I prodotti di salumeria, la nuova normativa

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    sausage packed in a plastic bag

    L’uso delle denominazioni dei prodotti alimentari rimane legato agli usi e alle tradizioni nazionali, oltre che agli obblighi legali.  Questo aspetto ha una particolare rilevanza per l’Italia, che in materia vanta una grande tradizione, non solo gastronomica, ma anche artigianale e industriale. Ecco quanto stabilito dalla nuova normativa per i prodotti di salumeria

    Giuseppe De Giovanni

    Generalmente in Italia si pensa che l’unica modalità esistente, per proteggere un prodotto, è il ricorso al riconoscimento della DOP e della IGP, per motivi di opportunità, mentre i marchi riconosciuti, avendo una valenza internazionale, hanno una maggiore efficacia. Il riconoscimento delle DOP e delle IGP, purtroppo, ha creato in alcuni comparti una serie di problemi produttivi e commerciali, che si è ritenuto importante affrontare, per quanto riguarda l’uso delle denominazioni, proprio per difendere dalle imitazioni prodotti, che altrimenti correvano il rischio di scomparire dal mercato o di essere banalizzati, creando problemi non solo al mondo industriale e artigianale ma anche a quello agricolo. L’intervento in materia è avvenuto nel 2003, quando nell’ambito della legge 24 novembre 2003 n. 350, con l’articolo 4, commi 66 e 67, fu prevista la possibilità di stabilire le condizioni d’uso delle denominazioni di determinati prodotti tipici nazionali, quali i prodotti di salumeria e i prodotti dolciari da forno. Il governo in pratica fu delegato ad emanare, con uno o più decreti dei Ministri dello sviluppo economico e delle politiche agricole, di concerto, per disciplinare i prodotti aventi una specifica importanza economica nazionale. Si partì immediatamente con la stesura dei primi due provvedimenti, tenendo conto delle urgenze del momento e della importanza economica che avevano. Detti decreti sono stati emanati nel 2005, abbastanza velocemente.  Oggi i tempi si sono più che raddoppiati solo per apportare quei correttivi che si rendono necessari, una volta valutato l’impatto sul mercato.  L’allungamento dei tempi è dovuto essenzialmente alle difficoltà per raggiungere l’intesa tra le Amministrazioni interessate: più che le esigenze di tutela e di informazione del consumatore, prevalgono gli interessi di categoria, situazione questa che ne rallenta l’iter. Col passar del tempo si è avvertita la necessità di apportare talune modifiche ed integrazioni al decreto, per meglio rispondere alle esigenze del mercato, non solo garantendo trasparenza, ma anche proteggendo e informando adeguatamente il consumatore, attraverso la corretta definizione dei prodotti stessi in relazione alla loro composizione. L’aggiornamento è stato operato col decreto 26 maggio 2016, pubblicato sul numero 149 del 28 giugno 2016 per i prodotti di salumeria.

    ftx072hDecreto 26 maggio 2016

    Le modifiche apportate da questo decreto sono, da una parte, l’adeguamento a norme comunitarie e, dall’altra, una più idonea e corretta precisazione delle disposizioni.  La procedura di modifica è durata oltre tre anni, troppi per essere una procedura amministrativa. L’attenzione di questo articolo è rivolta essenzialmente alle modifiche sostanziali, cioè a quelle modifiche che comportano oneri a carico delle imprese: esse sono applicabili a partire dal 26 settembre 2016, salvo quelle relative al Culatello che beneficiano della deroga di un anno. Quali sono le novità per i prosciutti cotti?

