Determinazione della presenza di ocratossina in carne di cinghiale e controllo dei livelli di Campylobacter spp. in carcasse di pollo

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19277Determinazione del livello di OTA in tessuti ed organi di cinghiali macellati
L’ocratossina A (OTA) è il prodotto del metabolismo secondario di alcune specie di funghi microscopici (Aspergillus spp. e Penicillium spp.) che trovano il substrato ideale per la loro moltiplicazione, a condizioni di temperatura ed umidità favorevoli, su cereali, semi oleaginosi, frutta secca ed essiccata, legumi, spezie, caffè o cacao. L’OTA è una molecola caratterizzata da elevata stabilità e negli alimenti non subisce alcun tipo di degradazione, anche se conservati per lunghi periodi; i sistemi chimici, fisici e biologici messi a punto per la detossificazione delle derrate alimentari non hanno trovano, finora, una reale applicazione pratica. L’OTA può, pertanto, contaminare direttamente alimenti di origine vegetale, soprattutto i mangimi, e risultare un contaminante per gli alimenti di origine animale e per i prodotti derivati. I numerosi dati bibliografici, oggi disponibili, che descrivono la presenza di questa tossina in diverse specie di animali (da reddito e non) non considerano specie come il cinghiale che viene allevato in diverse regioni italiane. In uno studio recente, effettuato da un gruppo di ricercatori italiani (Bozzo et al., 2013), è stata effettuata un’indagine, frutto di una collaborazione tra l’Università degli Studi di Bari e l’ASP di Reggio Calabria, con lo scopo di valutare il livello di contaminazione di OTA in tessuti e organi di cinghiali regolarmente macellati, evidenziando eventuali lesioni istologiche al fine di correlare la presenza della micotossina con le alterazioni rilevate. In sintesi, è stato osservato che i rilievi anatomo-istopatologici effettuati a carico del rene, del fegato e della vescica urinaria mettono in evidenza quanto il cinghiale sia sensibile all’azione dell’OTA. Di conseguenza, gli autori sostengono che sia prioritario approntare sistemi diagnostici da impiegare direttamente nei mattatoi, unitamente ad una rivisitazione sostanziale dei procedimenti ispettivi post-mortem al fine di rendere lo stabilimento di macellazione un osservatorio epidemiologico utile alla corretta gestione della Sanità Pubblica.

V3024030GObiettivi di performance dei protocolli di controllo di Campylobacter spp. in carcasse di pollo
La riduzione dei casi di campylobacteriosi umana è diventata una priorità dell’Unione Europea poiché tale zoonosi è aumentata costantemente nell’ultimo decennio. Tale riduzione si può ottenere commercializzando una proporzione inferiore di carcasse di polli da carne contaminate, oppure riducendo la contaminazione media del patogeno per carcassa. I livelli di prevalenza e concentrazione considerati appropriati per la salute umana possono essere espressi come obiettivi di performance (POs). Tali obiettivi rappresentano valori quantitativi chiari che le industrie avicole devono cercare di raggiungere. In uno studio recente, effettuato da un gruppo di ricercatori italiani (De Cesare et al., 2013), viene proposto un approccio per la definizione dei POs in funzione del dato di prevalenza e di concentrazione di Campylobacter spp. ottenuto, durante un monitoraggio effettuato nel 2008, su carcasse di pollo prodotte in Italia. Nel lavoro viene, inoltre, formulato un piano di campionamento per la verifica di tali POs da implementare nelle aziende avicole nel momento in cui i regolamenti comunitari introdurranno limiti relativi alla prevalenza e/o alla concentrazione di Campylobacter spp. nei polli da carne. I risultati ottenuti mostrano che il criterio di performance può essere basato sia sull’analisi qualitativa, sia sul conteggio. In particolare, in questo ultimo caso il numero di unità campionarie varia in funzione del limite di determinazione della metodica utilizzata. La possibilità di applicare metodiche molecolari più sensibili rispetto alle metodiche colturali porterebbe, quindi, ad una probabile riduzione delle unità campionarie e dei relativi costi. Infine, è stato osservato che i dati di prevalenza e di concentrazione ottenuti sulle carcasse variano in funzione del tempo intercorso tra la raccolta del campione e la sua analisi. Concludendo, gli autori evidenziano che tale tempo andrebbe specificato nel piano di campionamento per la determinazione di risultati il più possibile omogenei.

Riferimenti bibliografici
G. Bozzo et al., Italian Journal of Food Safety, 2, 2013, 140-142
A. De Cesare et al., Italian Journal of Food Safety, 2, 2013, 21-22