Di cosa si tratta?
È un efficace percorso formativo che insegna il mestiere e sviluppa i talenti. L’istituzione risale al medioevo e permette di girare la Francia lavorando e vivendo nelle case e nelle botteghe di competenti artigiani, disposti ad insegnare ad allievi volenterosi. Quando l’apprendista è sufficientemente formato, è inviato presso un’altra bottega per un ulteriore perfezionamento. Ho imparato tantissimo, ho incontrato i grandi professionisti dell’epoca come Michel Roux e Paul Bocuse ed ho avuto per compagni di viaggio alcuni apprendisti poi divenuti celebri: Alain Ducasse, Pierre Hermè e altri.
Quando ha avuto la sua prima pasticceria?
A vent’anni, mi sono sposato ed ho aperto; nel frattempo i miei vecchi compagni di scuola affrontavano l’esame di maturità. La mia storia dovrebbe far riflettere i pedagogisti. L’attuale sistema formativo danneggia i ragazzi più intelligenti, spegnendo il loro entusiasmo e sprecando il loro tempo. A 18 anni si dovrebbe già essere parte attiva della società. Forte di questa convinzione ho preparato per sottoporlo al Ministero della pubblica istruzione, un progetto di ammodernamento dell’ordinamento scolastico che preveda un precoce inserimento nel mondo del lavoro.
Nonostante il suo controverso rapporto con la scuola, oggi lei è un plurilaureato…
A 29 anni, ho ripreso gli studi. Conseguita la maturità all’alberghiero, ho frequentato Scienze e tecnologie alimentari a Piacenza, per poi passare all’Università Jean Monnet di Bruxelles dove mi sono laureato, a pieni voti, in Scienze culinarie con una tesi sulla differenza tra cacao per le lavorazioni artigianali e cacao per le lavorazioni industriali. Sto iniziando il percorso di laurea in Scienze del turismo ed in Brasile ho ricevuto una laurea honoris causa in ingegneria, per alcune ricerche sulla fluidodinamica e per aver brevettato diverse attrezzature per la fermentazione e l’essiccazione del cacao. A Vicoforte, in provincia di Cuneo, dove vivo e lavoro, ho creato e sto ampliando il Museo del cioccolato, visitato da 50 mila persone all’anno.
La scienza del cacao
Come sceglie il suo cacao?
Ci sono tre tipi di cioccolatieri: gli scioglitori, i miscelatori ed i torrefattori. Ho percorso le prime due fasi con discreta soddisfazione ed oggi vado alle sorgenti del cacao perché voglio “determinare” la qualità dei miei prodotti. Il segreto per avere un buon cacao sta nella selezione varietale e nella lavorazione: raccolta, fermentazione, essiccazione, torrefazione. Per esempio, valutare il grado di fermentazione basandosi sul colore dei semi è un grosso errore; se in cantina adottassimo lo stesso parametro di giudizio, dovremmo affermare che il vino è fermentato al punto giusto quando diventa marrone. Il colore del seme di cacao non ha nulla a che fare con la fermentazione, deriva infatti dall’ ossidazione enzimatica degli antociani. Durante la fermentazione avvengono reazioni chimiche e biologiche ben più complesse e determinanti per lo sviluppo dell’aroma del cacao.
In più occasioni ha affermato che manca la figura professionale del cacaologo, chi è?
Riprendo il paragone con il vino. Le cantine sorgono a poca distanza dalle vigne e la produzione del vino è affidata ad un enologo che ha nozioni su vigneti, uva e vino. Nella produzione del cioccolato questo non avviene, il cacao è coltivato e trasformato a migliaia di chilometri dalle fabbriche di cioccolato. Ci sono scienziati del cacao, preparati per massimizzare la resa agricola e scienziati del cioccolato capaci di trasformare qualsiasi cacao, buono o pessimo, in un cioccolato accettabile. Manca l’anello di congiunzione tra queste due realtà: il cacaologo, figura della quale ho discusso anche con vertici del politecnico di Torino. La discrepanza di intenti tra scienziati del cacao e scienziati del cioccolato ha focalizzato la ricerca sulla progettazione d’impianti atti a ridurre i difetti del cacao per poter lavorare qualsiasi tipo di materia prima ed ottenere un cioccolato scuro, vanigliato e con snap accettabile. Preso atto di questa realtà, ho cercato di documentarmi il più possibile sulla fase che intercorre tra la raccolta e la macinazione dei semi.