    1. Viene precisato che è consentito utilizzare, oltre al sale tal quale, anche il sale iodato.
    2. In conformità a quanto previsto dalla regolamentazione comunitaria in materia di additivi, è soppresso l’impiego dei “nitrati” dalla lista degli additivi, perché non hanno effetto specifico su tali prodotti. Sono consentiti, pertanto, solo i nitriti. E’ importante notare che, per ragioni di sicurezza, l’uso dei nitriti è obbligatorio: ciò ovviamente non consente di mettere in evidenza l’eventuale assenza di conservanti. Questa possibilità è consentita solo per i prosciutti cotti destinati alla produzione di omogeneizzati o altri prodotti alimentari, purché la conservazione sia garantita mediante altri mezzi, per evitare rischi ai consumatori; l’articolo 7, poi, richiama un aspetto di particolare importanza  per l’uso degli additivi: il principio che  il loro uso è consentito  a norma del regolamento  CE n. 1333/2008 e, quindi, sono utilizzabili solo se rispondono ad una reale necessità tecnologica, presentano  un vantaggio per i consumatori e non li inducono in errore.
    3. Ultimo aspetto riguarda l’uso della denominazione “prosciutto cotto”, che rimane consentita solo per i prodotti ottenuti con l’uso della coscia suina intera. Non risultano vietate altre preparazioni a base di carne suina, che, tuttavia, non possono essere designate come prosciutto cotto ma servendosi di altro nome.
    4. Per quanto riguarda gli aspetti tecnico-commerciali, sono stati leggermente modificati i valori relativi al tenore di umidità dei 3 tipi di prosciutto cotto, per tener conto della tecnologia industriale seguita. Sono state altresì precisate le modalità di vendita, nel senso che viene consentita la vendita dei prodotti allo stato sfuso, preconfezionato, confezionato in atmosfera protettiva, intero in tranci, affettato, cubettato, porzionato, facendo finalmente capire che questi prodotti, in particolare il salame sono prodotti non preconfezionati e lo sono se avvolti da un involucro.
    5. E’ utile richiamare l’attenzione sull’uso degli aromi. Spesso per aromi si fanno passare tante sostanze che non hanno niente a che vedere con gli aromi e che devono essere designate col loro nome specifico. Questo problema è molto diffuso nel settore artigianale, sulla spinta di fornitori poco seri.

    Jambon de ParmeUltima considerazione, di non poca importanza e che coinvolge i comportamenti dei consumatori, che talvolta danno maggiore importanza ai claims che alle indicazioni obbligatorie. Il problema che si è posto è d’evitare che, attraverso l’uso di talune diciture volontarie, il consumatore potesse essere tratto in errore sulla natura e le caratteristiche dei prosciutti cotti. Qual è in pratica il problema?  I 3 tipi di prosciutto cotto rappresentano 3 standard di qualità e l’impiego degli additivi consentiti si riduce man mano che sale il livello di qualità. Il responsabile commerciale dell’etichettatura può fornire al consumatore il messaggio relativo all’assenza (mancato utilizzo) di determinati additivi. Questa possibilità, però, non è consentita nel caso di prosciutti di qualità, per i quali, non trovando impiego detti additivi, non può essere fornito analogo messaggio, in quanto risulterebbe in contrasto con i principi dell’articolo 7 del regolamento UE n.1169/2011, a norma del quale è vietato attribuire ai prodotti requisiti comuni agli analoghi prodotti. L’articolo 9-bis ha apportato la necessaria chiarezza attraverso la precisazione che anche i prosciutti cotti “scelti” e quelli di “alta qualità” possono riportare i suddetti messaggi, che sono ritenuti coerenti con i principi fondamentali dell’etichettatura che hanno la finalità essenziale di informare correttamente il consumatore e di evitare di essere indotto in errore. La mancata adozione di questo articolo avrebbe fatto sì che il consumatore, in relazione ai messaggi forniti sull’assenza di additivi, considerasse di qualità inferiore i prosciutti che, invece, presentano caratteristiche più elevate.

    Di Francesco P - Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21252632
    Di Francesco P – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21252632

