Bioplastiche, un mondo in piena espansione

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Marco Versari, presidente di Assobioplastiche

L’attenzione all’ambiente è sempre più centrale nella vita di ognuno di noi. Il futuro del pianeta dipende dalla tecnologia, dalla ricerca, dai nuovi materiali. E da noi. Così ci ha detto Marco Versari, presidente di Assobioplastiche.

Nasce nel 2011 Assobioplastiche – l’Associazione Italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili – con l’obiettivo di promuovere la diffusione dei prodotti biodegradabili e compostabili e della raccolta differenziata della frazione organica secondo i principi dell’economia circolare. Oggi l’associazione conta 42 aziende fra produttori, trasformatori, commercianti e distributori, enti di ricerca, associazioni e gestori degli impianti di trattamento della frazione organica. Attualmente si consumano a livello globale circa 322 milioni di tonnellate l’anno di prodotti plastici tradizionali, escludendo le fibre sintetiche (fonte: PlasticsEurope), mentre la capacità produttiva mondiale di bioplastiche è di 4,16 milioni di tonnellate l’anno (fonte: European Bioplastics). In Italia, secondo Plastic Consult, nel 2017 sono state prodotte 73.000 tonnellate di bioplastiche.

Cosa sono le bioplastiche

Le bioplastiche si definiscono per la loro caratteristica principale, cioè l’essere biodegradabili e compostabili. Si tratta di materiali innovativi, frutto di ingenti investimenti in ricerca e innovazione, messi a punto come alternative sostenibili e a basso impatto rispetto alle plastiche tradizionali. Sono altresì riciclabili con la raccolta dei rifiuti umidi e, quindi, possono contribuire, al termine del processo di compostaggio, alla creazione di compost di qualità, elemento fondamentale per combattere la desertificazione e l’erosione dei suoli. I principali settori di applicazione sono quelli riconducibili alla raccolta differenziata della frazione organica e degli sfalci erbosi, come sacchi e sacchetti per l’umido usati in migliaia di comuni italiani.

Un altro comparto applicativo importante riguarda l’imballaggio e il consumo di alimenti – con film, posate, e stoviglie per catering –  nonché il trasporto merci – con buste per la spesa, sacchi igienici per primo imballo alimentare – e infine, l’agricoltura, con film pacciamanti e vasetti. Secondo il Rapporto ISPRA 2018 sui rifiuti urbani, in Italia la raccolta differenziata della frazione organica ha raggiunto i 6,5 milioni di tonnellate, di cui il 66,6% è rappresentato da rifiuti da cucine e mense, contro i 3,2 milioni della carta e poco meno di 1,3 milioni della plastica.

La frazione organica dunque, si conferma il flusso più importante dei rifiuti domestici raccolti separatamente rappresentando il 40% di tutte le raccolte differenziate in Italia.  Sempre secondo il rapporto ISPRA, nel 2017 in Italia sono stati prodotti oltre 6 milioni di tonnellate di compost. Lo sviluppo di tali materiali, prodotti a partire da materie prime di origine rinnovabile (biobased) piuttosto che da fonti fossili, sta consentendo all’Italia e all’Europa di assumere la leadership mondiale in materia di chimica verde e bioeconomia, grazie a impianti situati sul territorio nazionale ed europeo primi per tecnologie al mondo, riportando localmente produzioni – ad esempio quelle di sacchi e sacchetti – che da tempo si erano perse a vantaggio dei paesi asiatici.

La situazione

Ma quale è la situazione delle bioplastiche nel settore del confezionamento alimentare? Lo abbiamo chiesto a Marco Versari, Presidente dell’Associazione.

In questi ultimi tempi abbiamo registrato interesse e domanda crescenti. La raccolta differenziata capillare della frazione organica dei rifiuti è stata fondamentale, facendo da traino anche ai produttori di imballaggi (alimentari e non) e contribuendo a diffondere la cultura del riciclo dei rifiuti umidi. Oggi è possibile parlare di prodotti compostabili, perché sempre più noti e perché la popolazione è sensibile a questi temi.

Basti pensare all’interesse e all’attenzione su temi come l’inquinamento dei suoli e la plastica in mare, da cui discende una richiesta crescente di informazioni non solo sul prodotto ma anche sul fine vita dell’imballaggio e del suo contenuto. La fattibilità di tali soluzioni dipende non solo dal progresso tecnico e tecnologico, ma – ovviamente – anche dalla legislazione. Tecnicamente, l’evoluzione di questi prodotti, è strettamente connessa alla necessità e alla possibilità concreta che funzionino, accanto a standard legislativi che devono assecondare e supportare tali sviluppi. Le tempistiche di realizzazione, però sono soggette a tanti fattori, alcuni dei quali imprevedibili.

Ad esempio, le tecniche di compostaggio delle capsule caffè hanno dato un impulso notevole, determinando un trend crescente che riguarda l’Italia e non solo. Il nostro paese, infatti, è stato un traino fondamentale per la raccolta differenziata, con la presenza delle bioplastiche nella raccolta dell’umido. Il messaggio è passato in modo chiaro e se ne percepisce un valore positivo.

Le leggi

Cosa si prevede a livello normativo e ci sono novità in vista?

