Metodi per l’identificazione di specie nei prodotti di origine animale

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È passato un anno e mezzo dai primi esordi dello scandalo “horsegate”, in cui in numerosi prodotti a base di carne sono stati riscontrati quantitativi anche rilevanti di carne di cavallo non dichiarata in etichetta. Lo scandalo ha fatto comprendere, non solo ai consumatori ma anche alle aziende utilizzatrici di carne come materia prima nelle loro preparazioni, quanto sia facile eludere i sistemi di controllo per quanto riguarda l’autenticità di specie. I primi riscontri sono partiti ad inizio 2013 da alcune inizialmente non allarmanti segnalazioni provenienti dall’Irlanda, nelle quali si riscontrava la presenza di carne equina in preparazioni per le quali in etichetta era dichiarata solo carne bovina. I test si sono poi allargati a macchia d’olio anche negli altri Paesi europei, e si è compreso come, sotto la punta dell’iceberg, vi fosse un sistema reiterato e ben collaudato di frodi alimentari contro cui i sistemi ufficiali di tracciabilità non parevano avere alcun potere. La carne equina non è di per sé dannosa alla salute o portatrice di allergeni, quindi il problema maggiore non è rappresentato dall’eventuale danno alla salute dei consumatori. Vanno fatte però alcune considerazioni quali l’eventuale presenza di residui di farmaci, per es. l’analgesico fenilbutazone, tipicamente riscontrato negli equini utilizzati in ambito sportivo e vietato negli animali da carne. Il problema sta nel fatto che materie prime evidentemente scandenti e difficili o impossibili da “smaltire” sul mercato alimentare, come gli equini a fine carriera sportiva, possano così facilmente entrare in modo fraudolento nel sistema alimentare europeo. In vari campioni è stata poi riscontrata presenza non dichiarata anche di suino, e questo pone un’altra serie di problematiche, etiche e religiose, per gli individui di religione ebraica e musulmana. Riassumendo in breve la scaletta temporale del “ciclone horsegate”, si è partiti nel gennaio 2013 con alcuni beefburger contenenti DNA equino e suino (mentre in etichetta era dichiarato solo bovino) riscontrati in supermercati irlandesi e inglesi, con evidente e vasto danno di immagine provocato alle catene di supermercati coinvolte (visto che vari prodotti erano a marchio GDO). Lo scandalo si è poi rapidamente allargato ad altri 13 Paesi europei, rendendo chiara la necessità di un intervento comunitario sul problema. Ulteriori contaminazioni di carne equina si sono riscontrate anche nei mesi seguenti del 2013, fino a dicembre.

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Le adulterazioni con carne equina e suina non dichiarate in etichetta sono state, nel corso del 2013, riscontrate non solo in burger ma in una vasta gamma di prodotti, soprattutto trasformati, tra cui: salse “bolognese style”, lasagne preconfezionate e altri piatti pronti surgelati contenenti carne, polpettoni e polpette (tra cui quelle della catena di ristorazione interna ai negozi Ikea), pasta ripiena tra cui tortelloni e tortellini, chili con carne, carne in scatola, etc. Alcuni di questi prodotti appartenevano a prestigiose aziende, con conseguente notevole danno di immagine. I luoghi di origine della carne erano spesso paesi dell’Est europeo, dai quali la carne originariamente di cavallo, attraverso numerosi e contorti passaggi commerciali, veniva rietichettata come bovina. Alcune decine di campioni positivi sono stati riscontrati anche in Italia, quasi sempre in prodotti “a basso costo”, contenenti carne tritata e/o mescolata a numerosi altri ingredienti quindi di fatto non identificabile per il consumatore. L’incessante spinta alla produzione di alimenti a basso costo, dovuta ad un minor potere di acquisto dei consumatori, è stata probabilmente la spinta principale da cui è nata la frode “horsegate”, inducendo alcuni produttori a mettere sul mercato prodotti che sono dichiarati in etichetta come derivanti da una certa specie animale, quando in realtà ne contengono altre di minor pregio e quindi di minor costo. Varie misure sono state prese a livello comunitario per evitare il ripetersi di tali episodi. L’associazione che riunisce i produttori di carne britannici (BMPA – British Meat Processors Association) ha ben accolto la recente notizia dell’assegnazione di 12 milioni di euro al progetto di ricerca FoodIntegrity, che si occuperà di combattere le frodi riguardanti le carni vendute al pubblico.