Covid-19: niente sarà come prima. Anche l’Agricoltura?

2308

La pandemia ha colpito l’economia mondiale con una dirompenza che, si teme, possa superare addirittura quella della Grande Depressione del 1929. Il FMI stima per il 2020 una contrazione del PIL del 3% nel mondo, del 7,5% nell’Eurozona, con la Francia, la Germania e la Spagna rispettivamente al 7,2%, 7%, 8%. Per l’Italia si prevede una contrazione del 9,1% con un indebitamento del 155,5% rispetto al PIL.

Lodovico Fiano

Una crisi che non conosce confini geografici, con previsioni incerte poiché dipendono dalla permanenza dell’emergenza sanitaria, dalla durata delle misure di contenimento e dalla velocità della successiva ripresa. La recessione sarà inevitabilmente profonda, con un calo generalizzato dei prezzi ed il forte rischio di trasformarsi in una lunga depressione, azzerando i progressi degli ultimi dieci anni di lotta alla povertà.

L’UE, frenata anche dalla instabilità governativa di molti Paesi, stenta a reagire. Se non troviamo rapidamente una risposta comune, il progetto europeo è esposto al prevalere dei nazionalismi o ad una deriva antidemocratica. Dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturale dell’Europa. Solo una entità sopranazionale, quale una Unione europea integrata e solidale può attenuare le diseguaglianze e le insicurezze, rendendo più efficaci le politiche interne degli Stati nazionali ed inserendo armonicamente la propria politica estera nel quadro internazionale.

In definitiva una strategia verso un’Europa che crei fiducia e partecipazione attraverso l’attivazione di azioni comuni, con finalità comuni ed estese a tutti gli Stati membri. Occorrono interventi innovativi, congrui nella misura e nei tempi, proporzionati per assicurare pari condizioni di indebitamento per le aree colpite dalla pandemia in modo differenziato, ma certamente senza alcuna diretta responsabilità di chi ne subisce gli effetti devastanti.

Appare indispensabile una forte condivisione, una distribuzione solidale del debito, in assenza della quale si renderebbero necessari, al livello nazionale, interventi di risanamento finanziario di dimensioni gigantesche, pregiudizievoli sul piano degli equilibri economici ed incidenti fortemente sull’ordine sociale: i mercati potrebbero essere indotti a dubitare della nostra capacità di superare gli effetti di un enorme indebitamento.

La reazione dei diversi Stati è fortemente differenziata, con conseguenti tempi diversi nella ripresa e differenti esposizioni finanziarie. Secondo alcune analisi l’Italia occuperebbe il 31° posto, rispetto al 4° per la Germania, il 9° per gli USA, il 14° per la Francia, il 23° per la Spagna. Non si può certo chiedere anche una mutualizzazione dei debiti del passato che, però, pur dipendendo in gran parte da errori di politica nazionale, sono stati appesantiti da un forte rallentamento del processo di integrazione della UE. La pandemia giunge, infatti, trovando una Europa in piena e persistente congiuntura negativa.

Se, pertanto, ingenti iniezioni di liquidità possono sostenere il superamento della crisi sanitaria è necessario, anticipando i tempi, tendere con decisione a stemperare le condizioni che da troppo tempo rallentano la crescita nella UE. Anche sul piano della politica estera comunitaria si impone, infatti, una vera e propria svolta, con l’obiettivo di attenuare una forte discrasia rispetto alla politica dei maggiori attori internazionali.

Non si tratta certo di scadere in una sterile contrapposizione tra liberismo e protezionismo: l’UE deve tendere ad armonizzare i propri rapporti commerciali nel contesto internazionale, rimodulando soprattutto le importazioni dalle aree – incompatibili o a ridotta compatibilità per divari economici, sociali, ambientali – che spesso possono godere di condizioni produttive in forte deroga rispetto alle regole di concorrenza.

