Materiali autoriparanti per imballaggi alimentari intelligenti

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Lo studio di materiali in grado di riparare autonomamente i danni subìti durante lo stoccaggio, il trasporto o la distribuzione è relativamente recente e mostra delle potenzialità interessanti per il miglioramento della durata, della funzionalità e della sostenibilità degli imballaggi alimentari.

In quest’ambito i biopolimeri risultano particolarmente interessanti perché presentano anche i vantaggi ambientali della biodegradabilità e della biodisponibilità. Rimangono però da affrontare alcune sfide tecnologiche prima del loro utilizzo commerciale.

Gli imballaggi alimentari possono subire danni durante lo stoccaggio, il trasporto e la distribuzione quando sono esposti a sollecitazioni meccaniche e a condizioni ambientali avverse. Questa situazione deve essere il più possibile evitata, perché una confezione danneggiata potrebbe non riuscire a conservare correttamente l’alimento a causa della perdita dell’integrità e della funzione barriera.

Per risolvere questo problema, attualmente sono in fase di studio dei materiali che hanno proprietà autoriparanti (“self-healing”), cioè possono riparare autonomamente i danni subìti e ripristinare la loro funzionalità originale, migliorando così la stabilità del packaging, preservando la qualità del prodotto e favorendo la conservazione degli alimenti. I materiali autoriparanti rientrano nella più ampia categoria degli imballaggi intelligenti, che sono in grado di modificare le loro proprietà (meccaniche, elettriche, ottiche, ecc.) in risposta agli stimoli che ricevono dall’ambiente che li circonda.

Come avviene l’autoriparazione in questi materiali ?

Il meccanismo è simile all’azione di una cerniera e si basa su alcuni semplici passaggi che avvengono dopo il danno subìto dal materiale, che consistono nella mobilità della catena polimerica e nella formazione di nuovi legami al suo interno. Questo meccanismo rende possibili molteplici cicli di autoriparazione in un materiale, il che è particolarmente interessante per i materiali di imballaggio alimentare.

Una rassegna di S. Sistani et al. fornisce un aggiornamento sui recenti progressi nel settore dei materiali autoriparanti per imballaggi alimentari, con particolare attenzione ai biopolimeri, che rispetto alle plastiche tradizionali presentano proprietà meccaniche e di barriera inferiori e quindi sono più vulnerabili ai danni, ma presentano anche i vantaggi ambientali della biodegradabilità e della biodisponibilità. Questa rassegna inizia con il concetto di autoriparazione, quindi descrive i biopolimeri più promettenti ed infine esplora le sfide attuali e le prospettive future.

Il concetto di autoriparazione

L’autoriparazione è la capacità di un materiale di rilevare danni, ripararli e ripristinare la sua funzione originale, ispirandosi ai processi biologici. Infatti, in natura i sistemi biologici mantengono la loro funzionalità attraverso complessi processi di autoriparazione: un esempio per tutti è rappresentato dalla pelle umana, che può riparare autonomamente lesioni come tagli e ustioni, ma anche la coagulazione del sangue e la rigenerazione ossea seguono questi meccanismi. Partendo da questi modelli biologici, gli scienziati hanno sviluppato sistemi di “autoguarigione”, che prevedono i seguenti tre passaggi:

(1) l’innesco per la riparazione, che solitamente avviene in prossimità del danno. In base alla necessità o meno di stimoli esterni per avviare la riparazione, i materiali possono essere classificati in due gruppi:

  • (1.1) sistemi non autonomi, cioè che per l’innesco hanno bisogno di stimoli esterni (luce, calore, irradiazione laser, sostanze chimiche o forze meccaniche);
  • (1.2) materiali autonomi, in cui il danno stesso agisce come innesco, senza richiedere l’intervento di agenti esterni. Lo sviluppo di materiali autoriparanti autonomi che funzionino efficacemente senza inneschi esterni è una priorità per il packaging alimentare;

(2) la mobilità del materiale verso il sito del danno. L’umidità presente all’interno della confezione alimentare può migliorare la mobilità dei biopolimeri, facilitando così il riformarsi dei legami originari;

(3) la rigenerazione della matrice, la cui efficacia viene solitamente misurata in funzione dell’entità del danno subìto dal materiale.

Leggi tutto l’articolo sul numero di Macchine Alimentari di gennaio/febbraio

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