Le radiazioni ionizzanti trovano diverse applicazioni nell’ambito delle tecnologie alimentari: Rilevazione Di Corpi Estranei: la capacità delle radiazioni di “visualizzare” la struttura interna degli oggetti (compresi gli alimenti) permette di identificare la presenza di corpi estranei di qualsiasi tipo al loro interno, al contrario dei metal detectors che sono in grado solo di rilevare la presenza di frammenti metallici. Per tale motivo i raggi X trovano applicazione nelle industrie alimentari ove sia necessario escludere la presenza di frammenti di vetro, pietre, plastica, gomma o alti materiali. Tale tecnica si dimostra particolarmente utile per identificare eventuali frammenti di ossa in tagli di carne pregiati (per es. petti di pollo interi). Effetto anti-germogliante: le radiazioni ionizzanti hanno la proprietà di lesionare varie strutture cellulari, in particolare gli acidi nucleici indispensabili per la moltiplicazione cellulare (a questa proprietà è dovuta anche la loro pericolosità). Per questo alcune derrate vegetali di cui si vuole aumentare la conservabilità, in particolare bulbi e tuberi quali cipolla, aglio e patate, vengono a volte irraggiati per ritardarne di settimane o mesi la germogliazione. Effetto antimicrobico: sempre grazie al loro potere lesivo sulle cellule vive, in particolare quelle in rapida moltiplicazione, le radiazioni ionizzanti hanno effetto battericida e possono pertanto venire utilizzate per stabilizzare e “bonificare” microbiologicamente vari alimenti, aumentandone la shelf life.
La prima applicazione è ormai consolidata e utilizzata in molti Paesi (seppur poco diffusa a causa del costo elevato): le radiazioni utilizzate per rilevare corpi estranei, in genere raggi X, sono applicate agli alimenti per poche frazioni di secondo, e hanno intensità molto minore rispetto alle radiazioni utilizzate per le altre due applicazioni. Infatti l’utilizzo delle radiazioni per aumentare la conservabilità o “bonificare” gli alimenti non è sempre consentito o comunque ben accetto, per vari motivi: tale trattamento potrebbe essere utilizzato per risanare alimenti che siano già in fase di deterioramento, inoltre non si possono escludere effetti residui, potenzialmente nocivi per la salute umana, che le radiazioni ionizzanti possono provocare a carico della matrice alimentare trattata. È in effetti stato riscontrato che tali radiazioni, a seconda della loro potenza e della quantità assorbita dagli alimenti, possono indurre modificazioni biochimiche sugli alimenti stessi. Per es. i lipidi vanno incontro a radiolisi, con formazione di radicali liberi e conseguente induzione di reazioni a catena (tra cui degradazioni ossidative) che possono portare a deterioramento del profilo sensoriale del prodotto (per es. carne). Risulta pertanto importante poter disporre di metodiche analitiche in grado di determinare se un alimento è stato trattato con radiazioni ionizzanti, anche per mantenere agevoli gli scambi commerciali tra i Paesi in cui tale tecnica è consentita e quelli in cui non lo è. Tali analisi risultano tutt’altro che facili poiché l’alimento irradiato non subisce cambiamenti o alterazioni evidenti nel corso del trattamento. Tra le possibili tecniche utilizzabili vi sono metodi fisici quali la termoluminescenza e la risonanza di spin elettronico (ESR), oppure metodi biologici quali la ricerca di danni a carico del DNA o conte microbiologiche. Si tratta spesso di metodi costosi, laboriosi e poco specifici, che non sono inoltre in grado di stimare la quantità di radiazioni assorbite dall’alimento: questo dettaglio non è irrilevante, poiché è necessario per determinare se la dose di radiazioni applicata è stata corretta oppure eccessiva rispetto alle leggi vigenti in un certo Paese. Tra le tecniche che mostrano invece migliore sensibilità vi sono le seguenti.
Determinazione degli isomeri posizionali della tirosina: la tirosina è un amminoacido naturalmente presente nelle proteine, che si presenta sotto forma di isomero para (p-tirosina), mentre gli isomeri orto (o-tirosina) e meta (m-tirosina) si formano in seguito a reazione con radicali idrossilici (HO•) tipicamente generati durante l’esposizione delle proteine a radiazioni o comunque nel corso di forti stress ossidativi. C’è pertanto una relazione lineare tra la quantità di questi isomeri posizionali “anomali” e la dose di radiazioni assorbita dall’alimento. La loro determinazione può essere effettuata in cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC), utilizzando come detector sia quello a fluorescenza che la spettrometria di massa tandem, ottenendo in entrambi i casi risultati molto promettenti in termini di sensibilità, linearità e ripetibilità del metodo analitico.
Determinazione dei 2-alchilciclobutanoni: se nell’alimento vi è una certa componente lipidica (> 1%), questo metodo risulta piuttosto affidabile poiché i 2-alchilciclobutanoni (per es. 2-dodecilciclobutanone e 2-tetradecilciclobutanone) sono markers tipici che si formano in seguito all’esposizione dei lipidi a radiazioni, posto che l’alimento in questione abbia assorbito più di 0,5 kGy (kiloGray) di radiazioni. La loro ricerca è stata eseguita con successo per determinare l’eventuale irraggiamento di carne e uova, tanto da essere un metodo approvato a livello europeo per i controlli ufficiali in materia. Il protocollo analitici è però piuttosto lungo e laborioso: consiste nella estrazione dei grassi, nella loro purificazione e nella determinazione dei markers per mezzo di gascromatografia abbinata a spettrometria di massa.
Risonanza magnetica nucleare: la risonanza magnetica nucleare dell’idrogeno (1H NMR) ad alta risoluzione, applicata in particolare al profilo lipidico (per es. della carne ma anche di pesce e vegetali), si può considerare una tecnica promettente per determinare la presenza di carne irradiata, per es. durante i controlli ufficiali. Tale tecnica è in grado di determinare simultaneamente la presenza di complesse miscele di lipidi, come è tipico degli alimenti, dando informazioni sia qualitative che quantitative su di essi. È anche in grado di determinare la presenza di lipidi danneggiati, per es. in seguito a degradazione ossidativa. Questa tecnica è così sensibile nel determinare il profilo lipidico del campione da poter essere usata per il riconoscimento di origine, sia di specie (zoologica o botanica) che geografica, di un certo alimento: identificazione di olio extravergine di oliva adulterato con altri oli o con olio di sansa, determinazione della cultivar di olio o vino e loro origine geografica, distinzione tra pesci allevati o pescati, distinzione delle varie specie presenti in campioni di carne macinata, etc. Grazie a questa elevata sensibilità, l’NMR è stata applicata anche alla ricerca di 2-alchilciclobutanoni, con tempi di analisi molto ridotti rispetto al metodo classico (vedi sopra), e risultati in linea con lo stesso anche se attualmente in modo ancora non sufficientemente affidabile. La tecnica NMR risulta pertanto molto promettente per il futuro, anche perché permetterebbe di determinare non solo se l’irraggiamento c’è stato o meno, ma anche la dose applicata all’alimento.
Bibliografia
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Zanardi E., Caligiani A., Padovani E., Mariani M., Ghidini S., Palla G. and Ianieri A., 2013. Detection of irradiated beef by nuclear magnetic resonance lipid profiling combined with chemometric techniques