Microrganismi, agenti atmosferici, processi chimici e biochimici. Sono tutti elementi che possono alterare le caratteristiche organolettiche e nutritive degli alimenti e che, come nel caso dei prodotti carnei, possono addirittura renderli tossici e pericolosi per la salute umana. La carne, infatti, per via della sua natura e della sua instabilità microbiologica, è tra gli alimenti più a rischio tossicologico e pertanto, un punto chiave dei moderni processi di lavorazione, è proprio l’incremento degli standard igienici. D’altro canto, l’ambiente in cui avvengono le lavorazioni, le manipolazioni, la fase di confezionamento, sono tutte situazioni potenzialmente rischiose, che se non gestite correttamente e secondo determinati standard igienico-sanitari, possono pregiudicare il prodotto. Per difendere la carne e i prodotti da essa derivati dall’attacco dei microrganismi, sono parecchi gli accorgimenti che si possono prendere a livello di processo. Si può pensare di intervenire con dei trattamenti termici o, al contrario, con la refrigerazione, il congelamento e la surgelazione. Ma sono anche indicati l’affumicamento e l’eventuale aggiunta di conservanti, molto dipende dal tipo di prodotto a cui si sta facendo riferimento. Contro gli agenti ambientali, invece, e soprattutto contro i danni causati da luce e ossigeno, i mezzi di difesa più utilizzanti sono il confezionamento sottovuoto o in gas inerti e l’aggiunta di sostanze antiossidanti. Tutte pratiche che si ritrovano lungo le moderne linee di processo e che possono essere applicate anche nelle aziende più artigianali. I costi, infatti, non sono proibitivi, e le macchine oggi a disposizione sono di diverse gamme e di diversi livelli, tanto che in commercio se ne trovano anche per l’impiego casalingo.
Le tecnologie di processo
Com’è emerso anche dall’International Congress of Meat Science and Technology, l’innovazione tecnologica e l’impiego del processo in linea, sono gli strumenti più efficaci per raggiungere alta produttività (tempi e costi sono razionalizzati) e per migliorare le condizioni di lavoro degli operatori. Non solo. L’automazione del processo porta benefici non soltanto alle condizioni di lavoro (poiché riduce la fatica degli addetti), ma soprattutto porta risultati tangibili in merito all’igiene e alla sicurezza degli alimenti. Una minore manipolazione manuale, infatti – unitamente alla continua sterilizzazione e igienizzazione degli strumenti – riduce al minimo le contaminazioni, anche quelle accidentali. Inoltre, i processi automatici, essendo standardizzati e programmati, risultano più accurati (si pensi ai tagli o al disosso) e dunque consentono di aumentare le rese produttive, a tutto vantaggio dell’analisi costi-benefici della produzione.
Il confezionamento
La scelta della tecnica di confezionamento e la scelta dell’imballaggio richiedono la considerazione di alcuni aspetti, che variano in funzione del prodotto che si desidera confezionare. Per citarne alcuni, oltre chiaramente a quelli strettamente legati agli aspetti igienico-sanitari, si dovranno considerare anche gli elementi che contribuiscono a incrementare l’interesse del consumatore verso un determinato prodotto, e dunque a orientarne la scelta. Il che può essere meglio spiegato con un esempio: se il consumatore associa al colore rosso intenso la freschezza della carne, nel banco frigo desidera trovare prodotti che rispondano ai suoi desiderata. Pertanto, sceglierà carni realmente rosse, che soddisfano le sue aspettative e che corrispondono al suo concetto di freschezza. Nella fase di confezionamento, dunque, di fondamentale importanza sarà l’impiego dell’ossigeno. Al contrario, per le carni già trasformate, l’ossigeno sarà deleterio e dunque non dovrà essere impiegato. Per quanto riguarda la scelta del materiale da impiegare nel processo di confezionamento, anche in questo caso naturalmente non si può prescindere da una serie di aspetti e di considerazioni, a cominciare, chiaramente, dal prodotto che si intende confezionare. Altri fattori determinanti sono l’umidità, la carica microbica al momento del confezionamento, l’eventuale presenza di conservanti, la shelf life del prodotto e, naturalmente, anche l’incidenza del costo dell’imballaggio sul prodotto