L’elevato contenuto in acidi grassi polinsaturi rende le noci un alimento particolarmente apprezzato dai consumatori, ma il suo utilizzo a livello industriale è, però, limitato dall’elevata suscettibilità all’ossidazione che comporta perdite nutritive e di appetibilità. Nuove sperimentazioni applicative potrebbero ovviare a questo problema.
Secondo la FAO (dati 2014, media 2008-12) la produzione di frutta secca nel mondo è di circa 14 miliardi di tonnellate all’anno, di cui circa 3 milioni sono noci in guscio, prodotte prevalentemente in Cina, Iran e Stati Uniti. Il settore ha vissuto, negli ultimi anni, una fase di forte espansione grazie alla crescente richiesta del mercato. Nonostante l’importante profilo nutrizionale e sensoriale, l’utilizzo delle noci a livello industriale è, però, limitato dalla loro elevata suscettibilità all’ossidazione che comporta perdite a livello sia di valore nutritivo, sia di appetibilità. L’elevato contenuto in acidi grassi polinsaturi (PUFA), se da un lato apporta benefici alla salute del consumatore, dall’altro favorisce l’irrancidimento ossidativo portando allo sviluppo di composti volatili indesiderati e di off-flavours. Come noto, le noci si caratterizzano, per essere un’importante fonte di grassi. I principali componenti della frazione oleosa sono acidi grassi monoinsaturi (acido oleico) e acidi grassi polinsaturi omega 3 e omega 6 (acido linoleico e α-linolenico). Questi ultimi rappresentano circa il 70-80% degli acidi grassi totali e rendono quello di noci uno degli oli vegetali più ricchi in PUFA. Fonte di fibre ed elementi minerali, le noci sono particolarmente ricche in tocoferoli (Vitamina E), antiossidanti liposolubili presenti prevalentemente in forma di γ-tocoferolo, il cui contenuto varia da 194 a 297 mg/Kg. Tra i composti presenti con note proprietà antiossidanti troviamo anche i composti fenolici, localizzati in elevata concentrazione soprattutto nel tegumento esterno del gheriglio. Fattori genetici e ambientali, oltre che aspetti legati alla raccolta e allo stoccaggio, influenzano in particolare il contenuto in polifenoli non-flavonoidi (tannini ellagici). Se le noci subiscono danneggiamenti o sono sottoposte a particolari processi tecnologici, che possono andare a ledere le particelle in cui sono racchiusi i grassi, il rischio dell’insorgenza di alterazioni aumenta.
In queste condizioni i lipidi, non più protetti dalle membrane, possono entrare a contatto con l’ossigeno, con la luce, con enzimi lipolitici (endogeni ed esogeni) e con metalli presenti nei tessuti vegetali, che agiscono come catalizzatori, e andare così incontro al processo di ossidazione. Il processo ossidativo risulta, quindi, favorito dall’impiego di materia prima di scarsa qualità (danneggiata o contaminata da microrganismi lipolitici), da condizioni di stoccaggio non idonee, da processi di lavorazione (trattamenti termici o macinazione) che comportano un aumento della superficie esposta all’ossigeno. I principali enzimi coinvolti nel fenomeno sono le lipasi che, agendo sui trigliceridi, liberano gli acidi grassi determinando un aumento dell’acidità. L’attività delle lipasi è condizionata da diversi fattori quali umidità, temperatura e pH. Tra questi, umidità e acqua libera (aw) giocano un ruolo fondamentale. Esse, infatti, determinano l’attivazione della reazione e agiscono sull’equilibrio termodinamico della stessa: un’umidità del 5% e un aw dello 0,25 sono sufficienti a favorire il processo degradativo. Gli acidi grassi liberi che si formano vanno poi incontro all’azione della lipossigenasi, che agisce principalmente sugli acidi linolenico, linoleico e arachidonico, e a un processo di autossidazione catalizzato dal ferro e dal rame. Temperature superiori ai 50°C sono, però, in grado di indurre la denaturazione e quindi l’inattivazione di tale enzima. Studi condotti sulle noci hanno dimostrato che brevi trattamenti termici determinano riduzioni non indifferenti dell’attività della lipossigenasi: trattamenti a 55°C per 2 minuti riducono l’attività enzimatica del 62%, mentre trattamenti a 60°C per 2 o 10 minuti comportano una diminuzione dell’attività della lipossigenasi rispettivamente del 75 e dell’81%. Gli idroperossidi che si formano per azione della lipossigenasi si caratterizzano per essere altamente instabili, e per originare una serie di sottoprodotti (quali composti carbonilici volatili o composti non volatili) che nel tempo possono andare a loro volta incontro a modificazioni.
