La libera professione
Dopo la laurea ha pensato subito alla libera professione?
Non proprio, ho sostenuto diversi colloqui presso aziende dove avrei volentieri lavorato come dipendente, ma all’epoca il mio curriculum era meno interessante rispetto a quelli di colleghi un po’ più esperti. Ho deciso di rischiare e mettermi in gioco come libero professionista, dopo un colloquio a dir poco “frustrante” presso un grande gruppo specializzato in cash & carry. I miei primi mentori sono stati il dottor Massimo Tarditi, fra i molteplici ruoli svolti anche quello di docente presso l’Università di Torino e Milano, e il dottor Roberto Gavezzotti responsabile del laboratorio dove avevo svolto la tesi e con cui collaboro ancora quotidianamente. Mi sono iscritto all’albo, ho continuato a studiare ed ora, con dieci anni di esperienza, sono convinto di aver scelto per il meglio.
In quali settori lavora?
Prevalentemente aziende agricole, allevamenti, macelli, industrie di trasformazione di carni fresche e stagionate, salumifici, sottoprodotti di macellazione, deposito di pelli destinate alla produzione di collagene e gelatina, inceneritori per animali da affezione. Ho clienti anche nell’ambito lattiero caseario, pasticceria, gelateria, ristorazione, grande distribuzione.
La complessa legislazione del settore carni
Quali sono i problemi irrisolti del settore carni?
Al primo posto metterei la poca chiarezza del quadro legislativo; dà infatti spazio ad una pluralità di interpretazioni spesso contraddittorie, a posizioni diverse da parte di Regioni e ASL sul territorio nazionale, con conseguente incertezza per le imprese e talvolta con, un più o meno condivisibile, deferimento dei produttori all’Autorità giudiziaria.
Può fare degli esempi?
La definizione di “salsiccia” e la sua classificazione come “prodotto a base carne” o “preparazione di carne”. Potrebbe sembrare un tema futile se non fosse che da tale classificazione dipendono i parametri di produzione e la possibilità di impiegare o meno determinati ingredienti. La confusione aumenta laddove ai Regolamenti comunitari si sovrappongono Linee guida europee, dove la dicitura inglese “fresh sausages” indica un prodotto diverso dalla nostra salsiccia, e Circolari ministeriali contraddittorie rispetto alle consuete pratiche di produzione delle piccole e medie imprese. Per risalire alla corretta definizione di “salsiccia fresca” il produttore dovrebbe, in teoria, rifarsi ad una Circolare ministeriale del febbraio 1999 dove il prodotto è definito come “preparazione costituita da un insaccato ottenuto con carni macinate alle quali siano stati aggiunti condimenti ed additivi consentiti, senza essere sottoposta a trattamenti di conservazione ad eccezione del freddo, mantenendo al centro le caratteristiche di carne fresca”. La stessa Circolare indica come “salsiccia” i prodotti di salumeria italiana alquanto differenti quanto a tecniche di produzione e tali da rendere difficile la classificazione in preparazioni o prodotti a base carne basandosi sulla sola definizione di “scomparsa delle caratteristiche di carne fresca”. Tra gli altri parametri discriminanti sono citati i trattamenti di conservazione diversi dalla refrigerazione, l’aggiunta di additivi ad azione conservante associati ad un trattamento di asciugatura tale da consentire di raggiungere valori di Aw inferiori a 0,97.