I numeri del Made in Italy

2770

Il punto di Ucima

Anche se il PIL non cresce, continua a registrare risultati positivi il settore dei costruttori di macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio. Secondo i dati raccolti dal Centro Studi Ucima (Unione Costruttori Italiani Macchine Automatiche per il Confezionamento e l’Imballaggio), su un campione rappresentativo di aziende, nei primi nove mesi dell’anno il fatturato totale di settore ha registrato una variazione tendenziale positiva del 5,3%, risultante da una crescita del 3,5% sul mercato domestico e di un incremento del 4,5% su quelli internazionali. Ugualmente positivo l’andamento della raccolta ordini che ha fatto registrare un incremento del 5,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’incremento degli ordini si è accentuato nel terzo trimestre (+11%). Queste percentuali portano a prevedere una chiusura d’anno in ulteriore crescita sul 2012, anno in cui il fatturato ha toccato il valore record di 5,5 miliardi di euro. “Se guardiamo il fatturato del mercato nazionale nel 2013 rispetto al 2012 – commenta Riccardo Cavanna, vice presidente di Ucima – vediamo che nei primi nove mesi dell’anno c’è stata una crescita del fatturato del +3,5% e, a livello di ordini, del +2,9%. Questi dati vanno però letti senza però perdere di vista la situazione generale del mercato domestico. I grandi clienti investono oramai poco in capacità produttiva. I loro investimenti sono infatti volti a recuperare efficienza e fare upgrade tecnologici. Di altra natura gli investimenti delle piccole e medie aziende, che sfruttano la scia del private label, in forte crescita. Anche in questo caso i loro investimenti non sono espressamente finalizzati ad incrementare le quantità prodotte, quanto ad assecondare i cambiamenti nei mix dell’offerta della grande distribuzione”.

I grandi numeri dell’export

È però l’export ad assorbire la parte maggiore dei macchinari italiani per il confezionamento e l’imballaggio alimentare. Oltre l’80% delle macchine prodotte nel nostro Paese varca infatti la frontiera diretto in tutto il mondo. “Se guardiamo i mercati esteri – spiega il vice-presidente Cavanna – se per l’Europa vale quello che ho detto per il mercato italiano, mercati maturi come Europa e Stati Uniti, meritano un discorso a parte”. “All’interno dell’area UE – prosegue Cavanna – troviamo una leggera variazione negativa (-2,8%) e una riduzione delle importazioni in Italia pari al 9% (il dato relativo all’import resta comunque decisamente basso). A mio avviso comunque la scarsa espansione del mercato è determinata dalla stagnazione dei consumi. Anche in quest’area, assistiamo però a un cambio di mix che è da ascrivere sicuramente all’efficienza e alla maggior presenza del private label che richiede linee con caratteristiche differenti, prima fra tutte la flessibilità. Questo comporta una complessità di progettazione che deve contemplare un giusto compromesso tra efficienza, intesa come velocità e pochi scarti, flessibilità, per i tanti cambi formato e, infine, una serie di situazioni accessorie che devono essere studiate per avere un basso impatto (cambio formato, manutenzione, pulizia)”. Analizzando l’importante mercato nordamericano Cavanna commenta: “per quanto riguarda il mercato americano, sicuramente, c’è stata una flessione pari a circa il 9% del fatturato che andrebbe studiata per capire se è da ascrivere al cambio euro/dollaro, e cioè al fatto che il mercato Usa acquista meno perché i nostri prodotti sono diventati più cari o ad altri fattori. Sicuramente le fluttuazioni valutarie possono influire. E’ tuttavia altrettanto vero che se un imprenditore americano desidera acquistare in Europa tecnologie più avanzate di quelle offerte dai produttori locali, il cambio euro/dollaro non può essere il discrimine. Sicuramente il mercato americano ha vissuto negli ultimi due anni degli alti e bassi dovuti alle problematiche politiche interne. Quello che interessa gli americani è la crescita dei consumi, la possibilità di essere più competitivi con prodotti sempre nuovi e a minor costo, incrementandone l’efficienza e, sotto questo profilo, di progetti ce ne sono tanti ma con minore costanza decisionale. Questo a prescindere dal trend delle grandi multinazionali che stanno spostando la produzione in Messico, per esempio”.  “Tornando all’Euro – precisa Cavanna – è certo che se il rapporto fosse uno a uno invaderemmo gli Usa, anche se è vero che gli americani non comprano se non a fronte di una politica e una strategia molto determinata. Per avere successo nel mercato a stelle e strisce è pertanto necessaria l’apertura di una filiale, un engeenering; in poche parole bisogna essere strutturati e avere un’azienda americana di supporto”. Sempre nel continente americano, tra i mercati interessanti per i costruttori italiani di macchine per il confezionamento e l’imballaggio c’è il Sud America, e il Brasile in particolare. Interessanti anche le prospettive offerte dall’Africa, nonostante le turbolenze politiche. “Ormai quanto parliamo di Africa – aggiunge Cavanna – non ci riferiamo solo al Magreb, ma anche all’Africa Centrale”. “Il Middle Est rimane importante al di là delle difficili situazioni socio-politiche di Iran, Siria ed Egitto. L’Egitto, per esempio – prosegue Cavanna – lo scorso anno ha realizzato un +67% e gli investimenti stanno proseguendo anche nell’anno in corso”. Interessante anche l’andamento della Cina che, in alcuni settori, investe quasi esclusivamente in tecnologia di importazione, mentre in altri usa tecnologia locale.  Importanti per i costruttori italiani anche i Paesi del Far East come Indonesia, Tailandia, Sud Corea e Vietnam che, come conferma Cavanna, sono Paesi che investono in tecnologie di eccellenza. “Per supportare le nostre aziende nella penetrazione di questi importanti mercati – puntualizza Cavanna, concludendo il quadro internazionale – organizzeremo la partecipazione in collettiva ad alcune delle maggiori fiere internazionali del nostro settore.  Crediamo infatti che sia importantissimo mostrarci uniti nelle attività di promozione nei mercati più lontani”.

