CO2 supercritica per l’industria alimentare

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Uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica “Processes” suggerisce che i fluidi supercritici (SCF) potrebbero rappresentare una soluzione efficiente per ridurre l’impatto ambientale di molti processi implicati nella trasformazione alimentare. I fluidi supercritici sono sostanze portate oltre i propri punti critici di temperatura e pressione, situazione nella quale combinano le proprietà fisiche dei liquidi con quelle dei gas.

Questo stato consente loro di penetrare materiali solidi con facilità, come fanno i gas, ma di dissolvere alcune sostanze come fanno i liquidi. Tra le molecole che possono essere portate allo status supercritico vi è anche l’anidride carbonica (SC-CO₂) che offre diverse applicazioni nell’industria del food processing (come l’enhanced oil recovery e nei cicli di refrigerazione).

L’SC-CO₂ combina bassa viscosità, alta diffusività e assenza di tensione superficiale – facilitando l’estrazione di sostanze e la penetrazione in materiali porosi – e una densità simile a quella dei liquidi, ideale per solubilizzare composti apolari. È inoltre considerata ecocompatibile, sicura e versatile, in quanto offre la possibilità di regolare la solubilità in base alle specifiche esigenze modulando pressione e temperatura.

In virtù di queste caratteristiche, l’uso di SC-CO₂ si sta rapidamente diffondendo nell’industria alimentare per estrarre composti (come aromi, antiossidanti, e oli essenziali) da materie prime vegetali e scarti alimentari. Viene, ad esempio, utilizzata per decaffeinizzare il caffè senza solventi chimici tradizionali mantenendo inalterate aroma e qualità dei chicchi.

I ricercatori sottolineano il promettente potenziale dei fluidi supercritici per la sostenibilità ambientale, grazie all’eliminazione di solventi tossici e al recupero efficiente del solvente. Inoltre, migliorando il trasferimento di massa e calore, riducono il consumo energetico. Secondo un’altra ricerca, l’efficienza di conversione dell’energia in lavoro si attesta tra il 94,6 e il 97,2%, in base alle condizioni di lavoro. I processi implicati, peraltro, risultano sicuri e garantiscono il mantenimento delle qualità organolettiche dei prodotti aumentando la sicurezza per i consumatori.

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