Nuove strategie per l’identificazione di prodotti irradiati e per l’estensione della shelf-life di prodotti tradizionali

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Identificazione di prodotti irradiati mediante analisi GC-MS. Le radiazioni ionizzanti sono impiegate nel settore alimentare per assicurare l’assenza di agenti patogeni, di parassiti ed in generale per prolungare la shelf-life degli alimenti.

In Europa il trattamento è consentito, a determinate dosi, solamente per alcuni prodotti e deve essere riportato obbligatoriamente e chiaramente in etichetta. Tuttavia, visti i crescenti scambi alimentari con i paesi non-EU, è necessario possedere metodi in grado di identificare l’eventuale trattamento radiante.

Tra le numerose metodologie normate a disposizione, l’EN 1785:2003 prevede la determinazione del 2-dodecilciclobutanone (2-DCB) formatosi in seguito alla scissione radiolitica dell’acido palmitico. Tuttavia, il metodo chimico normato presenta numerose difficoltà, relative soprattutto alla preparazione e purificazione del campione. Pertanto, scopo di un lavoro recente, effettuato da un gruppo di ricercatori italiani (Marchesani et al., 2017), è stato quello di proporre un metodo alternativo, qualitativo di conferma, semplice e rapido, che associa la micro-estrazione in fase solida in spazio di testa (HS-SPME) accoppiata all’analisi gascromatografica con rivelazione in spettrometria di massa (GC-MS).

Tale metodo è stato sottoposto ad un processo di validazione, analizzando diverse matrici di origine animale (carne, pesce e uova) bianche ed irradiate, presso un laboratorio dotato di irraggiatore biologico a raggi X, a dosi pari o superiori a 0.5 kGy, in funzione della dose commerciale di irraggiamento. Secondo gli autori, i parametri analitici da valutare per un metodo di analisi di tipo qualitativo sono: selettività, sensibilità diagnostica e specificità diagnostica.

A questo scopo, sono stati analizzati 40 campioni bianchi ed i corrispondenti irradiati: 23 campioni di pollame (0.5 kGy), 4 campioni di maiale (3 kGy), 5 campioni di bovino (0.5 kGy), 2 campioni di cosce di rana (3 kGy), 4 campioni di pesce (1 kGy) e 2 campioni di uova (1 kGy). I risultati dimostrano che tutti i campioni, irradiati e non, sono stati correttamente identificati, senza riscontrare la presenza di falsi positivi e falsi negativi, ed ottenendo i valori di sensibilità e specificità diagnostica pari al 100%. Concludendo, gli autori sostengono che il metodo in esame è valido per lo scopo proposto, è applicabile alle matrici di origine animale esaminate e risulta idoneo per le analisi di controllo ufficiale, in alternativa ad altre tecniche di conferma disponibili.

Estensione della shelf-life della salsiccia sarda tramite confezionamento sottovuoto. La salsiccia sarda è un insaccato crudo a carne suina trita, fermentato ed asciugato, compreso nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali della regione Sardegna.

Su richiesta di alcuni salumifici, in uno studio recente, effettuato da un gruppo di ricercatori italiani (Scarano et al., 2017), è stata valutata la possibilità di estendere la shelf-life del prodotto confezionato sottovuoto fino a 4 mesi. Perciò, in 2 salumifici industriali (A e B) sono stati prelevati 90 campioni di salsiccia sarda, rappresentativi di 3 differenti lotti di produzione. Sul prodotto confezionato e successivamente ogni 30 giorni per 4 mesi, si è proceduto alla determinazione di: carica aerobia totale, Listeria monocytogenes, Salmonella spp., Enterobacteriaceae e Stafilococchi coagulasi positivi.

Contestualmente, sono state condotte analisi sensoriali attraverso un’analisi descrittiva quali-quantitativa, replicata 3 volte. Su tutti i campioni è stato, inoltre, monitorato l’andamento del pH e dell’aw (attività dell’acqua). In entrambi i salumifici, all’inizio della stagionatura (durata 26 giorni) è stato registrato un valore di pH pari a 5.54±0.25, mentre a fine stagionatura questo parametro presentava valori pari a 5.55±0.24 (A) e 5.43±0.07 (B). L’aw ha mostrato, durante la stagionatura, valori medi pari a 0.922±0.03 (A e B) per attestarsi a fine stagionatura su valori pari a 0.896±0.013 (A) e 0.883±0.06 (B).

La ricerca di L. monocytogenes ha dato esito positivo solo nei campioni del salumificio A (incidenza pari al 73.3%), con valori medi pari a 1.34±0.58 log10 ufc/g. Le Enterobacteriaceae sono state rilevate nel 91.1% dei campioni del salumificio A, con valori medi di 2.85±1.13 log10 ufc/g, e nel 35.5% dei campioni del salumificio B, con valori medi di 2.01±1.07 log10 ufc/g. Tutti gli altri parametri hanno presentato valori inferiori alla sensibilità del metodo relativo. L’analisi sensoriale non ha mostrato variazioni significative durante la conservazione. Nel complesso, il prodotto analizzato ha mostrato caratteristiche microbiologiche e sensoriali accettabili anche al 4° mese di conservazione.

Riferimenti bibliografici: Marchesani et al., Italian Journal of Food Safety, 6, 2017, 12-13; Scarano et al., Italian Journal of Food Safety, 6, 2017, 12