Inchiesta

Una tassa sul “junk food”?

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L’impegno dell’industria alimentare

“Sicuramente l’approccio deve essere fondato sulla prevenzione, ma soprattutto sull’educazione: non è sufficiente affidare ai consumatori la lettura di etichette che contengono tabelle nutrizionali così come stabilite e rese obbligatorie dal nuovo regolamento europeo, ma bisogna che il consumatore, che è anche cittadino, in ogni fascia di età e di cultura, possa comprendere quali sono i principi base che garantiscono la sua buona salute. Per quanto riguarda il rapporto con il cibo vale il principio del bilanciamento energetico, vale a dire un sostanziale pareggio tra l’energia apportata con l’alimento e quella consumata attraverso l’esercizio fisico (che andrebbe promosso anche nelle scuole). Bisogna, inoltre, educare il consumatore a trovare un equilibrio nella varietà della dieta che si connota positivamente se ricca di diversi alimenti ciascuno dei quali contiene determinati nutrienti e micronutrienti come vitamine e minerali che, insieme, contribuiscono a una buona salute. E’ questo il lavoro che bisogna fare se davvero si vuole vivere in maniera positiva e non discriminatoria né nei confronti degli alimenti, quali che siano, né tanto meno delle diverse fasce di reddito della popolazione. Questi principi essenziali di buona educazione alimentare hanno la loro base negli studi condotti da diversi decenni dall’Istituto Nazionale per la Ricerca sulla Nutrizione (Inran) che ha posto le basi teoriche per l’impostazione di una buona dieta a cui andrebbe necessariamente abbinato un esercizio fisico moderato e proporzionato alla caratteristiche dei singoli, ma soprattutto continuativo. Questi concetti però vanno tradotti in pratica e comunicati in maniera appropriata, soprattutto nelle scuole dove, da qualche tempo, viene portato avanti dal Ministero dell’Istruzione e da quello della Salute un programma rivolto al personale docente delle scuole elementari e delle medie. Questo stesso tipo di informazioni vanno comunicate in modo opportuno anche nelle scuole superiori e nelle Università come prevede il programma condiviso “Scuola e Cibo” di Federalimentare e dal Ministero dell’Istruzione, ma vanno anche condivise nei presidi medici sanitari di base, come pure in pediatria e in geriatria. Bisogna quindi fare in modo che questa cultura del vivere bene e del mangiare bene possa davvero raggiungere e comportare una variazione nei comportamenti, anche se è più difficile, dei consumatori cittadini”. Dongo prosegue ricordando che, per quanto riguarda la necessità di una maggiore attenzione alla formulazione degli alimenti, “si tratta di un’opera importantissima rispetto alla quale l’industria alimentare già da anni si sta attivando. Anche questo è un comportamento virtuoso da diffondere, là dove è possibile, in tutti i settori di produzione. Dico là dove è possibile, perché ci sono alcune ricette che sono vincolate da disciplinari che ne garantiscono l’identicità e tradizionalità (IGP) ma, in tutti i casi in cui è possibile, è certamente opportuno e l’industria alimentare italiana, attraverso Federalimentare, è il primo promotore della riformulazione degli ingredienti in una direzione salutistica, riducendo – per esempio – le quantità dei nutrienti che sono connotati negativamente se assunti in eccesso come il sale. Nel Regno Unito, per esempio, è in corso da anni un programma di riduzione del sale che viene seguito dalla quasi totalità degli operatori alimentari dell’industria, della grande distribuzione e delle ristorazione collettiva. Una riduzione progressiva del sale in tutti gli alimenti nel corso del tempo consente ai consumatori, ed è questo l’obiettivo, di affinare progressivamente il proprio gusto e di accogliere alimenti meno sapidi per la propria salute. Si tratta, a mio avviso, di un bel percorso che merita incentivazione, conoscenza, promozione verso le piccole/micro imprese che possono non avere quella sensibilità e quel sostegno rappresentativo della media/grande industria”.