Industria alimentare, energia parte dell’economia circolare

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Centrale termica per la produzione di energia termica sotto forma di vapore. Centrali come questa sono ampiamente presenti nell’industria alimentare per la cottura degli alimenti e delle materie prime, trattamenti termici per la stabilizzazione e conservazione degli alimenti e per lavaggi, decontaminazioni e sterilizzazioni. (Viessmann)

La riduzione del consumo di energia è uno degli aspetti della sostenibilità ambientale dei processi di trasformazione dell’industria alimentare. Razionalizzazione dei processi produttivi e riutilizzo dei materiali a fini energetici sono due aspetti strettamente legati alla economia circolare, in una ottica di espansione economica.

L’idea di economia circolare nasce essenzialmente dal problema della scarsità delle risorse e della incompatibilità tra la crescita della domanda di beni e servizi e la capacità di soddisfarla in modo ambientalmente sostenibile. Basti pensare che dall’inizio del ‘900 ad oggi, a fronte di una crescita di 4,5 volte della popolazione, il consumo di risorse naturali è invece aumentato di ben 12,5 volte, con un trend ancora più marcato per il futuro.

Un recente studio dell’Energy Strategy Group (ESG) del Politecnico di Milano, ente che negli ultimi anni ha monitorato il mondo dell’energia in tutti i suoi molteplici aspetti, ha affrontato il tema dell’Economia Circolare anche nell’ottica energetica. Ne sono uscite considerazioni che possono essere estese anche all’industria alimentare, dove la varietà di attività comporta utilizzi dell’energia molto diversificati.

Basti pensare il consumo di energia associato a 1 kg di cibo “pronto” varia da un minimo di 0,5 kWh a un massimo di 61 kWh (fonte: RSE), in relazione al tipo di alimento (animale o vegetale), alle tecniche di coltivazione e trasformazione ed al trasporto.

Un modello di crescita rigenerativa

Ricordiamo come la principale differenza tra l’Economia Circolare e gli altri approcci alla sostenibilità risieda nell’idea di base che non è solo l’efficienza a contare (il ridurre le risorse impiegate per un bene o servizio), ma la contestuale riduzione – a parità di contenuto – del “prelievo” di risorse dalla natura, attraverso il recupero e la valorizzazione dei materiali e beni in uso.

Celle frigorifere in uno stabilimento alimentare. Il consumo di energia elettrica nel l’industria alimentare riguarda gli impianti di produzione del freddo (macchine frigorifere), compressori, macchinari elettrici per la preparazione, la produzione e il confezionamento.

Considerando come l’energetica dell’industria alimentare sia al servizio, in sequenza, della preparazione delle materie prime (smistamento, lavaggio, scongelamento, riduzione delle dimensioni, miscelazione, estrazione, ecc.), nei processi di trattamento (ammollo, fermentazione, essiccazione, messa in salamoia, invecchiamento, ecc.), nella somministrazione di calore per cottura, pastorizzazione, sterilizzazione, deidratazione (Figura 1). Ma anche il raffreddamento, la stabilizzazione a freddo degli alimenti e il congelamento giocano un ruolo non secondario (Figura 2).

La dipendenza dalle fonti energetiche, e da altre risorse non rinnovabili a basso costo, espone le imprese a rischi di prezzo: una maggiore volatilità dei prezzi delle risorse può frenare la crescita economica aumentando l’incertezza, scoraggiando le imprese dagli investimenti e aumentando il costo della copertura contro i rischi correlati alle risorse; ma esistono anche rischi di approvvigionamento: molte aree del mondo possiedono pochi depositi naturali di risorse non rinnovabili, quindi le imprese devono fare affidamento sulle importazioni e sul degrado ambientale. Oltre ai rischi per la fornitura delle materie prime stesse, possono aumentare i rischi di fornire sicurezza e protezione associate a lunghe catene di approvvigionamento globali.

Butterfly Diagram e l’industria alimentare

Lo studio dell’Energy Strategy Group razionalizza i concetti ed esamina altri aspetti correlati. La trasformazione dei tradizionali schemi di consumo, produzione, uso-eliminazione nella direzione di una bioeconomia circolare, ha un senso se risponde efficacemente ad alcuni dei fabbisogni reali dell’industria alimentare italiana di trasformazione.

