Attualmente i materiali biodegradabili per imballaggi alimentari sono molto studiati. Fra i vari polimeri biodegradabili, troviamo i poliidrossialcanoati (PHA), che sono una famiglia di materiali prodotti da quasi un centinaio di batteri tra cui il Bacillus, Rhodococcus, Pseudomonas, ecc., mediante fermentazione di molecole carboniose di origine naturale (zuccheri delle piante). In particolari condizioni di coltura, quale l’assenza di azoto, fosforo e zolfo, le macromolecole di PHA vengono accumulate dai batteri come fonte carboniosa di riserva, sotto forma di granuli che possono raggiungere anche elevate concentrazioni, fino al 90% del peso secco della massa batterica. La composizione dei poliidrossialcanoati è molto varia e dipende dal tipo di batteri da cui sono sintetizzati, nonché dalla matrice di coltura. Il più comunemente studiato è l’omopolimero poliidrossibutirrato (PHB), ma possono essere prodotti anche copolimeri, come il poliidrossibutirrato-co-poliidrossivalerato. Le proprietà dei PHA variano dunque in funzione della loro composizione. Si possono avere tre tipologie di lunghezza di catena:
• catena corta, quando ci sono 1-5 atomi di carbonio. Questi PHA sono sintetizzati da numerosi batteri, come ad esempio la Ralstonia eutropha e l’Alcaligenes latus; sono molto fragili e hanno scarse proprietà elastiche;
• catena media, quando ci sono 6-14 atomi di carbonio. Questi PHA possono essere prodotti dalla Pseudomonas putida; sono duttili e facili da sagomare. Alcuni batteri, tra cui l’Aeromonas hydrophila e lo Thiococcus pfennigii, sintetizzano PHA a catena sia corta che media;
• catena lunga, quando ci sono più di 15 atomi di carbonio.
La grande variabilità delle catene conferisce a tali materiali altrettanta variabilità di caratteristiche fisiche, con punti di fusione che vanno da 40 a 180°C. Possiamo inoltre trovare PHA che sono essenzialmente polimeri termoplastici, come ad esempio il poliidrossibutirrato, oppure gomme come ad esempio il poliidrossiottanoato. In generale comunque questi biopolimeri hanno interessanti proprietà fisiche e meccaniche: oltre a essere biodegradabili, questi materiali sono biocompatibili, quindi sono biopolimeri intesi nella doppia accezione del termine, ossia derivano da fonti rinnovabili (e non dal petrolio come le plastiche convenzionali) e sono biodegradabili, possono essere lavorati con attrezzature convenzionali ed infine sono stabili all’UV, a differenza di altri tipi di bioplastiche derivate da polimeri come l’acido polilattico. Le proprietà meccaniche e la biocompatibilità dei PHA possono anche essere modificate fondendoli, modificandone la superficie o combinandoli con altri polimeri, enzimi e materiali inorganici. Grazie a tutte queste proprietà, i PHA hanno trovato applicazioni in diverse forme di materiali di imballaggio, tra cui pellicole, scatole, rivestimenti, fibre e materiali espansi. I PHA sono stati studiati in modo approfondito da K. Khosravi-Darani et al. (2015, 275). Tra i PHA, il PHB è particolarmente interessante perché ha proprietà molto simili alle plastiche convenzionali, come il polipropilene (PP), ed ha una buona resistenza all’umidità. Il PHB è stato il primo PHA in ordine di tempo ad essere scoperto ed è anche il più ampiamente studiato e caratterizzato; ha una temperatura di fusione elevata, può essere estruso, stampato, filato in fibre e trasformato in pellicole. Non è solubile in acqua ma biodegradabile al 100% e ha attività ottica e buone proprietà di barriera. Nonostante le buone proprietà generali dei PHA, il loro utilizzo è stato finora limitato da alcuni inconvenienti: in primo luogo, il loro costo elevato rispetto alle materie plastiche derivate dal petrolio. Tuttavia, negli ultimi anni l’applicazione di colture miste utilizzando diversi ceppi, la modifica del DNA della cellula microbica per favorire la sintesi e l’accumulo del biopolimero ed infine lo sviluppo dei processi sono stati già proposti come un modo efficace per migliorare la capacità di produzione e ridurre i costi. Un altro problema è rappresentato dalla ristretta “finestra” di fusione: la stabilità termica è bassa durante la lavorazione, e questo provoca una diminuzione della viscosità e della massa molare. I principali approcci per migliorare le proprietà termiche dei PHA per imballaggio alimentare sono la modifica della superficie oppure la combinazione con altri polimeri, materiali inorganici e/o enzimi. Un altro approccio per migliorare le proprietà è rappresentato dall’uso delle nanotecnologie, generando nuovi materiali con particolari proprietà. Ad esempio, sono stati sviluppati nanocompositi di PHA con silicati quali montmorillonite, idrossidi a strati doppi e nanotubi di carbonio. Si ricorda che, in generale, un composito è un materiale costituito da più materiali semplici differenti, ognuno dei quali costituisce una differente fase ed è dotato di proprietà fisico-chimiche differenti. Quindi un materiale composito è caratterizzato da una struttura non omogenea. L’insieme delle diverse parti costituisce un prodotto in grado di garantire proprietà meccaniche elevatissime (a questo scopo fondamentale è la cura dell’adesione interfacciale tra fibre e matrice) e massa volumica decisamente bassa. Inoltre, il miglioramento delle proprietà del composito è in diretta correlazione con la dispersione delle diverse fasi. In particolare, l’incorporazione delle nanoparticelle di PHA in una matrice polimerica può modificare alcune caratteristiche importanti del polimero, come ad esempio la velocità di biodegradazione, il comportamento di cristallizzazione, la morfologia, la stabilità, la migrazione di determinate componenti dal materiale al prodotto migliorando così la sicurezza degli alimenti, le proprietà termiche e meccaniche (ad esempio le proprietà barriera, la flessibilità e la stabilità). L’incorporazione di nanoparticelle ben disperse nei materiali da imballaggio suggerisce anche una nuova strategia per estendere la durata di conservazione in frigorifero degli alimenti termosensibili. Infatti, utilizzando imballaggi nanocompositi contenenti agenti attivi (ad esempio con funzione antimicrobica, antiossidante, catturatrice di ossigeno, etc.) si può controllare la crescita microbica e conservare più a lungo la qualità degli alimenti. Così, si può prevedere che gli imballaggi nanocompositi di PHA potranno recuperare una parte significativa del mercato del packaging alimentare in un prossimo futuro, offrendo molteplici funzionalità, a partire dalla combinazione delle buone proprietà meccaniche con le prestazioni “attive”. Come prospettive, si può dire che sono necessarie ulteriori indagini sul miglioramento delle proprietà barriera dei PHA a seguito dell’incorporazione come nanofiller. Inoltre, si stanno progettando nuovi materiali di PHA con proprietà di barriera ai gas con caratteristiche ottimizzate per le singole esigenze.
Bibliografia
K. Khosravi-Darani et al. (Chemical and Biochemical Engineering, 29, 2015, 275)