    Culatello

    L’aspetto, forse più importante di tutto il decreto, riguarda senza dubbio le misure relative alla produzione e alla commercializzazione del Culatello. La finalità è stata quella di definire precise regole di produzione, di presentazione e di profilo analitico per evitare confusioni ed eventuali usurpazioni nonché slealtà commerciale. Il Culatello è un prodotto molto noto, del cui nome si è fatto e si fa molto abuso attraverso l’uso di varianti e di aggiunte che hanno creato non pochi problemi al settore produttivo, danneggiandone l’immagine, ma anche ingannando il consumatore. Le amministrazioni pubbliche interessate non potevano stare a guardare.  L’intervento si è reso necessario, per apportare la dovuta chiarezza.  Anche l’UE ha ritenuto il contenuto del decreto coerente con i principi di libera circolazione comunitaria. Va precisato, poi, che non v’è confusione tra il “Culatello di Zibello”, che è un prodotto DOC rispondente alle disposizioni comunitarie in materia di denominazioni di origine protette nonché al relativo disciplinare di produzione, mentre il Culatello, senza aggiunta di altre diciture, è un prodotto generico, che può essere ottenuto in tutto il territorio nazionale in conformità ai principi stabiliti dal citato decreto. L’art. 20-bis dà la seguente definizione del prodotto: “La denominazione “Culatello” è riservata al prodotto di salumeria stagionato, ottenuto dai muscoli crurali posteriori ed interni della coscia (bicipite femorale, semimembranoso e semitendinoso) del suino, totalmente privata della cotenna e parzialmente del grasso di copertura e separata completamente dalla sua base ossea e sezionata in modo da assumere forma “a pera”. Le caratteristiche prescritte sono, poi, menzionate negli articoli successivi. Si ritiene, tuttavia, opportuno fare delle considerazioni su quanto è stato prescritto.

    1. a) Modalità di produzione:

    Le fasi di lavorazione del Culatello sono la salagione, l’insacco, la stagionatura e la legatura. La salagione è effettuata mediante salatura a secco; non è ammessa la salagione per immersione né l’iniezione di salamoia. Il Culatello deve essere insaccato in involucri naturali; gli involucri artificiali sono ammessi solo per il prodotto posto in vendita pre-affettato. La stagionatura (compresa la salagione) deve avere una durata di almeno 9 mesi. La legatura è effettuata manualmente con spago, utilizzando il tradizionale sistema delle briglie e dei passi fino a formare una specie di rete; la legatura del prodotto può essere effettuata con l’ausilio di mezzi meccanici. Il prodotto stagionato deve avere una pezzatura minima di 3 kg.

    1. b) Forma

    Il Culatello si presenta con la caratteristica forma a pera, esternamente legato in una rete a maglie, dalla consistenza soda, la fetta con frazione muscolare di color rosso omogeneo e il tessuto adiposo bianco. La finalità è quella di evitare che il prodotto finito presenti la forma cilindrica tipica di altri prodotti di salumeria e che venga prodotto con modalità miranti alla riduzione dei costi e, di conseguenza, anche della qualità, creando un danno di immagine sia agli altri produttori che ai consumatori. Esistono, infatti, sul mercato numerose modalità di presentazione di questo prodotto (Culatello con cotenna, prosciutto di Culatello, …) suscettibili di creare confusione, inducendo in errore il consumatore e creando concorrenza sleale. Lo schema definisce, quindi, anche l’aspetto che deve possedere il Culatello, individuandolo nella “forma a pera”. Questo riferimento non è rivolto a una specie di pera particolare (il decreto nulla prescrive al riguardo, pur essendo evidente che le varietà di pere sono numerose e diverse fra loro), ma ad una forma che dà l’idea della pera: non cilindrica, con una leggera base che va ad assottigliarsi verso l’alto. Questa forma è realizzata in modo da consentire, da una parte, di utilizzare l’apposizione dello spago e, dall’altra, un’agevole affettatura. Non vengono forniti elementi oggettivi di verifica della forma a pera, quali ad esempio differenze minime fra le dimensioni di base e apicale, il che denota il desiderio che il controllo in materia non venga gestito con strumenti di misura in mano, ma con il buon senso. Considerato che la pera più diffusa e nota, nell’immaginario collettivo, è la “Abate Fetel”, sembra ovvio che questa sia la forma a cui fare riferimento, ma si tratta di una semplificazione che non deve comportare conseguenze per il produttore, anche perché, come è ovvio, le stesse pere Abate, se misurate, fornirebbero una infinità di valori diversi. La ricerca del significato autentico di “forma a pera” porterebbe all’assurdo risultato secondo cui una norma creata per risolvere i problemi di mercato, ne crea di nuovi.

