Se il mercato nazionale per la filiera delle macchine per il processo alimentare e per quella delle macchine per il confezionamento e imballaggio non da ancora segni di ripresa, positivi sono invece i dati dell’export che premiano, ancora una volta, i costruttori italiani.
“La staticità del mercato nazionale – premette Emilia Arosio, Presidente di Assofoodtec (Associazione italiana costruttori macchine, impianti, attrezzature per la produzione, lavorazione e conservazione alimentare) – è dovuta al fatto che noi produciamo macchinari per la lavorazione di prodotti alimentari e, in virtù della crisi e della conseguente riduzione dei consumi che interessa un po’ tutti e ha portato a un allineamento verso il basso degli stili di vita, è naturale che le aziende non abbiano alcun interesse a rinnovare i macchinari, come conseguenza di una ridotta produzione generale. A questo si aggiungono gli oneri fiscali, i ritardati pagamenti della P.A. che, a loro volta, inducono gli imprenditori a non investire”. Se però diamo uno sguardo ai dati forniti da Federalimentare – che indicano una crescita costante degli alimenti Made in Italy sui mercati internazionali – come possiamo conciliare questi numeri con la staticità del mercato interno? “Questo è parzialmente vero – puntualizza Arosio – nel senso che ci sono alcuni settori che sono in positivo anche nel mercato interno, ma si tratta di un dato altalenante che non può essere legato all’intero comparto delle macchine. Ci sono poi settori più o meno “fortunati” rispetto ad altri: ad esempio, quello della macellazione attraversa ancora una fase di crisi, mentre quello della refrigerazione, dopo un periodo negativo, sta vivendo una buona ripresa. E’ azzardato, a mio avviso, affermare che il mercato interno presenti delle positività, perché gli unici dati con il segno positivo sono dovuti all’export. Per quanto poi riguarda l’occupazione, si è assistito a una diminuzione, anche se molto marginale e quando il dato è in positivo, come succede per taluni casi, resta comunque stazionario”. “Venendo all’export, il mercato che tiene maggiormente è certamente quello europeo (anche Est Europa) che resta il mercato di riferimento; uscendo dai confini europei, sono particolarmente interessanti le prospettive offerte da India e Cina. Ci stiamo inoltre muovendo, se pur con cautela, per cercare nuovi mercati nell’Africa sub-Sahariana”. Alle lagnanze che si levano da alcuni settori produttivi circa la penalizzazione del nostro mercato a causa dell’Euro – che a differenza della Lira non può essere svalutato a piacimento – Emilia Arosio risponde che “non si può fare della dietrologia. Siamo nell’Euro e bisogna guardare in quella direzione. E’ perfettamente inutile pensare ancora alla Lira, perché significa farsi del male da soli. Meglio cercare di tenere duro, di pensare che siamo in Europa e che dobbiamo sfruttare al massimo le opportunità che ne derivano. Dobbiamo pensare a innovare e a restare sul mercato da italiani, con quelle doti di ingegnosità che ovunque ci vengono riconosciute e che spesso, nell’ambito delle macchine processo agroalimentare, non hanno uguali in tutto il mondo”.
Cosa può dare il Sistema Paese
Per restare sul tema dell’innovazione, c’è effettivamente quella lontananza, non continuità che da più parti viene messa sotto accusa tra percorsi scolastici/universitari e mondo produttivo? “Noi come Associazione – precisa Arosio – abbiamo realizzato dei programmi di collaborazione con il Politecnico e con diverse facoltà universitarie; certo è che il Paese Italia non aiuta in questo tipo di programma. Sarebbe auspicabile che si realizzasse un fil rouge, una collaborazione molto più fattiva con scuola e università; di questa scarsa collaborazione finiscono con l’essere vittima tanti giovani preparati che vanno all’estero per trovare lavoro. La scuola, come ho detto, non è vicina alle aziende che, dal canto loro, sarebbero ben predisposte ad accogliere i giovani”. In termini istituzionali cosa chiedono le aziende più vocate all’export per essere maggiormente supportate nella loro attività? “Innanzi tutto un Sistema Paese più serio di quello che abbiamo al momento”, sottolinea Arosio e prosegue: “Come Presidente di Associazione viaggio molto soprattutto in quei paesi in cui le nostre aziende trovano difficoltà ad entrare, perché si tratta di paesi lontani ed economicamente difficili da affrontare. Più di una volta mi sono scontrata con la presenza fattiva della Germania piuttosto che della Francia, che supportano veramente i loro imprenditori, li aiutano con contributi, si assumono il rischio di impresa agevolando le aziende. Da noi non c’è nulla che assomigli a questo e le nostre aziende tutto quello che fanno lo fanno perché sono brave, hanno un gran coraggio e una gran voglia di lavorare, sono ingegnose e hanno una marcia in più rispetto ad altre. Purtroppo, questa mancanza assoluta di un Sistema Paese continua a penalizzarci a livello internazionale. Delle banche non voglio parlare, perché significherebbe aprire una parentesi estremamente dolente. Per quanto riguarda poi il rinato ICE, va detto che fa quello che può, dopo che è stato boicottato come sappiamo. Mi chiedo, infatti, perché chiudere una struttura che in certi casi e in certi paesi funzionava benissimo: sapevamo tutti che era un carrozzone burocratico, ma questo non significava che tutto fosse da buttare via. In certi paesi l’ICE funzionava benissimo e, togliendocelo, ci hanno tolto anche quel poco che ci supportava come imprese. In realtà, più che eliminare, lo Stato avrebbe dovuto razionalizzare. Attualmente quelli che erano gli uffici ICE virtuosi, sono rimasti: uno su tutti l’ufficio di Pechino che funziona molto bene, ce ne sono altri che a loro volta funzionano, altri invece che non hanno ragione di essere. La chiusura indiscriminata degli uffici ICE ci ha penalizzato tantissimo nelle fiere: l’ICE forniva buoni supporti, riusciva a fare delle belle esposizioni collettive, invitava gli operatori veramente interessati”. “Un’ultima cosa desidero dire – conclude Emilia Arosio – smettiamola di piangerci addosso, non è vero che in Italia tutto va male. Come italiani abbiamo prodotti di eccellenza, e di questo dobbiamo parlare senza dietrologia e pessimismo. Come Associazione annoveriamo anche aziende piccole, per non dire micro aziende, che sono leader nel mondo pur facendo tutto da sole, lottando e riuscendo nelle loro lotte. Smettiamola però di dire che l’Italia è uno sfacelo perché io non ci sto più”.