Diagramma a farfalla. Almeno due sono i fronti energetici aperti nell’industria alimentare: incrementare la sostenibilità ambientale dei processi di trasformazione attraverso una razionalizzazione di processi produttivi che consenta anche la riduzione del consumo di energia ed il recupero di sottoprodotti per fini alimentari o energetici. (Energy Strategy Group)

Almeno due sono i fronti aperti dal punto di vista energetico: incrementare la sostenibilità ambientale dei processi di trasformazione attraverso una razionalizzazione di processi produttivi che consenta la riduzione del consumo di energia, e recuperare sottoprodotti per fini alimentari o energetici. In letteratura si fa riferimento a due principali tipologie di flussi (o cicli): i cicli tecnici (riutilizzo e prevenzione delle risorse) e i cicli biologici (riduzione dell’impatto ambientale) rappresentati in Figura 3 nel cosiddetto “diagramma a farfalla”.

Per determinare come ridurre l’impatto ambientale all’interno di un’Economia Circolare si può ricorrere alla gestione delle energie rinnovabili (sostituire i combustibili fossili con fonti di energia rinnovabile), ed agire sulle tipologie di materiali e dei nutrienti biologici, che caratterizzano i cicli biologici. Il ricorso a nutrienti biologici comporta l’utilizzo di prodotti agricoli, materie prime e rifiuti organici, non tossici, che possono essere restituiti alla biosfera, producendo in alcuni casi anche energia, attraverso una serie di processi come il compostaggio, la digestione anaerobica e la conversione biochimica.

Il modello di riferimento per analizzare l’Economia Circolare

L’ambito di analisi per l’industria alimentare, con riferimento all’energia, si concentra su due settori: il settore “Impiantistica Industriale” per quanto riguarda i cicli tecnici e “Resource & Energy Recovery” per quanto riguarda i cicli biologici. Il Settore Impiantistica Industriale (Machinery) può mettere in atto misure che possono generare la migliore progettazione ecocompatibile, la prevenzione e il riutilizzo dei rifiuti.

In tutta l’Unione Europea (UE) ciò viene valutato in risparmi netti per le imprese fino a € 604 miliardi, ovvero l’8% del fatturato annuo, riducendo al tempo stesso le emissioni totali annue di gas serra del 2-4%. In generale, attuare misure aggiuntive per aumentare la produttività delle risorse del 30% entro il 2030 potrebbe far salire il PIL quasi dell’1% e creare oltre 2 milioni di posti di lavoro rispetto a uno scenario economico abituale.

Invece per quanto concerne il secondo settoreResource & Energy recovery” si stima che in Europa al 2035 verranno prodotti circa 550 milioni di tonnellate di rifiuti (urbani, commerciali e industriali) e attraverso normative sempre più stringenti si fissa l’obiettivo di incrementare le quote di rifiuti che vengano valorizzati attraverso processi di conversione energetica.

Si stima che sarà possibile valorizzare circa il 65% attraverso pratiche destinate al riciclo e al compostaggio, il 15% sarà destinato all’incenerimento, mentre quote minori saranno alloccate in discarica. In Italia si registra un forte incremento nell’ultimo decennio delle quantità di materiali che vengono valorizzati attraverso trattamenti biologici, permettendo di recuperare oltre 7,4 milioni di tonnellate di rifiuti (dati 2017).

Ripartizione tra consumi termici ed elettrici dei principali settori manifatturieri italiani, tra i quali il settore alimentare riveste una importanza considerevole. Si evidenzia come la maggior parte dei consumi sia di natura termica. (Energy Strategy Group)

Trasversalità

L’Economia Circolare non consente soltanto un risparmio o “efficienza di costo”, ma crea anche nuove opportunità di mercato, come la creazione di prodotti, processi e modelli di business innovativi, nuove possibilità di “waste recovery”, integrazione di filiere tecnologico-produttive, sviluppo di nuove azioni di “policy”. Inoltre, la trasversalità del tema energetico in diversi ambiti di analisi è piuttosto ampia: dalla gestione energetica alla gestione idrica, dalla mobilità elettrica alle smart city, alla gestione del suolo.

Per tale motivo è indispensabile adottare una prospettiva di analisi orientata all’impresa e alla trasformazione dei modelli di business da lineari a circolari, alle pratiche manageriali adottate dalle imprese, agli elementi che le vitalizzano, analizzando anche le barriere all’adozione di queste, con riferimento alla specificità dei settori industriali ed ai cicli tecnici e biologici. D’altra parte le quantità energetiche sono importanti e l’industria alimentare riveste un ruolo, anche sotto questo aspetto, di primo piano nel panorama manifatturiero nazionale (Figura 4).

