Pier Paolo Sedda, una start up promettente

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Avvio prodotto di private label

L’ACQUACOLTURA

L’acquacoltura è un comparto solitamente presidiato dai veterinari più che dai tecnologi alimentari… E’ vero, ma avevo un jolly. Amando molto il mare e la pesca subacquea conoscevo bene le tecniche di pesca, le peculiarità dell’ambiente acquatico, le abitudini di vita della fauna marina. Ho la fortuna di vivere in un territorio contraddistinto da lagune di importanza europea per estensione e qualità delle acque e sono sempre stato convinto che quest’area potesse avere dei grossi potenziali di allevamento e trasformazione dei prodotti, qualora si fosse deciso di gestire l’intera filiera avviando delle avannotterie per la riproduzione del pesce in ambiente controllato, seminando gli ambienti lagunari, selezionando il pescato e pilotando la produttività in base alle stagionalità di mercato. Queste potenzialità furono scoperte da arabi ed aragonesi quando colonizzarono le coste sarde e purtroppo da allora non è cambiato molto.

I consumatori guardano con sospetto al pesce d’allevamento, hanno ragione di dubitare? Il pesce d’allevamento è garanzia di prodotto fresco e non decongelato, è una fonte proteica di origine ittica disponibile sempre, a prescindere dalle avversità meteo-marine, supera il problema dell’impoverimento dei mari, permette di programmare la produzione in funzione dei periodi di maggior richiesta del mercato. I problemi possono venire da una non ottimale gestione degli ambienti di stabulazione. In queste condizioni alcuni individui si ammalano e ne contagiano altri causando perdite economiche rilevanti. Questi episodi si prevengono e risolvono usando medicinali a bagno, se possibile, o aggiungendoli ai mangimi ma con il rischio di residui di antibiotici nel pescato. Ci sono poi problemi igienico sanitari riscontrati in semilavorati provenienti da Paesi extraeuropei. È il parametro che più preoccupa il consumatore.

Ci sono altre non conformità relativamente diffuse nei prodotti ittici? Nei prodotti da acquacoltura sono quelle citate poc’anzi. Nel pescato si trovano corpi estranei; strano ma vero trattandosi di un prodotto non trasformato. Durante le ispezioni si trovano partite di cefalopodi contaminate da ami da pesca. Mi è capitato di recuperarne più di 40 in una sola giornata, grazie al cielo la linea di produzione era dotata di un valido metal detector. Nella lavorazione di tranci di pelagici (tonno, pesce spada e simili) un notevole rischio viene dalla contaminazione con nylon. A bordo dei pescherecci i pesci sono insagolati nella parte caudale, usando del nylon trasparente di notevole spessore, è una pratica che facilita l’eviscerazione, il congelamento e la movimentazione. Non sempre l’insagolamento riesce al primo tentativo ed in seguito può accadere di tagliare il nylon insieme al trancio; è trasparente, invisibile e c’è il rischio che si sciolga durante la cottura del prodotto.

Ci sono anche non conformità di tipo meramente commerciale? La principale è una scorretta identificazione della specie, con conseguente errata denominazione di vendita in etichetta. Non sempre è una frode volontaria; le zone di maggior pescato hanno standard differenti ed in materia c’è molta confusione. I controlli frontalieri hanno talvolta difficoltà nel dirimere queste questioni.