Tassa sulla carne? No, grazie

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La notizia della proposta di una tassa sulla carne per limitarne il consumo non è completamente nuova, è invece nuovo il contesto, rappresentato dalla Commissione Agricoltura dell’Unione Europea, in cui la recente proposta viene, dal Consiglio Svedese per l’Agricoltura, formulata. Da tempo l’industria delle carni è sotto i riflettori di ecologisti e animalisti che ne denunciano un impatto ambientale senza pari in altri alimenti. In merito, è di qualche anno fa lo studio dell’UNEP (United Nations Environment Programme) dal quale emergerebbe che la filiera delle carni e derivati è il primo fattore responsabile del riscaldamento globale. L’eventuale imposizione fiscale dovrebbe, secondo la proposta svedese, incrementare le future sovvenzioni che l’UE dovrà, invece, stanziare per sostenere attività agricole più sostenibili, incentivando la produzione cerealicola e di vegetali in genere, con maggiori benefici per l’ambiente e la salute. In linea di principio, l’idea scandinava potrebbe anche essere condivisa, solo, però, se inserita in un programma che valuti globalmente le diverse filiere produttive, comprese, ad esempio, l’attività ittica e l’utilizzo di Ogm, in rapporto all’ecosistema, valutandone tutti gli impatti. Sull’uomo, prima di tutto, ma anche su flora e fauna, sul paesaggio, sul patrimonio culturale e sulle tradizioni dei popoli. Inutile mettere in mora un intero settore, tra i più importanti del comparto alimentare, semplicemente perché ritenuto non adeguatamente sostenibile, quando in altri si registrano situazioni altrettanto gravi per mancanza di rispetto nei confronti dell’ambiente. L’attività della pesca, ad esempio, “sovrasfrutta” oltre il 70% degli stock ittici e sottrae una quantità superiore al consumo mondiale di pesce. Per di più, il rischio di portare in tavola salmone Ogm è sempre più elevato, con il beneplacito non solo dell’Alaska, ma soprattutto dell’Europea Scozia. Il settore carni, dal canto suo, è già sufficientemente in crisi così, senza necessità di balzelli euro-svedesi. I suoi consumi, infatti, dopo il boom di crescita registrato nella seconda metà del secolo scorso, hanno avuto un decremento negli anni ’90 per il problema BSE per poi riprendersi all’inizio degli anni 2000, mentre oggi sono in lieve e costante calo. Non è pensabile, e nemmeno corretto, inoltre, per la nostra cultura e le nostre tradizioni, immaginare di “tassare” cibi di qualità inimitabile, e per questo protetti, come il culatello o il prosciutto S. Daniele, la coppa Piacentina o il salame Milano, o la finocchiona Toscana. E neppure la fiorentina o il bollito di bue grasso Piemontese.  Ciò non vuol dire che per una sana alimentazione un consumo corretto di prodotti a base carne sia necessario, così come è  necessaria una maggiore attenzione all’ambiente e a una produzione più sostenibile dell’intera filiera. Per questo, però, è sufficiente un’adeguata informazione ai consumatori, da un lato, e una ottimazione del comparto, dall’altro. L’impiego di cereali a minor bisogno d’acqua per l’alimentazione degli animali, l’impiego di fonti di energie rinnovabili, anche mediante l’utilizzo di sottoprodotti e scarti, è un obiettivo che deve diventare prioritario per la filiera. Ma l’aggiunta di una nuova tassa, per di più sugli alimenti già pesantemente colpiti dalla significativa riduzione del potere di acquisto degli italiani, e non solo, proprio non la meritiamo, ne noi, ne i nostri prodotti.