Materiali per il packaging da biomasse microbiche

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Le biomasse sono risorse rinnovabili che si trovano in abbondanza negli scarti dell’agricoltura oppure dell’industria (paglia, sfalci, segatura) e possono essere utilizzate come materia prima per la produzione dei cosiddetti biomateriali o materiali “biobased”.

Ad esempio, i biopolimeri sono una classe molto ampia che comprende le seguenti tre classi:

i) i biopolimeri naturali, che sono polimeri prodotti da organismi viventi, come piante, microrganismi e alghe marine. I biopolimeri naturali più abbondanti sono la cellulosa, gli amidi, la chitina e le proteine vegetali. In particolare, l’alginato, la cellulosa, la carragenina e gli amidi sono i polisaccaridi con la più ampia gamma di applicazioni nell’industria alimentare;

ii) i biopolimeri sintetici, tra i quali troviamo il poli(acido lattico) (PLA), che è un polimero biodegradabile e compostabile prodotto per fermentazione industriale;

iii) i polimeri di bioingegneria, cioè i polimeri biosintetizzati da microrganismi come i poli(idrossi alcanoati) (PHA).

Interazione materiale ambiente

In genere tutti questi materiali sono eco-compatibili, anche se non è possibile affermare se un materiale sia buono o dannoso per l’ambiente solo considerando la sua provenienza, ma è necessario valutare caso per caso l’interazione del materiale con l’ambiente, le condizioni di processo per la sua produzione, gli additivi presenti nella formulazione, l’uso che ne fanno i consumatori finali ed infine il tipo di smaltimento alla fine del suo ciclo di vita.

Ad esempio, la biodegradabilità di un materiale non è direttamente collegata al concetto di biomateriali, poiché non è collegata all’origine del materiale, ma piuttosto alla sua struttura chimica. Si può infatti verificare che di due materiali diversi provenienti dalla stessa materia prima uno sia degradabile e l’altro no. L’unico vantaggio sicuro legato all’utilizzo di risorse rinnovabili è che i biomateriali sono caratterizzati dall’essere “carbon neutral” o “carbon offset”, in altri termini la quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera durante il loro incenerimento è pari alla quantità di anidride carbonica usata per la loro produzione e quindi il bilancio complessivo è nullo.

Tuttavia, oltre a questo indubbio vantaggio occorre considerare anche alcune problematiche. Ad esempio, l’uso di biomasse vegetali può portare ad un impatto negativo sull’ambiente a causa della deforestazione, dell’uso di fertilizzanti e di pesticidi. Inoltre, la qualità e la quantità delle biomasse prodotte può variare in conseguenza di fattori climatici, ambientali, ecc, che rendono incerte le forniture. C’è anche una polemica aperta riguardo all’utilizzo dei terreni agricoli per produrre biomateriali al posto di prodotti alimentari, che comporta un aumento del prezzo dei cereali di base come il mais.

Per i biomateriali prodotti da alghe marine si presentano gli stessi problemi di variabilità dei materiali prodotti dalle biomasse vegetali, con l’aggravante dell’inquinamento marino. Molti di questi inconvenienti vengono superati se si utilizzano come biomasse dei residui o prodotti secondari di altre lavorazioni oppure se si usano per la produzione di materiali dei microrganismi, che per tale motivo vengono denominati “biomassa microbica”.

Il vantaggio dell’utilizzo della biomassa microbica per la produzione di nuovi materiali è che si tratta di una fonte completamente rinnovabile non soggetta ai problemi legati all’utilizzo delle biomasse vegetali. In effetti, questi biopolimeri sono mediamente più costosi dei polimeri a base vegetale; tuttavia i costi si potranno ridurre introducendo nuovi metodi e terreni di coltura microbica a basso costo, assieme allo studio di fonti alternative di carbonio e di azoto.

Nuove fonti di biopolimeri

In quest’ambito, è stato pubblicato uno studio di C. Cottet et al. (Materials 13, 2020, 1263; doi: 10.3390 / ma13061263) incentrato sull’uso di nuove fonti di biopolimeri per sviluppare materiali biodegradabili. In particolare, lo studio si è focalizzato proprio sulle biomasse fungine, che sono una fonte economica e abbondante di biopolimeri e rappresentano un residuo importante dell’industria della birra e di altri processi biotecnologici in cui la biomassa viene scartata dopo aver ottenuto il prodotto finale.

Le biomasse fungine crescono su qualsiasi materiale organico che contenga cellulosa e quindi possono svolgere un ruolo di aggregante naturale per ottenere nuovi materiali. A seconda del tipo di fungo, di substrato e di trattamenti post-crescita si possono ottenere materiali diversi. Una volta attivato, il processo di crescita può essere bloccato attraverso il calore, e il materiale ottenuto diventa così inerte. Ogni porzione delle biomasse fungine ha delle peculiarità interessanti per produrre nuovi materiali, come ad esempio:

* le cellule sono ricche di proteine e polisaccaridi, che possono essere usati per produrre materiali per il packaging;

* il micelio, che è l’apparato vegetativo delle biomasse fungine ed è formato da un fitto intreccio di filamenti detti ife, può essere utilizzato per materiali adatti all’avvolgimento degli alimenti, in alternativa alle pellicole tradizionali in poliuretano;

* i lieviti, che sono un ampio gruppo di funghi usati convenzionalmente nei processi di fermentazione, possono essere utilizzati nell’incapsulamento di composti bioattivi (aromi, ecc.) e di altre molecole. Uno dei vantaggi dell’incapsulamento nei lieviti è che la sostanza incapsulata può essere rilasciata in modo controllato a seconda dell’ambiente in cui si trova. I lieviti possono essere usati anche per produrre pellicole e rivestimenti; ad esempio un buon materiale filmogeno è rappresentato dalle cellule del lievito Saccharomyces cerevisiae, che da migliaia di anni è usato per la produzione di vino, pane e birra ed è quindi la tipologia di lievito più sfruttata nell’industria. Le cellule di questo lievito sono un ingrediente alimentare naturale a basso costo, con un’elevata propensione a formare pellicole biodegradabili.

In conclusione, i risultati mostrati in questo studio mostrano le buone prestazioni delle biomasse microbiche per formare nuovi materiali, con proprietà funzionali adatte a diverse applicazioni. L’importanza di questo argomento è legata al fatto che in natura esiste un enorme numero di biomasse in grado di formare nuovi materiali non ancora pienamente sfruttati.

Queste fonti non tradizionali di biopolimeri potrebbero contribuire a produrre nuovi materiali con buone proprietà, riducendo il nostro impatto sulla natura. La sfida per i ricercatori e l’industria è quindi quella di sfruttare il loro potenziale proponendo nuovi processi e formulazioni, al fine di adattare le proprietà di questi nuovi biomateriali a qualsiasi applicazione specifica.

 

Riferimenti bibliografici

  1. Cottet et al., Materials 13, 2020, 1263; doi: 10.3390 / ma13061263