I frutti freschi della pianta del caffè contengono circa il 75-85% di acqua e, quindi, sono altamente suscettibili a contaminazione microbica. Ad oggi, la disidratazione del caffè è il metodo più utilizzato per contrastare questo fenomeno indesiderato.
Tuttavia, il processo di essiccamento può provocare diversi cambiamenti qualitativi del prodotto (fisici, chimici ed organolettici). In questo contesto, in uno studio recente, effettuato da un gruppo di ricercatori cinesi (Dong et al., 2017), sono stati investigati gli effetti di diverse tecnologie di disidratazione su alcuni aspetti composizionali di chicchi di caffè appartenenti alla varietà Robusta.
In particolare, i campioni sono stati sottoposti ad essiccamento a temperatura ambiente (RTD), essiccamento solare (SD), essiccamento a pompa di calore (HPD), essiccamento con aria calda (HAD) e liofilizzazione (FD). Il caffè è stato, quindi, analizzato in termini di contenuto in composti bioattivi, composizione degli acidi grassi e profilo dei composti volatili. I risultati dimostrano che il processo FD è particolarmente efficace nel preservare i grassi, gli acidi organici e gli acidi grassi monoinsaturi.
Al contrario, il trattamento HAD è ideale per conservare gli acidi grassi polinsaturi e gli amminoacidi. La sperimentazione ha, inoltre, consentito di identificare 62 composti volatili, rappresentanti circa il 90% dell’intera frazione di composti volatili del prodotto. Lo studio evidenzia che il processo che favorisce la formazione del più elevato numero di tali composti è quello HPD, mentre il processo che ne produce in più elevata concentrazione è quello FD.
Un approfondimento statistico, effettuato utilizzando l’analisi delle componenti principali (PCA), dimostra, infine, che i trattamenti FD ed HAD sono significativamente differenti dagli altri metodi di disidratazione (HPD, SD ed RTD). Concludendo, gli autori sostengono che, considerando l’efficienza di essiccamento, la conservazione delle caratteristiche qualitative del prodotto ed i costi operativi, il processo con le prospettive migliori è quello HPD.
Riferimenti bibliografici: Dong et al., Food Chemistry, 234, 2017, 121-130