Regolamento (UE) 1169/2011, denominazione degli alimenti

7935

Frau nimmt Haltbarkeitsdatum unter die Lupe

La denominazione degli alimenti è l’indicazione obbligatoria, forse, più importante tra quelle prescritte dal regolamento (UE) 1169/2011. Essa altro non è che il nome del prodotto o con il quale lo stesso è conosciuto ed identificato dal consumatore; corrisponde alle prescrizioni comunitarie o nazionali ad esso applicabili. Approfondimento di Giuseppe De Giovanni, consulente ed esperto sul tema etichettatura

ImmagineTutte le indicazioni di etichettatura soggiacciono ai principi stabiliti dal Regolamento citato, mentre l’uso delle denominazioni soggiace solo alle disposizioni nazionali, in mancanza di quelle comunitarie. Ai fini della scelta della denominazione, è previsto un ordine da osservare:
a) denominazione comunitaria, prescritta solo in pochi casi e per pochi prodotti, quali vermut e bevande aromatizzate a base di vino, bevande spiritose, grassi spalmabili, cacao e cioccolato, confetture e succhi di frutta. In mancanza,
b) la denominazione legale prescritta dalle disposizioni nazionali, quali salame, prosciutto cotto, panettone, savoiardo, birra, ma anche le denominazioni legali di derivazione comunitaria contenute in direttive (miele, prodotti di cacao e cioccolato, confetture, ecc.).

In mancanza:
c) la denominazione usuale (conforme a usi e consuetudini) o merceologica, quali caramella, biscotto, gelato. In mancanza
d) la descrizione del prodotto, accompagnata, se necessario, da un’informazione sulla sua natura e/o sulla sua utilizzazione, onde evitare di confondere l’acquirente sulle caratteristiche.
Ai fini dell’applicazione di detti principi si reputano necessarie ulteriori considerazioni: sono tralasciate le denominazioni comunitarie, che rispondono agli stessi principi in tutti gli Stati membri.

Denominazioni nazionali
In mancanza di disposizioni comunitarie si applicano le norme nazionali. L’ordinamento italiano prevede in materia numerose denominazioni obbligatorie, quali quelle relative alla birra, ai derivati del pomodoro, alla pasta e al pane, a taluni prodotti di salumeria e a taluni prodotti dolciari da forno. Sono state determinate per tener conto della specificità delle produzioni e rispondere così alle aspettative dei consumatori. I prodotti provenienti da altri Stati membri possono essere venduti in Italia con la stessa denominazione prescritta o ammessa nel Paese d’origine. E’ consentito, tuttavia, utilizzare anche la denominazione prescritta o ammessa in Italia, rispettando in questo caso le regole qui previste, onde evitare che il consumatore italiano possa essere indotto in errore sulle caratteristiche del prodotto. Il produttore degli altri Paesi ha, pertanto, per i prodotti destinati al mercato italiano, la possibilità di scelta tra le denominazioni consentite nel proprio Paese e quelle italiane, ma la scelta è subordinata al rispetto delle regole nazionali. La denominazione del prodotto estero, qualora esso si discosti in termini non sostanziali dal prodotto nazionale, deve essere completata da una dicitura che ne evidenzi la differenza rispetto all’analogo prodotto nazionale. Esempio: succo di pomodoro, ottenuto da concentrato, rispetto al succo di pomodoro ottenuto per spremitura diretta dal pomodoro fresco. Per il primo prodotto, è richiesta l’aggiunta della dicitura “ottenuto da concentrato” oppure “da concentrato”, come peraltro precisato dal Ministero dell’industria del commercio e dell’artigianato con la circolare n. 166, in quanto le caratteristiche dei due prodotti sono diverse soprattutto in termini di gusto e di costo. Le autorità competenti del Paese di commercializzazione possono vietare sul loro territorio l’uso di denominazioni sui prodotti provenienti da altri Stati membri, se il prodotto è sostanzialmente diverso, o se le caratteristiche sono ritenute false o ingannevoli. E’ il caso di prodotti di imitazione fabbricati ad arte per fruire della notorietà di specifiche denominazioni di vendita ben conosciute sul mercato nazionale. Il “panettone”, ad esempio, fabbricato con una quantità di burro e/o di uova inferiore a quella minima prescritta dalla normativa italiana sui prodotti dolciari da forno, o con ingredienti alternativi, deve essere posto in vendita e presentato con una denominazione diversa, quale “Dolce di Natale”. La ricotta, che in taluni Paesi è denominata formaggio, se venduta in Italia, deve essere denominata “ricotta” e non formaggio.