Non è certo proponibile la riattivazione di dazi oggi spesso solo virtuali, ma occorre agire soprattutto attraverso quote di importazione che possano assicurare una armonica integrazione dei mercati. Non sono anche da escludere supporti diretti o indiretti (tipo Farm Bill USA) rapportati all’andamento dei prezzi mondiali. La crisi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, ormai del resto inadeguata per frenare gli effetti perversi di un accelerato processo di globalizzazione ha, infatti, spinto da tempo importanti aree del mondo a proteggere il proprio mercato con barriere daziarie riferite soprattutto alle produzioni strategiche.

Una tale politica spinge al ribasso i prezzi mondiali, amplificando la dipendenza delle aree deficitarie. Il vecchio continente risulta in effetti l’area più aperta del mondo soprattutto con specifico riferimento all’Agricoltura, ma anche per altri comparti manufatturieri, quali a titolo puramente esemplificativo, l’acciaio e l’alluminio.

Come può l’UE essere fideisticamente liberista quando il resto del mondo risulta protezionista? La discrasia appare evidente non solo all’esterno ma anche all’interno della UE, per un deficit di armonizzazione fiscale, finanziaria, sociale oltre ad un insufficiente coordinamento nella lotta all’evasione fiscale ed alla corruzione: un deficit che può essere superato richiamando i Capi di Stato ai valori originari della Costruzione Europea.

La forte ed esponenziale accelerazione nelle aperture commerciali della UE, spesso sulla base di accordi internazionali  stipulati senza un’attenta ponderazione del conseguente impatto sulle specifiche aree produttive e senza alcuna reciprocità in relazione alle possibili situazioni di eccedenza o penuria dei prodotti, ha amplificato il processo di internazionalizzazione dei mercati, rendendo le quotazioni internazionali un riferimento pressoché vincolante per la formazione dei prezzi sul mercato interno. Un mercato che è divenuto, quindi, sempre di più una componente integrata del mercato internazionale.

In una situazione di prezzi bassi, vengono sacrificate le produzioni meno competitive, donde il rischio di una vera e propria espulsione dal tessuto produttivo. Ne deriva una sempre più ampia esposizione ad un confronto impari ed ossessivo, rispetto ad aree che spesso in deroga alle regole della concorrenza hanno costi produttivi ridottissimi.

Ne risultano penalizzati i comparti meno competitivi, con particolare riferimento a quello agroalimentare, privo ormai di quell’assoluta protezione riconosciuta fin dall’origine della PAC attraverso l’isolamento dalla volatilità e dalle perturbazioni del mercato mondiale. Si riscopre, dunque, il valore strategico del comparto agricolo, donde l’esigenza di un’attenta e puntuale verifica dello stato della nostra Agricoltura.

All’inizio di ogni anno si rendono disponibili i dati statistici relativi agli scambi commerciali relativi alla filiera alimentare, nonché alle proiezioni dei mercati nel medio lungo termine. Tali dati, che costituiscono strumento essenziale per la programmazione produttiva e conseguentemente puntuale riferimento per innestare un idoneo percorso di consolidamento competitivo, rischiano oggi di essere gli ultimi veramente affidabili, a causa degli effetti imprevedibili della pandemia covid-19.

Il bilancio agroalimentare del 2019 presenta un deficit agricolo, del 55,13% per l’Italia e del 57,3% per l’UE, del tutto sottostimato in quanto correlato a valori doganali attestati ad un persistente e basso livello dei prezzi mondiali. Tale deficit viene più o meno compensato da un vistoso surplus commerciale dell’industria agroalimentare: il 24,5% per l’Italia ed il 63,10% per l’UE. Un confronto oltretutto che, basato su valori medi, non rappresenta certo i forti differenziali produttivi delle diverse aree.