Aspetti applicativi
A causa della loro ridotta stabilità ossidativa le noci trovano, quindi, scarso impiego a livello industriale. L’obiettivo da perseguire è, perciò, quello di accrescere la stabilità dei semi-lavorati e dei prodotti a base di noci al fine di renderne più semplice e sicuro l’impiego. Per favorire la trasformazione e aumentare la conservabilità delle noci la tostatura può essere considerata uno dei metodi più efficaci: il trattamento termico applicato determina, infatti, importanti effetti quali l’inattivazione enzimatica, il rafforzamento delle caratteristiche aromatiche e l’incremento della resa nell’estrazione dell’olio. Se si esaminano le caratteristiche chimico-fisiche di noci, tostante e non, mantenute al buio a 60°C per 12 giorni, è possibile notare come il contenuto in acidi grassi non subisce variazioni significative durante il periodo di conservazione. Gli effetti della tostatura si rilevano maggiormente considerando il numero di perossidi, la percentuale dei dieni e il contenuto di tocoferoli. Uno studio condotto da Bipin Vaidya e collaboratori (2012) ha infatti dimostrato che sia i perossidi che i dieni, nelle noci tostate e non, tendono a crescere all’aumentare del tempo di stoccaggio a 60°C; tuttavia l’incremento nelle noci tostate è inferiore rispetto a quello delle noci non tostate e questo fa sì che, al termine del periodo di conservazione, i valori indicatori della stabilità ossidativa siano peggiori nelle noci non tostate.Questo conferma, quindi, il fatto che la tostatura accresce la stabilità rallentando il processo di ossidazione. Se si considera l’andamento dei tocoferoli, si osserva come all’aumentare del tempo di conservazione il loro contenuto decresce. La biodisponibilità dei tocoferoli aumenta nei prodotti sottoposti a trattamenti termici in quanto l’esposizione ad alte temperature può comportare la rottura delle pareti cellulari e quindi un maggiore rilascio di tali composti: tuttavia, in questo modo, essi risultano maggiormente esposti alla luce, all’ossigeno e al calore e, di conseguenza, soggetti a un maggior deterioramento. Confrontando i valori relativi alle noci tostate con quelli delle noci non tostate è possibile notare come il decremento sia superiore nelle noci non tostate. Alcuni studi hanno evidenziato un comportamento antiossidante esercitato anche dai prodotti della reazione di Maillard che può comportare una maggiore ritenzione dei tocoferoli. L’interazione tra i due antiossidanti può, dunque, accrescere la stabilità ossidativa nelle noci tostate. La shelf life delle noci dipende, quindi, da un delicato equilibrio tra sostanze fitochimiche ossidabili, composti pro-ossidanti e antiossidanti. Generalmente, le noci vengono consumate intere, fresche o tostate, e solo una piccola quota viene destinata alla trasformazione industriale. Oltre all’olio, in commercio si trovano relativamente pochi prodotti a base di noci che, nella maggior parte dei casi, sono succedanei aromatizzati. La possibilità di sviluppare semi-lavorati stabili nel tempo (sotto forma di polveri, paste, ecc.) ne consentirebbe l’utilizzo in molteplici preparazioni.