Chiara Beretta, stare sempre al fianco del cliente

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Il successo di una azienda alimentare dipende dall’equilibrio di una molteplicità di fattori: lo stile imprenditoriale, i prodotti, i processi, gli impianti, le persone, le competenze. Il consulente ha un compito delicato: fornire il punto di vista di un esterno che conoscendo a fondo il settore aiuta il cliente a valutare i problemi da un’altra prospettiva.

Maria Zemira Nociti

Chi produce alimenti ha una grande responsabilità e la dottoressa Chiara Beretta, laureata in Scienze e tecnologie alimentari, ha scelto un’attività che le permette di affiancare tante aziende diverse accomunate dall’interesse per il rispetto delle regole, la qualità ed il miglioramento dell’organizzazione aziendale.

Perché ha scelto il corso di laurea in Scienze e tecnologie alimentari?

Sono sempre stata attratta dai processi di trasformazione nel settore vitivinicolo. Mi affascinava il fatto che da una unica materia prima principale si potessero ottenere prodotti tanto differenti ed unici. Mi sono iscritta ad un corso di laurea che trattasse dal punto di vista scientifico la metamorfosi degli ingredienti.

Sapevo che la preparazione e la cottura sono processi interpretabili alla luce delle leggi della fisica e della chimica, ma volevo anche capire come mai la somministrazione di calore alla stessa sostanza possa modificarne la natura in tanti modi diversi. Erano meccanismi misteriosi. Non vedevo l’ora di venire a capo di questi “misteri”.

Per quali argomenti di studio si sentiva più portata?

Microbiologia e Tecnologie alimentari. Ho trovato illuminante e rivelatore, il corso dove il professor Claudio Peri ha spiegato in dettaglio i numerosi risvolti e le altrettante implicazioni del sistema di autocontrollo igienico basato sulla metodologia HACCP.

La tesi di laurea è per molti neolaureati il primo passo nel mondo del lavoro, è stato così anche per lei?

Sì, ho concluso il primo percorso di studi con una tesi sperimentale nell’ambito delle tecnologie delle bevande alcoliche. Avevo avuto l’opportunità di uno stage della durata di sei mesi presso l’Istituto Agrario di San Michele all’Agide (TN). Ho svolto analisi pre-vendemmiali sulle uve provenienti da diverse zone vitivinicole italiane e su uve mono-varietali del Trentino.

Mi sono occupata anche di raccogliere dati sull’ APA (azoto prontamente assimilabile) delle uve. L’APA si deve a due contributi: azoto inorganico presente nel mosto come ione ammonio ed azoto organico costituito dall’azoto a – amminico degli amminoacidi. I dati da me raccolti sono stati in seguito utilizzati per creare una correlazione con la produzione di biomassa di lievito, velocità e completamento della fermentazione e tipologia dei composti volatili prodotti dal lievito stesso in fermentazione, che condizionano la qualità del vino.

Perché dopo la laurea non ha pensato, come la maggior parte dei suoi colleghi, di fare una prima esperienza nell’industria, per esempio nel settore delle bevande alcoliche, ma ha optato per il tirocinio presso uno studio di consulenza specializzato in private label sviluppate per la GDO?

Dopo la laurea mi sono iscritta al master in Scienza dell’analisi sensoriale. Volevo continuare il percorso nel settore viti-vinicolo. Nello stesso periodo sono stata contattata da uno studio di consulenza che aveva tra i propri clienti un’importante catena della grande distribuzione, per la quale elaborava capitolati tecnici dei prodotti private label e controllava la conformità di quanto ricevuto e commercializzato nei punti vendita. Tra i parametri da controllare c’erano le caratteristiche sensoriali. Mi hanno proposto un tirocinio e ho accettato.

Che importanza ha avuto questo primo impiego?

Mi ha aperto gli occhi su quanto sia complesso definire le caratteristiche di un prodotto private label ed arrivare ad industrializzarlo. Mi sono resa conto delle innumerevoli sfaccettature dei, non sempre semplici, rapporti tra cliente e fornitore. Soprattutto mi ha aiutato a capire di essere più portata per lavorare fianco a fianco con i produttori che non con le aziende che si occupano di distribuzione e vendita. Guardando indietro posso dire che si è trattato di un buon punto di partenza. Sono uscita con le idee più chiare. Ho deciso cosa avrei fatto “da grande”.

UN UNICO REFERENTE PER TANTI SERVIZI

È riuscita nel suo intento?

Si, terminato il tirocinio ho avuto l’immensa fortuna di incontrare un mentore, con una visione del lavoro puntata sui giovani, sulla loro crescita professionale e di responsabilità.