Si è sempre pensato ed in conseguenza agito seguendo necessità del mercato e fatto produrre quasi tutto là dove, apparentemente, costava di meno. L’Italia, più di altri Paesi, appare maggiormente esposta ad una estensione sempre più ampia dello status di trasformatore di prodotti agricoli importati, poiché gli acquisti a prezzo ridotto fanno aggio sulla qualità, con pesante impatto all’esterno ma anche all’interno dell’Unione Europea. Gli scambi intra UE sono, infatti, prevalenti nel nostro bilancio, donde il rischio fondato di un ulteriore ed irreversibile riduzione del nostro tasso di autoapprovvigionamento agricolo.

Oltretutto il Made in Italy, in assenza di rigorose e puntuali regole sull’etichettatura delle confezioni, troppe volte risulta solo apparente, ancorché goda dell’assoluto affidamento dei consumatori in marchi la cui radice è profondamente ancorata nelle tradizioni: una italianità enfatizzata ma falsata troppo spesso quando la proprietà passa ad imprese multinazionali. Come straniero in alcuni casi addirittura risultano il prodotto, il confezionamento e perfino la rete di distribuzione: una sorta di italian sounding all’inverso.

L’Agricoltura, soprattutto per la sua valenza strategica, costituisce un comparto molto importante non solo per sé stessa ma perché per la sua ridotta competitività anticipa il processo di marginalizzazione che investirà progressivamente molti altri comparti, in un mercato esposto ad una spietata ed ossessiva concorrenza ed in assenza di idonei ammortizzatori.

L’agricoltura europea dovrà adeguarsi anche ai nuovi indirizzi già evidenziati nel corso del negoziato di riforma della PAC. La nuova politica Green lanciata dalla Commissione europea gode di un forte sostegno di molti analisti, che accusano la Politica agricola di aver contribuito all’attuale emergenza climatica, senza raggiungere gli obiettivi socio-economici per le aree rurali. Il modello di agricoltura intensiva porta direttamente alla perdita di biodiversità, all’inquinamento dell’acqua e dell’area.

Si chiede con forza la diminuzione della dipendenza dalle sostanze chimiche di sintesi, pesticidi e fertilizzanti chimici ed un aumento dei controlli e del monitoraggio dell’efficacia ambientale degli interventi finanziati. La emergenza sanitaria accelererà tale svolta, con drastica prevalenza degli aiuti ambientali rispetto agli interventi comunque legati direttamente o indirettamente alle produzioni o alle superfici investite.

Appare, pertanto, indilazionabile anticipare una nuova visione programmatica, acquisendo nuovi strumenti di sostegno dei redditi agricoli. Siamo di fronte ad un radicale cambio di paradigma per passare dalla logica della compensazione di reddito a quella del recupero della competitività.

Le proiezioni a medio termine 2019-2030, contenute nel Rapporto annuale della Commissione UE, si basano su un’analisi sistematica che, riproducendo per il futuro una parte della incertezza del passato, adotta coefficienti di variabilità attorno ad una linea di base plausibile: una ottimazione stocastica che non poteva certo considerare gli effetti di una emergenza sanitaria che, per la sua tonalità pandemica, induce a considerare una recessione globale non certo una visione distopica ma pressoché scontata.

La emergenza sanitaria ha accentuato la crisi un commercio internazionale fragile e fortemente dipendente dalla Cina. Il commercio internazionale non sarà più lo stesso dopo questa crisi, ma appare difficile contare sulla piena disponibilità dei principali attori mondiali ad assicurare un nuovo e stabile equilibrio per gli scambi commerciali.

