“Made in Italy”, verso Expo 2015

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C0021521 “Nutrire il pianeta – Energie per la vita” è il tema dell’evento universale che a Milano, dall’1 maggio al 31 0ttobre, darà visibilità alla creatività e all’innovazione della filiera alimentare nella sua globalità riproponendo, alla luce dei nuovi scenari globali, il diritto a una alimentazione sana, sicura e sufficiente per il pianeta Terra .

Daniele Rossi, Amministratore Delegato Federalimentare Servizi
Daniele Rossi, Amministratore Delegato Federalimentare Servizi

“Come Federalimentare Servizi – dichiara l’Amministratore Delegato Daniele Rossi – andiamo verso l’Expo 2015 con un atteggiamento di estrema collaborazione e supporto; fin dall’inizio infatti abbiamo sostenuto la candidatura di Milano contro Smirne sui temi alimentari. Con il Comune di Milano e la Regione Lombardia e la Presidenza del Consiglio preparammo tutti i dossier relativi ai contenuti che l’Expo avrebbe dovuto avere a livello alimentare, a partire dalla liberalizzazione degli scambi, dalle filiere integrate, etc. che allora erano il documento programmatico per vincere la gara al BIE, e festeggiammo poi la vittoria di Milano con il Presidente Auricchio e con Gianni Letta allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Successivamente abbiamo tutti sofferto, noi industriali in primis, la gestione faticosa e bicefala dell’avvenimento che ora sembra indirizzata sul cammino giusto, con il rush finale del 2014, per arrivare al traguardo in tempo utile e ben attrezzati. Con Fiere di Parma, Bologna e Verona stiamo realizzando un padiglione delle eccellenze alimentari e con il Ministero e Confindustria stiamo organizzando insieme al il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano la parte espositiva didattica per i visitatori, famiglie ed istituzioni, sui cicli alimentari. Inoltre organizzeremo un incontro tra tutte le Federazioni Industriali Alimentari europee a riprova del nostro grande coinvolgimento alla manifestazione sia sul piano istituzionale come pure su quello dei contenuti e delle relazioni internazionali”. A Dario Dongo – avvocato esperto in diritto alimentare, opinion maker e fondatore di www.greatitalianfoodtrade.com – chiediamo se ritiene che l’Expo 2015 possa rappresentare una sorta di volano per le imprese. “Sicuramente questo Expo può costituire per l’industria alimentare italiana una bella occasione di visibilità. L’Expo universale è una manifestazione unica, a periodicità quinquennale, con prospettive di flusso di visitatori che di gran lunga superano ogni esibizione fieristica per estensione e durata. Vale anzi la pena di ricordare, non é una fiera commerciale bensì una piattaforma che raccoglie istituzioni pubbliche e private, Ong ed enti internazionali, attorno a un tema specifico. In questo caso, “Nutrire il pianeta”. Quale migliore occasione per condividere e promuovere le esperienze italiane, nell’intero corso della filiera agro-alimentare, orientate verso lo sviluppo sostenibile?”. Per quanto riguarda il coinvolgimento, nel corso dell’esposizione, dei comparti delle macchine per il processo alimentare e di quelle per l’imballaggio, Dongo sottolinea che “l’Italia, come non tutti sanno, è uno dei leader globali nella produzione di macchine per la trasformazione agroalimentare, prima ancora che per la produzione alimentare stessa. Il “Made in Italy” si associa a uno stile di vita gaudente ma al tempo stesso rispettoso della società, dell’ambiente e delle risorse naturali. Produzione di alimenti “from the farm to the fork”, come anche cura del territorio rurale e dei paesaggi. The factory conveyor, which prepares rolls with poppy Assumono rilievo pure le tecnologie che consentono di realizzare combustibili di seconda generazione a partire da scarti e residui di lavorazione di silvicoltura e attività connesse, vale a dire senza sottrarre risorse alle produzioni agricole e alimentari. Nella lotta al cambiamento climatico il know how e la tecnologia italiana possono fare la differenza. Prendiamo due esempi recenti. Il primo riguarda un’industria italiana del settore dei macchinari, la modenese P.E. Labellers, recentemente premiata in Brasile per i prodigi di una sua etichettatrice a freddo che consente straordinari risparmi energetici, con un incremento di efficienza di almeno il 28% misurato negli impianti di imbottigliamento di un primario gruppo di “soft drink” acquisito dalla Coca Cola Messico. Il secondo esempio è quello della tecnologia sviluppata da Mossi-Ghisolfi per la produzione di biogas a partire da sterpaglie e residui vegetali di varia natura, celebrata dalle grandi testate economiche internazionali, Financial Times e The Economist in testa, come la nuova frontiera per realizzare energia davvero sostenibile. Portare a reddito attività di manutenzione dei terreni, al contempo utili a preservare le aree rispetto ai rischi legati a fenomeni metereologici estremi, senza incidere sulla produzione alimentare né alterare il mercato delle commodities agricole (come invece, “bio”-etanolo e “bio”-diesel). Si tratta di due esempi di come l’innovazione tecnologica italiana, anche nel settore delle macchine, possa trovare in occasione dell’Expo una vetrina importante”. shutterstock_66700081 Diritto di cittadinanza per gli OGM a Expo 2015? Altra vexata quaestio dibattuta con risalto sulla stampa quotidiana riguarda la presenza degli OGM, nella catena alimentare in relazione a Expo 2015. In proposito Rossi sottolinea: “Come Federalimentare abbia assunto da tempo una posizione di attenzione e di favore nei confronti della ricerca scientifica e tecnologica. E’ necessario infatti non perdere mai le competenze, come purtroppo è avvenuto per il nucleare. Nel caso specifico, vediamo però i consumatori spaventati, una certa tendenza a rimuovere il problema anche se tutta l’Europa è circondata da OGM: dal riso in Cina, all’India, al Brasile (canna da zucchero e mais), dai mangimi a base di soia geneticamente modificata. Due le cose da fare: o restare duri e puri e salvaguardare l’Europa dagli OGM, oppure dobbiamo fare come hanno fatto gli spagnoli, cioè studiarceli, approfondire e capire se la terza e la quarta generazione vanno bene per le piccole colture e se la biodiversità viene preservata. Bisogna cioè avere la possibilità di sperimentare in campo aperto e arrivare a delle valutazioni di tipo scientifico tecnologico, dopodiché decidere cosa fare. Il controllo delle tecnologie è importantissimo e lasciarle in mano agli altri crea dipendenza, non dobbiamo fare battaglie di retroguardia. E’ meglio invece essere competenti, continuare a ricercare, sperimentare e quindi prendere le nostre decisioni di tipo etico e politico industriale con grande serenità. Se dovessimo scoprire, come è stato già evidenziato, che non c’è nessun impatto sulla sicurezza alimentare, potremmo rassicurarci; ma se dovessero in futuro avere rilevanza gli effetti sulla biodiversità e sulle prevalenze sulle colture convenzionali e tradizionali, in questo caso bisognerebbe studiare come proteggere le colture tradizionali, come fare una rete di salvaguardia, ecc. E sono aspetti che vanno ancora studiati e approfonditi. Attendiamo quindi maggiori certezze dalla comunità scientifica, senza oscurantismi ed ideologizzazioni”.