Da quindici anni, lavoro per uno studio di consulenza di cui sono socia – dipendente, nonché responsabile del settore certificazioni in ambito food&packaging. La nostra sede è in provincia di Brescia. Ci occupiamo di certificazioni negli ambiti food, meccanica, impiantistica, chimica, plastica, medicale, cosmesi, cantieristica, automotive.

Siamo al servizio di un territorio che, dopo la crisi del 2008, si è rinnovato ed ha conquistato nuovi mercati, puntando su innovazione, internazionalizzazione, rafforzamento delle competenze. Il gruppo è composto da 4 soci operativi, 7 consulenti interni, 5 consulenti esterni e 4 addetti al back office. Ciascuno di noi ha una diversa specializzazione: qualità, ambiente, sicurezza, automotive ed altro ancora.

A quali categorie di aziende vi rivolgete?

Abbiamo la fortuna di avere una forte spinta commerciale direttamente dai clienti. Il “passaparola” è un pilastro fondamentale del nostro approccio con il mercato, genera un costante flusso di lavoro e ci rende competitivi in un ambito che vanta poche grandi società di consulenza strutturate ed una miriade di free lance. In uno scenario così complesso avere una buona referenza da parte di un cliente soddisfatto è fondamentale.

Nel settore alimentare esistono numerosi schemi di certificazione, dichiarano lo stesso obiettivo, ed in osa differiscono tra loro…

Lo schema di certificazione BRC Food (British Retail Consortium) è stato elaborato per soddisfare le esigenze dei retailer del mercato anglosassone, lo standard IFS (International Food Standard) è più richiesto dalla grande distribuzione francese, tedesca e italiana, lo standard FSSC 22000 è stato sviluppato dalla Foundation for Food Safety Certification con l’obiettivo di armonizzare i requisiti di certificazione ed i metodi per ottenere sistemi di sicurezza alimentare nella filiera.

Tutti e tre gli standard, grazie ai riconoscimenti internazionali ed alle revisioni susseguitesi nel tempo, hanno pari validità. Alle aziende è chiesto di costruire un piano efficiente di gestione della sicurezza alimentare con un forte impegno della Direzione nella creazione di responsabilità interfunzionali, unendo competenze e livelli di conoscenza gestionale diversi all’interno dell’azienda. La sicurezza alimentare quindi, non riguarda più solo l’”ufficio qualità”, ma coinvolge anche chi si occupa di produzione, progettazione, supply chain ed approvvigionamento di materie prime, commerciale e risorse umane.

Finora i distributori europei si sono affidati ad aziende che aderivano a questi standard, continueranno a farlo o la recente pandemia porterà le aziende a ragionare solo in termini massimo contenimento dei costi e pertanto a non rinnovare le certificazioni?

A mio parere, le aziende certificate continueranno a mantenere il sistema. In questi mesi di difficoltà, gli standard owner hanno dato varie disposizioni, chi con possibilità di estensione della validità del certificato e chi con diffusione di una policy intrapresa al fine di garantire la non interruzione dei rapporti commerciali con le aziende a causa della scadenza dei certificati.

Nessuna delle aziende che seguiamo ha paventato di non rinnovare le certificazioni, nessuna ha interrotto o manifestato l’intenzione di interrompere il rapporto di collaborazione con chi nella nostra società di consulenza fornisce il supporto tecnico alle attività di mantenimento del sistema. Credo che, soprattutto nei momenti di crisi, il “certificato” sia lo strumento per dimostrare al mercato credibilità ed affidabilità, per facilitare i flussi commerciali, per distinguersi dai competitor e accedere in via privilegiata a mercati regolati e bandi di gara.

Segue anche diverse certificazioni di prodotto: vegano, MSC, UTZ, RSPO, FSC®, ISCC PLUS. Può parlarcene?

Negli ultimi anni abbiamo avuto da parte delle aziende alimentari una crescente richiesta di certificazioni di prodotto. Per esempio, la certificazione di prodotto “vegano”, prevede la verifica che il prodotto in esame soddisfi i requisiti della specifica tecnica dichiarata e che sia ad essa conforme. L’alimento è vegano se non è prodotto con ingredienti o additivi di origine animale.

Si tratta quindi di studiare in dettaglio la ricetta dell’alimento, di accertarsi della provenienza e delle caratteristiche delle materie prime, compresa l’assenza di organismi geneticamente modificati e di valutare che il processo di produzione sia impostato in modo da evitare contaminazioni crociate con ingredienti di origine animale. MSC, UTZ, RSPO, FSC® e ISCC PLUS sono invece standard basati sul rispetto di una “catena di custodia” relativa alla provenienza di una determinata materia prima prodotta in maniera sostenibile.

