebbero ottenere da una parte un maggior risparmio energetico e, dall’altra, un minore spreco? Capri, in proposito, risponde che “questo è l’indirizzo ed è quello che si deve fare. In realtà, tutte le politiche energetiche che si stanno realizzando in questi anni, incluso il fotovoltaico, derivano dalla consapevolezza di una risorsa energetica limitata che induce a cercare percorsi alternativi. Questo significa che bisogna rimettere in moto l’innovazione tecnologica che è dietro la produzione di energia alternativa, cercando di arrivare in tempo per poter sostituire almeno in parte l’energia attuale prodotta dai carburanti fossili che comunque non è eterna. Ritornando ai rifiuti e gli scarti della lavorazione, insieme a tutta l’innovazione tecnologica, diventa fondamentale comprendere dove si può recuperare altra energia. Il problema della sostanza organica è fondamentale per la produzioni agrarie ma le biomasse, a loro volta, vengono impiegate per produrre una parte dell’energia rinnovabile e queste due funzioni tecnologiche non devono collidere pena l’ulteriore caos. Così facendo, si evitano sprechi, perché in realtà si rivalorizzano i rifiuti, e si ha la possibilità di attingere a tante sorgenti; però queste sorgenti e queste fonti vanno sempre utilizzate in un modo corretto che è profondamente territoriale. Quello che è successo negli ultimi anni è estremamente importante come esempio, perché ci indica come la pressione che è stata fatta per l’uso delle biomasse utilizzate per la produzione del biodisel, sia esemplificativa del fatto che sorgenti come i “rifiuti” vadano normate correttamente, altrimenti rischiano di entrare in competizione con la produzione alimentare nell’erosione del suolo e nella riduzione delle risorse. Questo significa che vanno utilizzati i veri rifiuti e che vanno realizzati scenari socio economici corretti; diversamente si rischia, e purtroppo si è verificato, di provocare un impatto sociale, come si è verificato in alcune zone a noi sconosciute del Sud America, di enorme portata, tale da riproporre un vero e proprio problema morale. Quando si fanno queste scelte infatti, l’impatto sugli scenari socio-economici nel tempo vanno valutati e, quello che noi stiamo facendo, è di una gravità enorme perché stiamo correndo, inseguendo delle opportunità economiche speculative, verso conseguenze significative”. Dalla disamina della sostenibilità della filiera agroalimentare emerge, come sottolinea Capri, che “è necessario spingere sull’innovazione tecnologica. Questo significa che è di fondamentale importanza fare rete tra produttore e distributore perché in questo modo si può, nel rispetto della competitività, permettere un trasferimento di conoscenze veloce, corretto dal punto di vista anche etico; è poi importante che tutti all’interno della filiera facciano educazione, formazione e diffusione. Quando infatti si è consapevoli di quello che è il problema, questo va raccontato agli altri perché le scelte condivise (effetto domino) sono le più importanti, come si può constatare in tante aziende che già ricevono delle specifiche richieste da parte degli acquirenti. Se questo effetto domino si realizza, saremo poi in grado di finanziare l’innovazione tecnologica che è fondamentale”. “Al momento – conclude Ettore Capri – possiamo renderci conto della sostenibilità di un’azienda solo se sta affrontando un programma di sviluppo sostenibile, e questo approccio deve essere visibile e trasparente. Al prodotto deve essere comunque associato un riferimento di sostenibilità secondo quelli che sono gli standard attuali: ci deve essere cioè una rendicontazione, un programma stabilito, ci devono essere degli obiettivi e trasparenza e comunicazione nei confronti dei portatori di interesse dei consumatori. In assenza di una di questi standard qualsiasi parola detta a proposito della sostenibilità è puro greenwashing”.

Il ruolo dell’imballaggio

“Sprechi e sostenibilità anche se apparentemente inconciliabili – dichiara Marco Sachet, Direttore dell’Istituto Italiano Imballaggio – nella realtà possono essere assimilati come due facce della stessa medaglia. Restando al mondo dell’imballaggio, il ruolo che esso svolge nel settore alimentare è quello di preservare gli alimenti nel tempo e nello spazio. Questo significa che se non ci fossero le tecnologie, dalla conservazione, alla trasformazione da alimenti di base in alimenti lavorati, alla catena del freddo, al trasporto e all’imballaggio, in realtà molta parte di quella che è la produzione agricola/alimentare andrebbe persa perché la natura porta a maturazione tutto nello stesso tempo. Da qui la necessità di trasferire attraverso la tecnologia questi beni nel tempo e nello spazio. In realtà, in paesi come l’Italia, grazie anche all’imballaggio, c’è uno spreco di alimenti che avviene nelle fasi successive, cioè dopo l’acquisto o nelle fasi di consumo. I più recenti studi della Fao infatti affermano che questi sprechi possono arrivare al 40%, suddividendosi in un 8% in acquisti di prodotti non consumati e, per il restante 32% nei diversi canali come supermercati, vendite all’ingrosso, mense e ristorazione per eccesso di richiesta. Dal punto di vista dell’imballaggio, anche questo problema troverebbe nel packaging una possibile soluzione perché, quella parte di alimenti che oggi viene persa, potrebbe avere ancora caratteristiche di alimentarietà ma, per poterne fruire, necessiterebbe ancora una volta di uno strumento che le renda disponibile nello spazio e nel tempo”. Quanto all’industria dell’imballaggio e alla sua grande percentuale dedicata al settore alimentare, Sachet afferma che “lo spreco alimentare è collegato all’altro aspetto che riguarda più direttamente l’impatto ambientale. Nella realizzazione di un prodotto alimentare trasformato, più la catena di trasformazione è lunga, più l’impatto ambientale è grande. Mediamente si pensa che l’impatto ambientale dell’imballaggio sia il più grande; in realtà quello che si è visto conducendo studi di LCA su parecchi prodotti alimentari confezionati è che l’impatto ambientale del prodotto contenuto è mediamente dell’80%, mentre l’impatto dell’imballaggio è mediamente del 20%. Se questo è vero, come dimostrano gli studi, ha senso aumentare l’impatto ambientale dell’imballaggio, entro certi limiti, purché ci sia la sicurezza di ridurre lo spreco dell’alimento col suo grande impatto ambientale”.