Ciò che ostacola l’Economia Circolare

Il lavoro dell’Energy Strategy Group identifica diverse categorie di criticità che ostacolano l’Economia Circolare in generale. A partire dall’analisi di un’ampia letteratura scientifica sul tema dell’adozione dell’Economia Circolare nei modelli di business d’impresa, le barriere si possono racchiudere in sette principali categorie:

  • ambientale: legata alla scarsità di risorse e alla incapacità di prevenire impatti ambientali negativi causati dalle attività delle aziende;
  • economico-finanziaria: legata alla necessità di capitale sia per iniziare la transizione circolare che per mantenerla nel tempo, ma anche ai costi da sostenere per le nuove tecnologie, per superare le difficoltà di mercato come i rendimenti incerti;
  • sociale: legata all’ostilità verso materiali e prodotti innovativi e ad un atteggiamento inerte verso nuovi modelli di business. Il comportamento inerte e la mancanza di interesse per attività e materiali innovativi deprime le attività di ricerca e sviluppo e di conseguenza rallenta l’uscita da mercati ancora legati a modelli lineari;
  • istituzionale: legata alla presenza di incentivi disallineati o alla mancanza di un sistema legale favorevole o di un quadro istituzionale consolidato. Un problema correlato si riferisce alla mancanza di una leadership di governo che delinei una visione sistemica di transizione verso l’Economia Circolare;
  • tecnologica e informativa: legata alle tecnologie necessarie per effettuare la transizione verso l’Economia Circolare e il «contenuto informativo» dei prodotti, materiali e risorse che vengono scambiati;
  • catena del valore (“Supply Chain”): legata alla dispersione geografica dei principali rivenditori e utenti finali, che si traduce in complessità logistica e costi di trasporto elevati. Un problema correlato a quest’ultimo punto si riferisce alla mancanza di una rete di partner a supporto di una filiera circolare, a causa della mentalità lineare dei partner e della mancanza di collaborazione e di risorse;
  • organizzativa: legata alla possibile incompatibilità delle iniziative circolari con le operazioni lineari esistenti e gli obiettivi di sviluppo, nonché ai possibili conflitti con la cultura organizzativa esistente, a causa di forti inerzie organizzative e di un’elevata complessità della gerarchia organizzativa.

Conclusioni

L’Economia Circolare propone una ricetta, non ovviamente l’unica possibile, di maggiore sostenibilità anche da un punto di vista energetico (un’altra potrebbe essere ridurre drasticamente il livello di consumi della popolazione abbassandone il tenore di vita). Tale ricetta si basa su un interessante cambio di prospettiva: porre l’obiettivo di produrre energia rinnovabile e gestirla con oculatezza in relazione con il fine di mantenere i prodotti il più a lungo possibile nell’economia attraverso l’estensione della loro vita, la ridistribuzione, il riutilizzo, la rigenerazione e, soltanto alla fine, il riciclo.

In questa maniera, anche connettendo più filiere che possono trarre beneficio e condividere parte delle risorse (la cosiddetta “simbiosi industriale”), risulta possibile sostenere la medesima domanda di beni e servizi con un minor prelievo di risorse naturali. Non si tratta quindi di una ricetta di austerity (tanto in voga, ad esempio, nel periodo delle crisi energetiche del secolo scorso), bensì di una ricetta espansiva della domanda, anche da un punto di vista energetico.

Impianto per la produzione di biometano nell’ambito dell’industria agroalimentare. In Italia si registra un forte incremento nell’ultimo decennio delle quantità di materiali che vengono valorizzati attraverso trattamenti biologici. (IES Biogas)

Economia circolare con il biogas

L’impianto AF Bioenergie realizzato da IES Biogas è uno dei primi progetti di produzione di biometano nell’ambito dell’industria agroalimentare nel nostro Paese e rappresenta un esempio virtuoso di Economia Circolare, fondamentale per raggiungere i target di decarbonizzazione nel settore dei trasporti (Figura 5).

La tecnologia adottata è la digestione anaerobica a umido. Il progetto porta molteplici benefici al territorio (sviluppo dell’occupazione e ritorno economico per le aziende locali) e all’ambiente, promuovendo forme di Economia Circolare, la sostenibilità e la decarbonizzazione nel settore dei trasporti, riducendo l’inquinamento atmosferico.

La capacità produttiva è di 9,4 milioni di Standard metri cubi di biometano all’anno, destinato alla autotrazione, a partire da reflui e sottoprodotti dell’industria lattiero-casearia (paste saponose, scotta, flottati, latticello, latte, yogurt.  Si stima che il combustibile prodotto possa permettere a 9.379 auto a metano di percorrere 159 milioni di chilometri ottenendo un risparmio annuo di petrolio equivalente pari a 7.300 tonnellate e di CO₂ pari a 18.340 tonnellate.