Relativamente al settore packaging, quali servizi proponete alle aziende?

Nel 2015 abbiamo avviato le attività di consulenza in questo settore a fronte dello standard BRC GS Packaging materials. Le richieste dei clienti sono considerevolmente aumentate due anni dopo, con l’entrata in vigore della disciplina sanzionatoria e dell’obbligo di notifica delle aziende produttrici di materiali destinati al contatto con gli alimenti.

Da qui, lo sviluppo di un servizio di consulenza ai produttori di packaging ma anche di impianti, per l’implementazione di buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e di piani di controllo analitici necessari per l’elaborazione delle dichiarazioni di conformità al contatto con gli alimenti. Dal 2019 sensibilizziamo le aziende anche sulle tematiche inerenti all’economia circolare ed alla progettazione ecosostenibile dei materiali di imballaggio. Eroghiamo diversi corsi su questi temi.

LA FORMAZIONE A DISTANZA

Come sono cambiate consulenza e formazione a causa della recente pandemia?

L’emergenza COVID 19 ha bloccato gli eventi aggregativi, ma non ha fermato la formazione. Abbiamo attivato un nutrito programma di corsi a distanza. Molte aziende hanno deciso di sfruttare questa occasione di generale rallentamento dei ritmi di lavoro e dell’economia per rafforzare le abilità dei dipendenti (funzionari, impiegati, personale amministrativo) che hanno continuato a lavorare da remoto.

Tanti contesti hanno dovuto affrontare un’improvvisa e profonda trasformazione dell’organizzazione aziendale e per i molti dipendenti che hanno avuto la “fortuna” di non dover interrompere il lavoro, la formazione è stata l’occasione per perfezionarsi e per riflettere sulle proprie modalità operative. È un cambiamento, certamente involontario, ma che potrebbe indurre le aziende più illuminate a riconsiderare il modo di valutare l’operato delle proprie risorse umane. Si è cominciato a credere nella formazione a distanza, sia perché da proposta “alternativa” è diventata l’unica via percorribile, sia perché quando è mirata ed interattiva dà ottimi frutti.

Non ci aspettavamo un cambiamento così repentino, ma non siamo stati colti in fallo, da qualche mese avevamo avviato un progetto di sviluppo di una piattaforma per l’erogazione dei corsi in e-learning. Per contro, essendo ente di formazione accreditato presso Regione Lombardia, una considerevole parte della nostra attività di formazione prevede l’erogazione di corsi finanziati da “fondi interprofessionali”. In marzo questa attività – che obbligava alla sola formazione “in presenza” è stata bloccata ed è poi stata autorizzata “a distanza”.

Abbiamo quindi scelto e testato una piattaforma che ci permettesse di svolgere senza problemi corsi finanziati e i nostri corsi multi-aziendali cui possono presenziare dipendenti delle nostre aziende clienti e non. In merito alla consulenza, abbiamo capito come possa anch’essa essere svolta, almeno per alcuni argomenti, da remoto. Abbiamo posticipato solo le attività connesse a verifica di aspetti operativi nei reparti di produzione.

Accantonando per un attimo da parte il concetto di ritorno alla normalità, come immagina il futuro della sua attività e del settore alimentare?

In merito all’attività di consulenza prevedo che saremo sempre più “connessi” con i clienti. Non solo incontri presso le sedi operative, ma anche in aule ed uffici “virtuali” per con vantaggi in termini organizzativi, di stress, costi e contributo alla riduzione dell’inquinamento e dell’impatto ambientale. Stiamo dando grande importanza alla “digitalizzazione dei dati” con il completamento di un progetto avviato alcuni mesi fa.

L’attività sarà sempre più volta al supporto nelle aziende su temi specifici, di carattere tecnico e normativo (ad esempio etichettatura e supporto nelle attività connesse ai requisiti necessari per le esportazioni verso paesi terzi). Per il settore alimentare auspico che possa approcciare in modo sistematico tematiche di “business continuity” (come già fanno altri settori) con l’aiuto di standard di riferimento specifici e che possa affrontare le tematiche connesse alla digitalizzazione in merito alla tracciabilità ed origine dei prodotti, al fine di dare garanzie e trasparenza sempre maggiori ai consumatori e continuare a valorizzare l’eccellenza del settore alimentare italiano.

Da un altro punto di vista auspico uno stabile e serio coordinamento a livello europeo per evitare forme di concorrenza sleale, garantire la libera circolazione delle merci tra Stati membri e maggiore tutela nelle pratiche di esportazione verso Paesi terzi, per sostenere tutti gli attori che operano nella filiera.