L’emergenza sanitaria ha risvegliato un oscuro senso di incertezza e di paura che, come nell’anno Mille in attesa dell’apocalisse, spinge ad una lettura introspettica nel profondo della propria intimità, alla ricerca dello spirito vitale di ogni esistenza: un bisogno ancestrale che comprende – anche a causa di una sempre più pressante crisi occupazionale – una incontrollabile ricerca del cibo, assopita da tempo illimitato nelle aree sviluppate e relegata alle fasce più povere ed emarginate

Tutti i paesi a partire dalla Cina vengono spinti verso un processo di de-globalizzazione con un trasferimento della produzione in luoghi vicini al consumo: una sorta di semi-autosufficienza delle grandi regioni che può creare picchi di prezzo e difficoltà di approvvigionamento estremamente pericolose. In caso di un aumento generalizzato dei prezzi, quale sarà il nostro costo alimentare?

In caso di un aumento generalizzato dei prezzi, quale sarà il nostro costo alimentare? Appare emblematico il caso della produzione di riso a Myammar, un Paese tradizionalmente esportatore in 50 Paesi con flussi verso la Cina per il 40%. Sono state sospese le licenze di esportazione in seguito alla dichiarazione di pandemia, al fine scongiurare accaparramenti sotto la spinta del panico.

A livello nazionale si impone, in definitiva, un percorso di consolidamento competitivo non più rinviabile, che preveda interventi radicali sul piano colturale e su quello delle strutture di trasformazione: semplificazione burocratica, contenimento degli oneri fiscali, una innovazione tecnologica nel perseguimento del più alto livello qualitativo e quantitativo e, nel contempo, nella salvaguardia assoluta della sicurezza alimentare.

Una indispensabile integrazione delle remunerazioni agricole può senza meno derivare, previo coinvolgimento del mondo agricolo nella ristrutturazione di importanti impianti industriali, dall’utilizzo biotecnologico delle componenti molecolari dei residui agricoli, con conseguente acquisizione di un più alto valore aggiunto. Alcuni percorsi tradizionali subiranno condizionamenti assoluti ed inevitabili e dovranno essere oggetto di adattamenti finalizzati ad un consolidamento competitivo.

In concreto, a titolo esemplificativo: aiuti ambientali in sostituzione dei tradizionali supporti assistenzialisti, colture ed allevamenti non intensivi con abbattimento dei fitofarmaci ed antibiotici, innovazione a livello coltivazione/allevamenti, confezionamento e distribuzione conseguendo una filiera integrata, con conseguente verifica dei margini della grande distribuzione, a vantaggio degli agricoltori: una nuova e lungimirante politica agricola.

Secondo alcuni solo l’Europa può guidare vero un nuovo umanesimo che ponga la persona al centro di un credo collettivo mondiale. Una sorta di iperuranio platonico con una IDEA da cui, attraverso la intermediazione degli spiriti eletti possa derivare la sostenibilità del pianeta. Platone, ispiratore di tale visione politica si salvò dalla condanna a morte di Dionisio solo fuggendo da Siracusa.

Il nuovo umanesimo deve, piuttosto, alimentarsi con la condivisione attiva di ogni individuo. Con il Covid-19 stiamo sperimentando la solitudine, la paura, i morti, il dolore, la sospensione della libertà con un disagio che molti hanno assimilato all’esperienza di una guerra. L’esperienza ci mette di fronte ad un senso del limite – non possiamo avere tutto – ed alla necessità di legami solidali, rinnovando un istinto primigenio di una comune appartenenza. Un sentimento di vicinanza che dovremmo mantenere intatto finita l’emergenza, per non tornare ad un individualismo ancora più agguerrito. Continuiamo a dirci che niente sarà come prima.

Il Covid-19, anche per effetto del necessario distanziamento sociale, rende le relazioni umane sempre più on line. Le persone diventano componenti totalmente integrati che funzionano così come dispongono e comandano algoritmi che si vanno affrancandosi dalla coscienza. Algoritmi di grande intelligenza che potranno conoscerci meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Un modello perverso che diventando anche una norma di organizzazione sociale si traduce nell’abbandono della democrazia e della libertà E’ possibile restare umani, senza delegare la nostra vita ad un algoritmo? Il futuro dell’umanità dipende dalla risposta che verrà data a questa domanda.