I capolini del carciofo, oltre al consumo fresco, vengono destinati all’industria per la loro trasformazione ed è stato stimato che gli scarti della lavorazione costituiscono ca. l’85% del peso fresco.
In questo contesto, lo scopo di uno studio recente, effettuato da un gruppo di ricercatori italiani (De Bellis et al., 2024), è stato quello di sviluppare una nuova formulazione di pasta funzionale impiegando uno sfarinato ottenuto dalle brattee esterne di questo ortaggio (cv Romanesco).
In particolare, per la sperimentazione, sono stati preparati campioni mescolando semola rimacinata di grano duro ed acqua utilizzando una semplice impastatrice per la produzione di fettuccine. È stato, così, ottenuto un impasto convenzionale con un contenuto di umidità (U%) pari al 44%, mentre quello sperimentale è stato preparato sostituendo il 10% di semola con farina di carciofo (FC). La pasta è stata, quindi, essiccata a 40°C per 16 ore.
I prodotti sperimentale (FC) e di controllo (CTR) sono stati sottoposti ad analisi tecnologiche (tempo ottimale di cottura, cooking loss ed acqua assorbita in cottura), chimiche e sensoriali. È stata anche determinata la stabilità digestiva e la bioaccessibilità delle componenti fenoliche.
In particolare, nel campione sperimentale sono state identificate l’apigenina, la luteolina e la quercetina, oltre alle forme glicosilate che risultano anche altamente bioaccessibili. In sintesi, i risultati confermano la possibilità di utilizzare le brattee esterne del carciofo per la produzione di pasta ad elevato contenuto di composti bioattivi, senza compromettere le caratteristiche organolettiche del prodotto.
Riferimenti bibliografici: De Bellis et al., Convegno Nazionale di Scienze e Tecnologie Alimentari, Bari, 12-13 Giugno 2024, 68.