TTIP, tra luci e ombre

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Ogm e promotori della crescita

Gli OGM sono il primo grande oggetto del contendere. La normativa UE è cautelativa, prevede una dichiarazione in etichetta, ma nonostante ciò i consumatori temono coltivazione e utilizzo. Ad oggi, le aziende USA interessate ad esportare OGM sono soggette al parere preventivo di EFSA ed all’approvazione della Commissione, anche se i medesimi prodotti sono liberamente coltivati e commercializzati in patria dove sono considerati sostanzialmente equivalenti ai corrispondenti non OGM. I contrari al TTIP temono un accordo al ribasso dove gli OGM già in commercio in USA abbiano un accesso preferenziale nella UE. Paventano anche che, applicando il compromesso in vigore per i mangimi, cada la politica UE della tolleranza zero sulla presenza di OGM non autorizzati negli alimenti. La UE resta ferma sull’obbligo di dichiarazione in etichetta, peraltro in questi giorni oggetto di forti contrasti tra associazioni dei consumatori statunitensi e Parlamento USA. Per la UE, la clonazione impatta sul benessere animale, in USA gli animali clonati sono ammessi senza restrizioni nella filiera alimentare. I consumatori europei sono contrari alla clonazione a fini alimentari e poco disposti ad accettare carne ricavata da animali clonati e dalla loro progenie. Il TTIP non dovrà quindi ostacolare la futura legislazione UE sulla clonazione e sulle relative dichiarazioni in etichetta. Quanto all’uso di promotori della crescita ormoni, beta-agonisti e antibiotici per la promozione della crescita di animali da carne, nella UE è vietato da anni, mentre gli allevatori USA possono legalmente somministrarne alcuni. Queste differenze ostacolano da oltre un trentennio gli scambi commerciali USA-UE e se non appianate continueranno a farlo.

Autocontrollo igienico o trattamenti di decontaminazione

Come anticipato la legislazione comunitaria ha reso obbligatorio l’autocontrollo igienico basato sulla metodologia HACCP in ogni passaggio della filiera. Se questo aspetto è ben gestito, il prodotto è considerato sicuro, senza necessità di trattamenti di decontaminazione aggiuntivi. Questi ultimi sono invece largamente impiegati e spesso obbligatori in USA; qualora l’azienda esportatrice non li attui deve seguire una lunga trafila burocratica ed analitica per attestare la salubrità del prodotto. Per la UE, cedere su questo fronte significherebbe dover autorizzare nuove sostanze o pratiche di sanificazione oggi vietate. Un altro grosso tema riguarda i sistemi di allerta, ritiro e richiamo di prodotti non conformi. La liberalizzazione dovrebbe, in teoria, incrementare gli scambi ed è pertanto necessario trovare nuove modalità di scambio di informazioni, per garantire l’immediato richiamo dei prodotti in questione ed un altrettanto veloce identificazione delle fonti di contaminazione. Vi è poi l’ampio capitolo delle frodi alimentari, un mercato in forte crescita attira inevitabilmente contraffattori ed imitatori. Molto sentito dall’Italia è il problema dei prodotti a denominazione d’origine, oggi non protetti in USA. Le aziende italiane auspicano un accordo simile a quello ratificato tra UE e Canada che tutela centocinquanta tra le denominazioni UE di maggior valore. Recenti ricerche hanno dimostrato che utilizzando nomi o immagini che richiamano l’Italia il 67% dei consumatori statunitensi è portato a credere che il prodotto sia italiano, nonostante l’assenza della dicitura “Product of Italy”, obbligatoria in etichetta. Il TTIP potrebbe essere l’occasione se non per cancellare almeno per regolamentare meglio certe assonanze e soprattutto per tutelare il diritto dei consumatori ad avere certezza sulla provenienza dei prodotti.