Ricerca e industria, una sinergia sempre più indispensabile

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Mercato e Ricerca

Luciano Piergiovanni, Docente del DEFENS, Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente dell’Università degli Studi di Milano.

Per Luciano Piergiovanni, Docente del DEFENS, Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente dell’Università degli Studi di Milano “Nel rapporto tra il mondo della ricerca e quello dell’industria siamo indietro e dobbiamo adoperarci perché la situazione cambi, cioè che tra le aziende e gli enti di ricerca pubblici si venga a instaurare non solo qualche forma di collaborazione in più rispetto alla attuale, ma anche una collaborazione diversa rispetto all’attuale. Fare questo non è facile ma deve essere reso possibile. Certo le differenze tra i due mondi sono molte e sono importanti. L’azienda giustamente mira all’innovazione, al profitto e guarda al mercato, il ricercatore deve progredire e farsi apprezzare in un contesto ben diverso che è molto lontano dal mercato. Da un mercato in realtà il ricercatore è attratto, ed è il mercato delle pubblicazioni perché il prodotto del lavoro del ricercatore è sempre più spesso un articolo che deve essere pubblicato su riviste scientifiche che non sono certamente tutte uguali cosicché, quello che si punta a fare, è pubblicare su riviste “impattanti”, molto qualificate e rigorose, un mercato molto esigente. Personalmente ritengo che le aziende dovrebbero capire questa esigenza del ricercatore pubblico molto più di quanto non facciano oggi, e agevolare  l’attività di pubblicazione sulle riviste scientifiche; se in un accordo tra azienda e Università/centri di ricerca pubblici si facesse chiarezza su questo punto, e si puntasse insieme a rendere evidenti i risultati di una determinata ricerca, tutto sarebbe più facile. Molto spesso invece, la parte aziendale della collaborazione vuole avere i risultati in fretta – magari solo parziali – e rifiuta quel rigore metodologico che invece noi siamo obbligati a seguire per pubblicare, e questo determina la difficoltà di collaborazione, di linguaggio e di finalità che, soprattutto per i giovani ricercatori, allontana molto la possibilità di collaborazione con le aziende. I giovani infatti, per fermarsi in Università e fare carriera, devono pubblicare ma soprattutto pubblicare bene, il che significa fare ricerca in modo approfondito, rigoroso, e non fermarsi al primo risultato”. “Quello che quindi si verifica quotidianamente – prosegue Piergiovanni – è che i giovani non ti seguono quando tu, vecchio professore, proponi un percorso con l’azienda xy che ha un certo problema da risolvere; anche se la collaborazione con l’azienda porta a risorse economiche per il laboratorio,  i giovani non ci guadagneranno in termini di carriera e affermazione professionale”. Le difficoltà di incontro sono quindi maggiori per gli Istituti/Enti di ricerca? “In realtà – replica Piergiovanni – le aziende dovrebbero fare un passo nei confronti della nostra necessità di pubblicare e produrre risultati”. Ma la pubblicazione non comporta un “rischio” per l’azienda che si è avvalsa della collaborazione di un Ente pubblico di ricerca?  “Le pubblicazioni effettivamente significano anche questo e questo è un grande ostacolo, ma con un po’ di elasticità, con un po’ di pianificazione e con degli accordi chiari, io credo che si possano mettere insieme entrambe le esigenze. Si registra prima un brevetto e poi si pubblica, si pubblica ma non si fanno certi nomi, si mettono dei numeri ma non si mettono tutti i numeri. Un escamotage si può trovare, ma ci deve essere da parte di tutti, ma soprattutto da parte delle aziende, una disponibilità ad accettare che il lavoro di ricerca non è un lavoro tecnico di  problems solving, ma un lavoro di incremento delle conoscenze. Troppo spesso le aziende si rivolgono a noi per risolvere un problema contingente, ma si fermano troppo presto, quando c’è un risultato ottenuto, un risultato che però, a quel punto, non è pubblicabile perché non ha il rigore, il conforto della statistica e di metodologie analitiche adeguate”.