I risultati
Ha ottenuto risultati degni di nota?
Studiando, mi sono imbattuto nell’agricoltura biodinamica di Steiner e nell’ayurveda, due mondi distanti per geografia, tempo e cultura. Unendo i principi delle suddette discipline ho delineato un mio percorso. Ho viaggiato per conoscere a fondo le terre del cacao, ho fondato la Fine Chocolate Organization intesa a sviluppare una filiera corta ed equa del cioccolato, ho incontrato esperti chiedendo loro perché si faceva una determinata cosa, se la si poteva fare diversamente, meglio, con più attenzione nel rispetto degli agricoltori, dei trasformatori, dell’ambiente e dei consumatori. Consumatori ed agricoltori sono gli anelli “ignoranti” della filiera. I primi non sanno cosa comprano, i secondi non sanno cosa producono. Questa convinzione, mi ha indotto a fondare FIVE, organizzazione internazionale che collega i cinque fattori fondanti del futuro mercato del cacao e non solo. I prodotti dovranno essere: buoni, sani, sicuri, giusti (nessuno degli anelli della filiera deve essere sfruttato), sostenibili. Il simbolo di FIVE è una mano aperta: non nasconde nulla, può dare e ricevere, dipende dal cervello senza intermediari. Ciascun dito lavora in sintonia con gli altri per un unico fine.
Quale è il miglior cacao del mondo?
Non esiste, o meglio, esistono tanti miglior cacao in funzione dei diversi usi. Premesso che un cacao può essere lavorato male o bene e che si può ottenere un pessimo cioccolato pur partendo da un ottimo cacao. Quando un cacao è lavorato bene entra in gioco la biodiversità che ne definisce la personalità, la forza evocativa ed emozionale. Oggi prevale la standardizzazione tanto è vero che, un processo industriale finalizzato ad eliminare i difetti del cacao, spesso ne elimina anche i pregi e lo appiattisce. Dal punto di vista quantitativo, il maggior produttore al mondo è la Costa d’Avorio; con il locale Ministero dell’agricoltura sto sviluppando un progetto per passare dalla produzione tradizionale alla produzione biodinamica. Tra i migliori coltivatori citerei i Franceschi, famiglia corsa trapiantata in Venezuela dal 1830. Al primo posto nella trasformazione c’è la signora Efigenia, direttrice di un centro di eccellenza in Barlovento sulla costa Venezuelana, dove le produzioni sono controllate puntualmente e con grande professionalità. Le fermentazioni sono tuttora empiriche e poco ripetibili. Per questo ho ideato e sto perfezionando il metodo B.M.P. (Bessone Method Patent).
In cosa consiste?
Si identificano ed analizzano i ceppi microbici coinvolti nella fermentazione, i parametri di processo (tempi e temperature), le tecniche per arrivare a specifiche concentrazioni di determinati principi attivi ed aromatici. La mia ricerca è intesa a dare un supporto scientifico ed oggettivo alla lavorazione del cacao, per poter, in futuro, utilizzare il cioccolato a fini nutraceutici. A tal fine, ho creato un centro di ricerca e formato diversi ingegneri agrari in Ecuador.
La qualita’ del cioccolato
Diceva che da un ottimo cacao si può ottenere del pessimo cioccolato…
Si, c’è dell’ottimo cioccolato ottenuto da cacao e lavorazioni di qualità e del pessimo cioccolato ottenuto dal medesimo cacao. Si vende comunque grazie ad un’eccellente strategia di comunicazione. Una lavorazione sbagliata può rendere il cioccolato troppo astringente, caratteristica che non dipende dai tannini (sostanze che precipitano alcune proteine della saliva, dando la classica astringenza), ma dalla polverizzazione delle particelle di cacao che bloccano la salivazione lasciando la bocca impastata. La percezione del sapore è temporaneamente distorta; devono infatti trascorrere alcuni minuti perché questo indesiderato “tappo” si dissolva.