Collaborazione industria-università

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Giorgia Spigno

Grazie al Piano Nazione di Ripresa e Resilienza (PNRR), Università (e centri di ricerca) e Industria stanno ricevendo fondi preziosi da utilizzare per contribuire alla ripresa con successo. La ripresa chiama innovazione e l’innovazione chiama la collaborazione Università-industria.

Come accademica, ho effettuato delle ricerche specifiche sul tema e non mi aspettavo di trovare così tanto materiale – anche molto recente – sullo studio dei fattori che possono favorire e impattare la collaborazione Università-Industria. Ricercando correlazioni con gli ambiti a me più noti, nel 1990 l’OMS coniò il concetto di responsabilità condivisa per la gestione della sicurezza e igiene alimentare, in cui Governo, Industria, Scienza&Ricerca e Consumatori hanno ruoli e responsabilità precise.

Nella collaborazione Università-Industria si parla del modello di innovazione a Tripla Elica per sottolineare l’importanza delle interazioni tra università, settore privato e istituzioni pubbliche per promuovere il trasferimento delle conoscenze e ottimizzare il processo di innovazione e il suo impatto sociale. Si tratta di un modello di innovazione non più lineare (come quello adottato dopo la Seconda guerra mondiale, che vedeva i risultati della ricerca tradotti in innovazioni e poi diffusi nella società), bensì un modello non lineare con continui meccanismi di feedback tra i diversi componenti del processo di innovazione.

Invece, spesso, università e risultati scientifici, e industria e tecnologia appaiono entità separate o più o meno distanti a seconda del settore tecnologico. Questo nonostante nel 2000 l’Unione Europea, con l’Agenda di Lisbona e la strategia Europe Horizon 2020, abbia fatto dell’innovazione una priorità, con l’obiettivo di colmare il divario tecnologico rispetto agli Stati Uniti e divenire “l’economia più competitiva e dinamica al mondo basata sulla conoscenza e in grado di sostenere una crescita economica per numero e qualità di posti di lavoro e per elevata coesione sociale”.

Assistiamo ancora al “Paradosso Europeo” per cui l’Europa, pur primeggiando rispetto agli Stati Uniti a livello di risultati scientifici, non fa altrettanto per la capacità di convertire detti risultati scientifici in innovazioni tecnologiche di successo. Nel panorama Europeo, poi, l’Italia non appare tra i Paesi che più investono nei diversi fattori che possono favorire una solida e fruttuosa collaborazione Università-Industria.

Siccome il settore alimentare condivide questa realtà di distanza Università-Industria, mi piace evidenziare alcune delle barriere (tralasciando quelle economiche) che andrebbero abbattute per colmare tale distanza, di modo che i lettori, dell’una o dell’altra “fazione”, possano fare un piccolo esame di coscienza e pensare a qualche buono proposito per il 2023, ricordando che le collaborazioni sono, innanzitutto, tra persone.

Le barriere comprendono il disallineamento di obiettivi tra università e industria e differenze di scale temporali per il loro raggiungimento; conflitti nella gestione della proprietà intellettuale; timori nella condivisione delle proprie conoscenze; mancanza di contatti diretti e di fiducia tra i due mondi; mancanza di riconoscimento (ai fini della carriera universitaria) del tempo dedicato alle collaborazioni con l’industria. Mi colpisce la mancanza di programmi specifici che favoriscano la mobilità di breve-medio periodo di ricercatori nell’industria e viceversa… Io sarei una delle prime a volerla sperimentare.