finito. Attualmente, la tendenza in materia di packaging per carni si potrebbe sintetizzare con tre tipologie di processo: overwrap, sottovuoto, confezionamento in atmosfera controllata. Con queste tecniche, infatti, si possono confezionare praticamente tutte le tipologie di carni: sia fresche (rosse e bianche), sia cotte, sia affumicate. In particolare, la tecnica dell’overwrap è impiegata per le carni fresche con una shelf-life particolarmente breve. Per procedere con questa tipologia di confezionamento sono impiegati film stretch abbinati a vassoi in pasta cellulosica e a uno o più fogli drenanti, realizzati in cellulosa e poliolefine, al fine di impedire che il separatore possa aderire alla carne. La carne in overwrap è equiparabile al classico pre-incartato; per il suo confezionamento si utilizzano soprattutto macchine da banco: il vassoio, una volta riempito, è inserito in una confezionatrice a campana che avvolge, salda e retrae il film in una sola operazione. Per quanto riguarda la tecnologia del sottovuoto e quella dell’atmosfera controllata, il motivo del successo di queste tecniche è da ricercarsi nel loro dualismo: oltre a rappresentare una confezione, uniscono il beneficio della conservazione e dell’allungamento della shelf life del prodotto, aspetto oggi senz’altro considerato dal consumatore. In più sono economiche e sicure, per quanto attiene gli aspetti igienico-sanitari. Un’altra considerazione che fa si che l’impiego di queste tecnologie sia premiato, e’ da considerarsi negli aspetti normativi. Secondo la legislazione, infatti, le carni confezionate sottovuoto o in atmosfera protettiva sono definite carni fresche. In particolare, l’articolo 2 del Decreto legislativo 286/94 recita: “tra le carni fresche, rientrano anche quelle confezionate sottovuoto o in atmosfera modificata che non hanno subito alcun trattamento diverso dal trattamento per mezzo del freddo destinato ad assicurarne la conservazione”. Per quanto riguarda invece gli aspetti tecnici, il principio del vuoto è piuttosto semplice: sottraendo l’aria, si crea un ambiente ostile ai patogeni aerobi, che dunque non possono avviare i processi di deterioramento, tipici della loro azione. Non solo. Il prodotto sottovuoto beneficia anche dell’assenza di umidità (che viene estratta) e dunque l’ambiente secco che si viene a creare nelle confezioni fa sì che non si sviluppi una certa tipologia di flora batterica e che il prodotto risulti, anche solo visivamente, sano. A seconda delle dimensioni dell’impresa agroindustriale, e in proporzione alla sua capacità di investimento, per creare il vuoto si potrà optare per macchine a estrazione esterna, o macchine a campana o macchine per processi industriali. Nelle macchine sottovuoto a campana, il contenitore è solitamente un sacchetto in nylon accoppiato con polietilene alimentare a effetto barriera; una volta che l’aria è stata estratta completamente, si attiva il processo di saldatura del lato aperto della busta e la confezione sottovuoto viene sigillata. Le macchine per il confezionamento in atmosfera protettiva, altresì detta MAP, ossia Modified Athmosphere Packaging, sono invece dotate di specifici ugelli la cui funzione è quella di iniettare i gas. Il che significa che, una volta che l’aria viene sottratta, nella confezione è immessa una miscela di gas tecnici che porteranno mantenimento del colore delle carni rosse (nel sottovuoto tendono invece a scurire); si viene cosi a crea un ambiente ostile alle attività batteriche e alla formazione di muffe. L’innovazione tecnologica ha portato a un buon grado di riuscita di questi processi, tanto che oggi è possibile evitare quelle che al consumatore appaiono dei punti di debolezza del sistema. Per esempio, le fette dei prodotti pre-tagliati non aderiscono più tra loro e dunque le confezioni risultano più pratiche e affidabili. Infine, soprattutto per quanto riguarda le linee produttive di carattere industriale, al termine del processo vi è sempre un metal detector, atto a verificare il prodotto già inserito nell’imballaggio primario. A seguire e a completare il tutto, vi è un’etichettatrice automatica, spessissimo legata a una bilancia e dunque capace di riportare in maniera istantanea il peso del prodotto sulle confezioni.