Dongo
Dario Dongo – avvocato esperto in diritto alimentare, opinion maker e fondatore di www.greatitalianfoodtrade.com

Restando in tema di OGM Dongo ritiene che “Non si possono chiudere gli occhi di fronte all’evoluzione tecnologica, ma bisogna piuttosto tenere conto di una serie di fattori, non solo etici ma anche ambientali e di tutela della vita nel suo insieme. A mio umile avviso sarebbe utile superare il dibattito aprioristico – OGM sì, OGM no – per considerare ulteriori elementi. Anzitutto, perché un OGM è stato progettato. Prendiamo due progetti antitetici: il “Roundup Ready”, ideato per consentire alla pianta di resistere al glifosato, noto interferente endocrino oltreché micidiale pesticida, col risultato di favorire l’inquinamento delle falde acquifere. E il “BT”, progettato invece per la resistenza naturale del mais a un parassita che di per sé é in grado di provocare la genotossicità degli alimenti derivati dalle piante contaminate. O ancora il “Golden Rice”, o la patata indiana all’amaranto, concepiti per integrare la nutrizione di popolazioni bisognose. Un’altro tema da valutare è l’eventuale mix di DNA di specie diverse, animale e vegetale, che rileva anche da un punto di vista della bio-etica. Un altro aspetto, di rilievo sociale e geo-politico, é l’estensione – o la riserva – dei diritti di utilizzo. Oltre a doversi sempre e comunque valutare – e rivalutare periodicamente – la sicurezza nel medio-lungo periodo per l’ambiente e per i consumatori.” Etichettatura d’origine: tutela del Made in Italy? Venendo alla protesta di Coldiretti al Brennero e a Montecitorio dello scorso dicembre contro l’importazione di materie prime alimentari, Rossi ritiene “la posizione di Coldiretti retriva oltre che protezionistica. Se l’Italia avesse la prospettiva di grande espansione delle proprie colture agricole e allevamenti, tali cioè da giustificare questa scelta un po’ autarchica, potrei capire, in realtà tutte le volte che abbiamo provato a dialogare con Coldiretti sulla possibilità di aumentare la quantità e la qualità (per esempio per la soia, cereali, latte e olio), Coldiretti non è stata in grado di rispondere alle esigenze di miglioramento della qualità e della quantità. E questo in un’ottica di globalizzazione è francamente un po’ ridicolo”. Riferendosi poi al commento in proposito di Dario Di Vico (Corriere della Sera, 6 dicembre 2013) “Importare è necessario, noi aggiungiamo qualità”, Rossi ricorda che “l’agricoltura contribuisce alle materie prime destinate alla trasformazione per un valore di 30 miliardi di euro, l’industria ne fattura 132 di cui 27 miliardi di euro all’estero; si può ben capire il diverso contributo al valore aggiunto del Made in Italy”. Quanto alla nostra scarsa produzione agricola del Paese, Rossi non crede sia colpa di un’urbanizzazione selvaggia quanto piuttosto “della scelta sposata dalle Confederazioni Agricole, in particolare Coldiretti,  di forte assistenzialismo del mondo agricolo che ha fatto sì che il disaccoppiamento e l’assenza di una soglia minima di accesso ai contributi consentissero il mantenimento di dimensioni così ridotte,  di appezzamenti fondiari rimasti molto piccoli, addirittura frazionati nel tempo, senza economie di scala e senza attenzione alle quantità oltre che alle quantità. Questo sulla distanza ha portato a produzioni molto locali, di nicchia, cioè di cura del particolare, ma mai su scala industriale, a differenza dei francesi, dei tedeschi, degli spagnoli o addirittura di alcune popolazioni che si stanno affacciando al mondo agricolo per l’Industria come la Polonia e la Romania. In Italia abbiamo sempre privilegiato politiche di forte tutela degli agricoltori piuttosto che la salvaguardia delle produzioni. Questo ha fatto sì che adesso sia che l’agricoltore decida di piantare