Consulenza alimentare, l’impegno di ogni giorno

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E’ quindi cambiato anche il modo di fare consulenza…

Si. Oggi più che mai, il supporto tecnico alle aziende deve essere sostenibile e mai astratto; deve essere incentrato su concretezza e realismo: l’indicazione tecnica acquista forza e valore solo se è praticabile e commisurata al contesto. Le aziende chiedono aiuto per sostenere le crescenti richieste dei clienti e della normativa alimentare, per alzare l’asticella delle proprie prestazioni ed aggredire nuovi mercati. Queste esigenze già di per sé complesse possono, a fronte delle ridotte disponibilità economiche, diventare una bella sfida. Il consulente deve essere nel mercato per cogliere ed anticipare i cambiamenti e nell’azienda cliente per valutarne potenzialità e dinamiche; deve valutare i sistemi di gestione come mai si è fatto prima, capire le reali fonti di non conformità, scoprire perché l’azienda non riesce a porvi rimedio e soprattutto deve avere il coraggio di mettere in discussione le certezze dell’imprenditore e del management. La crisi, in molti casi, demotiva e porta a dare per scontata una certa situazione negativa, il consulente deve trovare la soluzione, basandosi sugli elementi che raccoglie nel proprio lavoro. Un approccio che mi interessa particolarmente, per via con tutta probabilità della formazione ricevuta durante gli studi universitari.

Un Fisico affronta il settore alimentare in modo diverso rispetto ad un tecnologo?

Ritengo che gli studi in Fisica possano facilitare l’affronto dei problemi fornendo un metodo di lettura ed analisi dei processi, tuttavia non necessariamente garantiscono il risultato. L’esperienza maturata in questi anni e la fattiva collaborazione con i colleghi, mi hanno portato a concludere che ciò che fa davvero la differenza sono le capacità di ciascuno e la serietà con cui si lavora. Non lo dico per retorica. Nessun percorso di studi per quanto mirato e specialistico, può sostituire queste due condizioni di base.

Innovazione. Il mondo dei superconduttori è stato per diversi anni uno dei comparti più promettenti della ricerca tecnico scientifi ca, e il settore alimentare…

La ricerca è altrettanto attiva e celere anche in questo settore. Si consideri ad esempio quanto sta avvenendo nel comparto materiali a contatto con gli alimenti: la necessità di una vera e grande innovazione tecnologica porta ad un intreccio di varie discipline in passato estranee al “mondo dell’alimentare”.

Che direzione ha imboccato la fi liera alimentare?

Sono cambiati i mercati di riferimento e di conseguenza operatività ed abitudini. Si affrontano temi più specialistici e gli standard sono sempre più specifici per il singolo settore. I problemi sono affrontati con un’ottica più ampia ed internazionale. Il consulente è chiamato a trattare temi sempre nuovi, ad utilizzare sempre di più testi, documenti tecnici e legislativi riguardanti altri Paesi.

Cosa servirebbe al settore alimentare per crescere davvero?

Non è facile rispondere. Per quanto concerne l’Italia, l’alimentare risente dei problemi che investono l’intero Paese. Il fattore economico incide sensibilmente perché limita gli investimenti e talvolta mette a rischio la sopravvivenza delle aziende, ma non è l’unico. Ho la sensazione che ogni contesto aziendale sia costretto a trovare da solo risorse e riferimenti per il proprio sviluppo tecnologico ed economico; mancano chiare linee di indirizzo e di promozione del comparto agroalimentare nel suo complesso. Le aziende che ho visto crescere di più, in termini di sviluppo tecnologico e competenze, sono cambiate perché i clienti hanno “obbligato” l’organizzazione ad investire in risorse impiantistiche, strutturali e conoscenze intellettuali. L’Italia ha prodotti e conoscenze tecniche, ma è priva di un “sistema” che sappia valorizzare questo patrimonio. Per esempio, mi fa sempre un certo effetto assistere, nelle nostre città, al proliferare di punti vendita della grande distribuzione straniera, che promuovono alimenti realizzati nei loro territori di origine, togliendo spazio ai nostri. Non ne faccio un problema di protezionismo, ma di maggior tutela e valorizzazione del patrimonio di competenze, prodotti e produttori italiani. Sarebbe inoltre auspicabile una maggiore collaborazione fra Università ed impresa non solo per quanto riguarda la definizione dei percorsi formativi per i futuri laureandi, ma anche nella ricerca applicata. Non sempre le aziende che vogliono innovare riescono ad avvalersi di collaborazioni in tal senso.