Il ruolo delle associazioni
“Nel nostro settore particolare, quello del food packaging – precisa Piergiovanni – le problematiche più frequenti riguardano una volta l’idoneità al contatto con gli alimenti, un’altra la shelf-life, o ancora la caratterizzazione di una nuova soluzione di packaging; si tratta quindi di problemi che possono ben prestarsi alla realizzazione di prodotti scientifici di valore (pubblicazioni, ricerche, brevetti, etc.), ma vedo da parte delle aziende una diversa valutazione del prodotto finale. E’ reale che più le imprese sono piccole/medie più questa difficoltà è grande; le aziende molto grandi infatti conoscono meglio certe dinamiche, hanno meno timore della concorrenza rispetto alle medie/piccole imprese che sono però quelle che più hanno bisogno di fare sviluppo. La soluzione che io vedo, soprattutto se le aziende difettano di risorse per pagarsi una ricerca qualificata, è quella del mettersi insieme (in associazioni di categoria) per risolvere quei problemi che possono essere affrontati mettendo in comune le conoscenze”. “Proprio in questi giorni – ricorda Piergiovanni – un’associazione ha deciso di finanziare uno studio che condurremo noi; si son messe insieme otto aziende per un risultato che condivideranno, anche se resteranno comunque competitors sul mercato. Ma questa conoscenza che vogliono raggiungere tutti ha una valenza tale che sono disposti a mettere insieme le loro risorse, costruire un comitato che indirizzi la ricerca e quindi commissionare a noi lo studio che, da soli, non avrebbero potuto sostenere. Mi rendo conto che quando si tratta di risolvere un problema, di controllare la concorrenza o di raggiungere un obiettivo particolare o molto minuto, non si dovrebbe parlare di ricerca. Quando invece si vola un po’ alto e ci si mette davanti a problemi grossi, alla fine emerge che sono tutti disponibili a condividere sforzi e risultati”. Per quanto riguarda in particolare il MIUR, esiste una disponibilità a far incontrare, attraverso qualche forma di finanziamento, ricerca e industria? “Il Ministero qualcosa fa per cercare di incentivare la ricerca in collaborazione con le imprese, ma anche in questo caso si ripetono i soliti scenari nei quali l’azienda è soprattutto interessata a presentare dei risultati per poter rivendicare un rimborso o un finanziamento, mentre il ricercatore pubblico vuole arrivare a un risultato eclatante, all’invenzione, cioè a un qualcosa che gli da veramente lo spunto nell’avanzamento della sua vita professionale. Si tratta di atteggiamenti naturali, inevitabili ma molto diversi, ma è anche vero che solo lavorando insieme imprese e università ci si rende conto di queste specificità. Noi dei passi nei confronti delle imprese ne abbiamo fatti, e l’idea di una ricerca applicata è diventata ormai un  patrimonio culturale dei ricercatori. Basti infatti pensare ai progetti finalizzati del CNR: erano i tempi in cui si cercava una finalizzazione dell’attività di ricerca perché si diceva- giustamente – che il ricercatore lavorava troppo distante dai bisogni reali. Nel frattempo, sono passati un po’ di anni, questa idea è maturata nel mondo della ricerca e ci rendiamo conto che è utile, non è astratta ma concreta. Resta però il rigore del risultato perché, diversamente, non saremmo noi stessi. D’accordo quindi sul fine pratico, applicativo, utile, etc., ma il metodo deve essere quello di una ricerca completa, con tutti gli elementi che la caratterizzano, con dei risultati consolidati, verificati, supportati da prove e statistica, da metodologie nuove e valorizzati dalla pubblicazione su riviste scientifiche internazionali. E questo dobbiamo farlo entrando in sintonia con le imprese”.

Maria Cristina Parravicini