Molto dipenderà da come evolve la raccolta differenziata. E, ovviamente, noi auspichiamo che si diffonda ovunque, anche dove oggi non è ancora arrivata. E poi dipende anche da come si svilupperà l’eco-design e dagli interventi del legislatore sul packaging. Sarà fondamentale, da questo punto di vista, il passaggio da una prassi di semplice buona pratica a contorni operativi precisi e definiti, basati su norme e standard oggettivi in grado di orientare chi produce e usa imballaggi.

C’è bisogno di una normativa che definisca trasversalmente – possibilmente a livello europeo – le caratteristiche del contenitore, anche a livello di economia circolare.  Un imballaggio deve essere facilmente riciclabile e lo standard di compostabilità è uno dei caposaldi definendo in quanto tempo e in quale modo avviene la biodegradazione. Ci auguriamo che si mantenga solidamente il trend che ha consentito lo sviluppo e la regolamentazione di questa filiera.

Il mercato italiano ed europeo

Come si definisce mercato e la situazione italiana delle bioplastiche e quali sono le maggiori differenze rispetto agli altri mercati europei?

L’Italia è partita molto bene, in quanto ha saputo connettere efficacemente questo settore con la raccolta dell’umido, cosa che ha moltiplicato comportamenti e scelte virtuose. Poter disporre anche di un imballaggio che ha un fine vita uguale al contenuto – in un sistema che riconosce il valore del riciclaggio della frazione organica – genera una serie di richieste da parte dell’industria alimentare che contribuiscono alla nascita di soluzioni innovative, superando il concetto di una plastica buona che sostituisce la plastica cattiva.

Nel nostro paese ha funzionato molto bene la sinergia resa possibile dai nuovi materiali disponibili, dalla raccolta differenziata e dalle tecnologie. E questo pone l’Italia e le aziende italiane in una buona posizione anche rispetto a paesi tradizionalmente molto “green” come la Germania. Da questo, le aziende italiane potranno avere un vantaggio importante.

Le strategie di sviluppo

E, quindi, quali sono le strategie di sviluppo e promozione che l’Associazione intende promuovere nel prossimo futuro per l’utilizzo delle bioplastiche nel ns paese?

Partiamo dall’assunto che – evitando a monte di disperdere o scartare cibo e risorse ancora buone – la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti resta il punto nodale dell’intero sistema. Va sempre più promossa e favorita sia per i benefici ambientali che offre, sia per la sua funzione di stimolo alla ricerca di soluzioni intelligenti e coerenti su cui l’industria può impegnarsi. Gli esempi sono molteplici e sotto gli occhi di tutti: dalle capsule caffè compostabili ai pannolini, dalle stoviglie monouso alle pellicole per confezionare gli alimenti.

I progetti

Ci sono progetti interessanti che riguardano il settore dei materiali da imballaggio alimentare?

Il mercato chiede prodotti con caratteristiche sofisticate finalizzate alla conservazione degli alimenti, per esempio materiali in grado di svolgere una funzione di barriera, e la nostra filiera è ad un livello molto avanzato di messa a punto di queste soluzioni. Certo, questo percorso evolutivo molto dipenderà da come le normative sapranno accompagnare e spingere questo sviluppo, decidendo di mettere fine alla produzione di imballaggi non riciclabili.

Ma non dobbiamo mai dimenticare che il vero problema siamo noi. Noi umani che inquiniamo. E non c’è materiale compostabile che tenga. Nulla deve esser buttato, a prescindere, anche se è biodegradabile. L’educazione al comportamento sta alla base di ogni azione e di qualsiasi futuro sviluppo. Per questo, la raccolta differenziata, con la sua capacità di generare, a cascata, sistemi virtuosi, va sempre più praticata e diffusa. L’industria può trovare soluzioni per rispondere a problemi tecnologici rilevanti ma siamo noi singoli individui che per primi dobbiamo cambiare attitudine.

LA NORMA UNI EN 13432 

La norma europea EN 13432:2000 “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione- Schema di prova e criteri di valutazione per l’accettazione finale degli imballaggi”, recepita in Italia con la denominazione UNI EN 13432:2002, definisce le caratteristiche che un materiale o un manufatto deve possedere per poter essere definito “compostabile” e presentarsi sul mercato e ai consumatori come tale. Secondo tale norma, un materiale compostabile per poter essere gestito e riciclato assieme all’umido domestico deve presentare le seguenti caratteristiche:

–              biodegradabilità, ossia la conversione metabolica del materiale compostabile in anidride carbonica;

–              disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale (assenza di contaminazione visiva);

–              assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio;

–              bassi livelli di metalli pesanti (al di sotto di valori massimi predefiniti) e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost. Ciascuno di questi punti definisce la compostabilità ma, da solo, non è sufficiente. Ad esempio, un materiale biodegradabile non è necessariamente compostabile perché deve anche disintegrarsi durante un ciclo di compostaggio. Ai concetti di biodegradabilità e compostabilità si affianca spesso il concetto di rinnovabilità che rappresenta la nuova frontiera delle bioplastiche. La rinnovabilità riguarda in particolare l’origine di un prodotto e in particolare la caratteristica di quelle materie prime – prevalentemente di origine vegetale e animale – di rigenerarsi in tempi brevi (piante, alberi, loro derivati e scarti), in opposizione alle materie prime da fonte fossile (petrolio).