Costo del lavoro

Venendo a quello che lo Stato può fare per le aziende, Cavanna dichiara: “Più che incentivi alla crescita economica chiederei l’abbassamento del cuneo fiscale. Io dispongo di collaboratori di altissimo livello; il 28% è rappresentato da ingegneri, e il costo del lavoro si sente. Certamente una diminuzione dei costi aziendali mi porterebbe ad assumere molto di più di quanto non stia facendo adesso. Gli incentivi li darei invece ai miei clienti per rendere loro più conveniente esportare i propri prodotti. Per farvi capire cosa intendo vi offro un esempio. Recentemente mi è stato mostrato un pacchetto di wafer prodotto da una marca dell’Arabia Saudita e fabbricato in Italia perché il fabbricante italiano è risultato essere molto efficiente. Logicamente, però, il committente arabo sta pensando di investire in un impianto perché importare dall’Italia ha un costo.  Ritengo quindi che l’Italia potrebbe diventare sempre più esportatrice di food perché abbiamo fabbriche di eccellenza che, di conseguenza, dovrebbero avere delle facilitazioni nell’esportazione e dei vantaggi fiscali; cioè una serie di elementi che inducano i nostri clienti finali italiani a incrementare il proprio export. Gli incentivi li darei in misura maggiore a loro, mentre a noi costruttori di macchine offrirei una diminuzione del costo del lavoro. Infatti, per le nostre aziende è molto difficile delocalizzare l’engineering, perché non si trovano professionisti altrettanto preparati nemmeno negli Usa. Il problema vero è che se continuiamo ad avere dinamiche del costo del personale che crescono in maniera esponenziale, si arriva alla fine dell’anno con un bilancio un po’ tirato perché Irap e Irpef ci prosciugano in funzione del numero dei dipendenti, ed è evidente che la voglia di fare assunzioni viene meno. Noi imprenditori della filiera del packaging, avremmo bisogno di assumere in modo importante, giovani e senior, però siamo frenati dai costi”.