    1. c) Divieti

    E’ questo l’aspetto più importante del decreto, che ha spinto le Amministrazioni interessate all’adozione di nuove misure al riguardo. E’ vietato, infatti:

    1. a) impiegare cosce di scrofa e di carni pallide, soffici e ricche di essudato (PSE) e scure, dure e disidratate (DFD) allo scopo di garantire la qualità del prodotto finito;
    2. b) utilizzare il nome “Culatello” con ulteriori e/o specifiche diciture, per prodotti similari ma lavorati con tecniche e modalità di produzione diverse da quelle indicate all’articolo 20 – bis, anche se la base anatomica è la stessa. E’ il caso di prodotti similari che sono stati ottenuti con modalità diverse, quali “Culatta”, “Culaccia”, Culatello con cotenna, ecc.;
    3. c) utilizzare il termine “Culatello” nella denominazione, negli ingredienti e, comunque, nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità di prodotti alimentari, nei quali non sia stata impiegata la materia prima di cui all’articolo 20 bis e non abbia le caratteristiche prescritte dal decreto. Questo divieto pone fine in pratica all’uso della parola “Culatello”, quando nella realtà si tratta di parte della coscia fresca di suino: Salame di Culatello, prosciutto di Culatello, ecc. Gli operatori hanno, comunque, un anno di tempo fino al 27 giugno 2017 per mettersi in regola. Si evidenzia, comunque, che i divieti, essendo compatibili con i principi dell’articolo 7 del regolamento UE 1169/2011, sono già vigenti e non bisogna aspettare un anno per mettersi in regola.
    4. d) Impiego di nitrati e di nitriti

    Una novità, che è destinata a sconvolgere i piani di alcune aziende, riguarda l’uso di ingredienti che sono utilizzati come additivi, ma che vengono presentati come aromi o altro.  La disposizione dell’articolo 20-novies non consente più di avvalersi di questa possibilità, in quanto tutti gli ingredienti contenenti nitriti e/o nitrati e utilizzati allo scopo di ottenere un effetto conservante si configurano come impiego di additivi.  Per meglio spiegare il concetto, è utile evidenziare che l’uso di spinaci non si configura come tale né come aromi, ma solo con riferimento all’additivo contenuto, cioè come conservante nitrato di… o come conservante nitrito di… Contestualmente è anche vietata qualsiasi indicazione relativa all’assenza di conservanti, in quanto risulterebbero utilizzati ingredienti da designare quali conservanti.

    Pork chops at handling factory packaging plant raw organic

    Considerazioni finali

    Un’ultima considerazione da fare riguarda le modalità di presentazione dei prodotti di salumeria. Sono carni insaccate in un budello, che può essere naturale o artificiale. Si tratta di prodotti preconfezionati o no?  Non tutti sono d’accordo sulla modalità di impostazione, soprattutto alcuni veterinari, che spesso contestano alle imprese interessate violazioni in merito. In pratica il primo decreto del 2005 specifica le seguenti modalità di vendita dei prodotti in:

    – non preconfezionati, cioè sfusi;

    – preconfezionati;

    – preconfezionati sottovuoto o in atmosfera protettiva.

    Se presentati in tranci, affettati o comunque porzionati possono rispondere alle esigenze previste per la vendita dei prodotti non preconfezionati di cui all’articolo 16 del decreto legislativo n. 109/92, ma se rispondono alla definizione di “prodotto preconfezionato” (in quanto avvolti o immessi in un involucro) sono anch’essi etichettati a norma dell’articolo 9 del regolamento UE 1169/2011. Ciò significa che salami e Culatello, posti in vendita senza specifico involucro (volontario) o affettati su richiesta e/o alla presenza dell’acquirente, sono da considerare prodotti sfusi. Questo aspetto era già stato chiarito nel primo decreto, con la finalità di porre la parola “fine” sulle continue contestazioni fatte al riguardo, che non rappresentavano adempimenti legali ma erano solo frutto della imperante disinformazione in materia. Ci si chiede allora come vada considerato il budello, alla luce del Regolamento UE n. 1169/2011.  L’unica misura considerata, al momento, è quella prevista all’allegato VI, parte C, che così recita “Quando un budello per insaccati non è commestibile, tale caratteristica deve essere specificata”. Non sono previsti altri obblighi. Si tratta tuttavia di una sostanza utilizzata nella produzione dell’insaccato, che, fino a quando saranno determinate misure specifiche a livello comunitario, può essere considerata solo coadiuvante tecnologico: senza di esso il prodotto finito assume altra configurazione.  Non è considerato, cioè, ingrediente.

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