Ricerca e industria, una sinergia sempre più indispensabile

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Perché la Ricerca è vicina all’industria
Venendo alla Ricerca, a volte l’accusa che viene mossa è quella di essere – se non fine a se stessa – almeno un po’ lontana da quella che è la realtà industriale. “C’è un equivoco di fondo – osserva Gerbi – nel senso che non ci può essere ricerca applicata senza che qualcuno faccia ricerca di base. La messa a disposizione di concetti che derivano dalla ricerca di base viene spesso considerata come non praticabile dall’industria perché richiede tempi troppo lunghi che non sono compatibili con i loro  piani di investimenti  che invece richiedono tempi tra l’investimento e il ritorno. Questo fa sì che, soprattutto nel nostro settore, venga privilegiata la ricerca applicata alla quale si chiede di ottenere dei vantaggi sia di razionalizzazione del processo che di risparmio, etc. Il rischio che si corre è che nessuno si occupi più di ricerca di base perché i finanziamenti, soprattutto a livello di ricerca locale come quelli delle piattaforme regionali, privilegiano progetti di trasferimento tecnologico e prevedono programmi relativamente brevi entro i quali ci devono essere risultati agibili. Si tratta di un problema che va affrontato perché, se da un lato le fonti ufficiali ministeriali non fanno più finanziamenti  di ricerca diffusi ma solo su progetti specifici e, dall’altro, le imprese richiedono solo risultati applicativi, si rischia di perdere la possibilità di avere innovazioni veramente importanti che derivano dalla ricerca di base”. Siamo quindi di fronte a un problema di cultura? “Certamente sì perché la destinazione dei fondi verso queste attività di ricerca è una scelta strategica che prevede atti di Governo basati su precise scelte culturali”.

Ruolo delle istituzioni
In un momento come l’attuale in cui la disponibilità di materie prime tende a diminuire, non diventa fondamentale un intervento da parte delle Istituzioni per attuare forme di ricerca sempre più mirate? “Nel futuro – osserva Gerbi – sarebbe opportuno distinguere in modo molto chiaro i progetti per i quali ci potrebbe essere il coinvolgimento delle aziende e una partecipazione delle aziende all’ottenimento di risultati applicativi, da quella che è la disponibilità di conoscenze in generale. Della disponibilità di conoscenze in generale non si può chiedere che se ne facciano carico direttamente le aziende, ma deve essere attraverso la fiscalità che si sostiene il meccanismo di ricerca. Attualmente i progetti che il Ministero gestisce sono certamente orientati a una grosso miglioramento della selezione, evitando così finanziamenti a pioggia e premiando i progetti più importanti; sono però sottodimensionati come quantità di investimento. La conseguenza è che nel medio/lungo termine si perderà competitività perché chi fa solo ricerca applicata continua a riciclare conoscenze già acquisite e non riesce a svilupparne di nuove. Si tratta di un problema in cui bisogna distinguere i ruoli. Ci deve essere un ruolo per la finanza pubblica che sostiene la ricerca di base (più di quanto non avviene adesso), può esserci invece una destinazione di risorse proveniente dalle aziende indirettamente favorita dal pubblico, per esempio defiscalizzando gli interventi di ricerca in modo meno complicato di adesso. Tecnicamente si può immaginare che un’azienda sostenga un dottorato di ricerca, tipica espressione della ricerca di base, ma nella pratica l’azienda non ci riesce perché è troppo farraginoso il meccanismo fiscale che agevola questa destinazione di fondi. Manca quindi non tanto la volontà, quanto il meccanismo che può rendere possibile realizzare questi progetti. Si tratta, come già detto, di una mancanza di cultura a livello nazionale”. Vincenzo Gerbi osserva infine che “è necessario adoperarsi a tutti i livelli, mettendo da parte qualunque forma di superbia, perché tutti capiscano l’importanza di avere un sistema di Ricerca e un’Università che faccia Ricerca in modo efficiente. Spesso trovo che ci sia incomprensione da parte dell’opinione pubblica sulla necessità della Ricerca e dell’esistenza di un sistema di Ricerca. La razionalizzazione della spesa pubblica è una priorità, ma esiste l’assoluta necessità di rivalutare il ruolo di chi fa ricerca e la sua importanza rispetto all’opinione pubblica perché, allo stato attuale, è diventato quasi assiomatico che a fare ricerca sia chi non ha successo in altri ambiti. Se però guardiamo i risultati della Ricerca, in particolare quelli in cui si collocano i ricercatori italiani nel sistema internazionale, vediamo che si tratti di buoni livelli – quanto a indicatori di produttività – incredibilmente buoni se raffrontati all’entità dei finanziamenti pubblici. La mia speranza è che si possano risistemare queste situazioni anche attraverso notizie che ne diano contezza. Razionalizzare va bene, ma non si dovrebbe perdere competitività per danno di immagine. Assistiamo, per esempio, a una riduzione delle immatricolazioni in Università, quando l’Italia è il paese che ha meno laureati in assoluto rispetto al sistema europeo. Se questo rispondesse a un aumento di persone che vanno a studiare all’estero andrebbe bene, ma in realtà semplicemente non studiano, e questo è un altro grandissimo problema”.