o non piantare niente, percepisce ugualmente i suoi 300/350 euro a ettaro. Ovviamente tutte le colture più difficili, meno remunerative, i terreni meno vocati e quelli che richiedono maggiore mano d’opera sono state abbandonati. Questo disaccoppiamento che già vedeva un’agricoltura deficitaria, ha accelerato ancora di più la dipendenza dall’estero, tanto che importiamo, per fare un esempio, latte, cereali, vegetali, olio e carne in percentuali diverse che vanno dal 20 al 50% delle esigenze produttive. Pasta Sull’annoso problema dell’etichettatura d’origine da estendere a tutti i prodotti alimentari, come vorrebbe Coldiretti nella sua strenua difesa dell’italianità delle materie prime agroalimentari, Dario Dongo ritiene che “bisognerebbe cercare di mediare le opposte posizioni, della grande industria da un lato e di Coldiretti dall’altro, per concordare quali notizie possano effettivamente venire mantenute o aggiunte all’etichette delle diverse categorie di prodotti. Nell’ottica di realizzare un beneficio condiviso per il comparto agricolo, la filiera della trasformazione e i consumatori. Un valore aggiunto che non si deve ridurre a un inutile onere o gabella. Prendiamo a esempio gli oli, tanto può apprezzarsi l’informazione sulla provenienza delle olive, quanto può risultare irrilevante la notizia sull’origine dei semi. D’altra parte, nello stesso Regolamento 1169/2011 è previsto da parte della Commissione europea la realizzazione di apposite valutazioni di impatto in merito all’opportunità di estendere l’indicazione d’origine obbligatoria a un ampio novero di prodotti alimentari, tra i quali quelli lattiero-caseari con riferimento all’origine del latte, i prodotti mono-ingrediente, i prodotti nei quali vi sia un ingrediente primario, che rappresenta cioè oltre il 50% della formula del prodotto, come pure la carne utilizzata come ingrediente di altri prodotti. Si tratta, a mio avviso, di trovare una via ragionevole che deve comunque venire declinata da categorie di prodotti ad altre ed anche, nell’ambito di ciascuna categoria di prodotti, per singoli prodotti tenendo conto della realtà di mercato, della realtà produttiva, della possibilità di incentivare la produzione agricola primaria allorché localizzata in Italia, di incentivare la trasformazione in Italia, e anche di trovare un riconoscimento”.

Stato dell’insicurezza alimentare nel mondo
Secondo dati FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, sono 842 milioni le persone sottoalimentate nel periodo 2011-2013 e la stragrande maggioranza di queste vive nei paesi in via di sviluppo, mentre 15,7 milioni vivono nei paesi sviluppati. Molti i fattori che hanno contribuito a far migliorare la disponibilità di cibo, tra cui la costante crescita economica nei paesi in via di sviluppo che hanno migliorato il reddito e l’accesso al cibo, oltre a una ripresa della produttività agricola sostenuta da un aumento degli investimenti pubblici e da un rinnovato interesse degli investitori privati nel settore agricolo. Nonostante i progressi compiuti a livello globale, persistono marcate differenze geografiche nella riduzione della fame. L’Africa sub-sahariana ha fatto pochi progressi in questi ultimi anni e rimane la regione con la più alta percentuale di denutrizione pari al 24,8% della popolazione. Non si registra nessun progresso in Asia occidentale, mentre l’Asia meridionale e l’Africa settentrionale hanno fatto piccoli passi avanti. Riduzioni più consistenti, sia nel numero di affamati che nella diffusione della denutrizione, sono tate registrate nella maggior parte dei paesi dell’Asia orientale, del Sud-est asiatico e dell’America Latina. Dal 1990-’92 a oggi il numero totale delle persone sottonutrite nei paesi in via di sviluppo è sceso del 17% passando da 995,5 milioni a 826,6 milioni.