L’omogeneizzazione ad alta pressione (High Pressure Homogenization, HPH) costituisce una interessante possibilità per rispondere alla crescente domanda di prodotti meno processati e dotati di clean label.
Questa tecnologia è in grado di inattivare la popolazione microbica senza l’impiego di calore, riducendo l’impatto ambientale senza ledere le qualità nutrizionali del prodotto.
A differenza dei metodi di pastorizzazione termica, che richiedono elevati input energetici per portare i prodotti a temperature superiori a 70-80°C, l’HPH sfrutta una pressione elevata per distruggere le strutture cellulari e inattivare i microorganismi. Una ricerca pubblicata su Future Foods ha confermato l’efficacia dell’HPH per prolungare la shelf life degli alimenti liquidi senza comprometterne i valori nutrizionali. Secondo i ricercatori, inoltre, la metodologia migliora l’omogeneità, riduce il consumo di energia e minimizza la necessità di conservanti chimici.
Il trattamento a 50 MPa applicato al succo di pomodoro, ad esempio, sebbene abbia implicato la degradazione di quasi la metà del licopene, ne ha incrementato la bioaccessibilità complessiva del 43%, mentre sul succo di mango, una pressione tra 40 e 190 Mpa ha ridotto il diametro delle particelle da 138 mm a 6 mm, aumentando la disponibilità di pectina idrosolubile e la stabilità del prodotto.
Nel caso dei succhi di frutta ricchi di polifenoli, come quello estratto dal kiwi, il trattamento HPH ha incrementato il contenuto di fenoli totali del 20%, contribuendo alla conservazione delle proprietà antiossidanti durante lo stoccaggio. Il trattamento a pressioni ancora più elevate, comprese tra 300 e 400 Mpa, si è dimostrato efficace per l’inattivazione di batteri patogeni prolungando la shelf life di succhi di frutta e latte.