Materiali biodegradabili a base di proteine isolate dalla soia

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Recentemente si è avuto un crescente interesse per l’utilizzo dei biopolimeri naturali al posto dei polimeri derivati dal petrolio, per produrre nuovi materiali biodegradabili. I biopolimeri naturali presentano vantaggi dovuti al loro basso costo, alla facile disponibilità di materie prime costantemente rinnovabili, e alla loro biodegradabilità. Il loro utilizzo può aiutare a ridurre non solo l’inquinamento, ma anche l’eccessiva dipendenza dal petrolio. Tra i biopolimeri, le proteine dei legumi sono un’importante classe di proteine vegetali, di cui le proteine della soia (SP) sono le rappresentanti più importanti. Attualmente, le SP sono disponibili in commercio in tre forme diverse, tutte prodotte in impianti di trasformazione della soia: la farina di soia (contenente il 54% di proteine), il concentrato di proteine della soia (con il 65-72% di proteine) e le proteine isolate dalla soia (SPI, con un contenuto di proteine superiore al 90 %). Pertanto, il contenuto proteico delle SPI è il più alto, e questo è un aspetto importante per la possibilità di formare delle pellicole. Inoltre, le SPI hanno buone biocompatibilità e processabilità; pertanto vengono considerate valide per applicazioni nell’industria alimentare. Le pellicole con SPI sono più chiare, più lisce e più flessibili rispetto ad altre pellicole a base di proteine vegetali, e hanno anche notevoli proprietà di barriera ai gas rispetto alle pellicole preparate con lipidi e polisaccaridi. Quando le pellicole con SPI non sono umide, la loro permeabilità all’ossigeno è centinaia di volte inferiore a quella delle pellicole con polietilene a bassa densità, metilcellulosa, amido e pectina. Purtroppo però le pellicole di SPI non hanno proprietà meccaniche soddisfacenti e non hanno nemmeno buone proprietà barriera al vapore acqueo a causa della loro intrinseca idrofilia, e queste proprietà diventano ancora peggiori in condizioni di elevata umidità. Sono stati già sviluppati un gran numero di metodi per modificare le SPI e migliorarne le proprietà. Presso l’Università del Sichuan (Cina) è stata scritta una pubblicazione (Fei Song et al, 2011) che raccoglie tutte le strategie finora elaborate per modificare le SPI.

00148013Le modifiche riguardano sia la superficie delle SPI sia il loro interno; quelle tecnologicamente più avanzate sono le modifiche dell’interno, che possono essere fatte nei seguenti modi:
• frazionamento in base al peso molecolare usando tecniche di ultrafiltrazione, utile perché le SPI sono miscele complesse di proteine con pesi molecolari e proprietà molto diverse, tanto è vero che ogni frazione ha una diversa capacità di formare pellicole;
• modifiche del valore di pH durante la formazione delle pellicole. Infatti, le proteine mantengono la loro conformazione nativa a pH 8, mentre sono parzialmente o totalmente denaturate a valori di pH molto più alti (pH 11) e molto più bassi (pH 2). Le pellicole SPI preparate nell’intervallo di pH da 6 a 11 hanno una resistenza alla trazione significativamente più alta, un maggiore allungamento percentuale a rottura e una minore permeabilità al vapore acqueo (WVP) rispetto alle pellicole preparate a pH compreso tra 1 e 3;
• riscaldamento e trattamento a pressione ridotta. Questi trattamenti influenzano notevolmente le proprietà delle pellicole, siano essi effettuati sulle pellicole di proteine oppure sulle soluzioni di partenza. La WVP delle pellicole preparate da soluzioni di SPI riscaldate è inferiore a quella delle pellicole formate da soluzioni non riscaldate. Esistono delle condizioni ottimali di asciugatura per ottenere pellicole di SPI con buone proprietà meccaniche e bassa solubilità, che si differenziano a seconda della natura delle SPI;
• reticolazione chimica con calcio, che viene utilizzata per migliorare la barriera all’umidità delle pellicole;
• irraggiamento γ, che influenza le proteine causando cambiamenti come ad esempio l’ossidazione degli amminoacidi in esse contenuti, la rottura dei legami, la formazione di radicali ed infine reazioni di ricombinazione e di polimerizzazione;
• trattamento con enzimi, che catalizzano le reazioni di reticolazione delle proteine per formare biopolimeri ad alto peso molecolare;
• miscelazione, che è probabilmente la metodologia più utile per migliorare le proprietà di questi materiali. Fino ad ora, le SPI sono state miscelate con diversi plastificanti, polimeri biodegradabili e compatibilizzanti, al fine di migliorarne la processabilità, oltre che per migliorarne le proprietà. Infatti, in assenza di componenti secondari, questi materiali non mostrano proprietà soddisfacenti per applicazioni industriali. I migliori plastificanti per SPI sono composti contenenti gruppi idrossilici, come acqua e alcoli, primo fra tutti il glicerolo. Per quanto riguarda l’uso dei polimeri biodegradabili, la resistenza all’acqua, le proprietà meccaniche e la resistenza al vapore acqueo aumentano con l’aggiunta di glicole propilenico alginato (PGA). Altri polimeri biodegradabili utilizzabili sono la cellulosa, la chitina, il chitosano, il poliuretano; a questo proposito è interessante notare che rivestendo la carta con le SPI si ha un miglioramento della resistenza ai grassi e delle proprietà meccaniche. Come compatibilizzanti, i tensioattivi ionici come ad esempio il sodio dodecil solfato (SDS), sono agenti denaturanti molto potenti, in grado cioè di dissociare efficacemente le proteine. L’incorporazione dell’SDS in soluzioni filmogene a base di proteine influenza la struttura e le proprietà delle pellicole. Inoltre, l’aggiunta di diversi tipi di acidi grassi (acido laurico, acido palmitico, acido stearico e acido oleico) nelle soluzioni filmogene è un altro modo efficace per ottenere pellicole di SPI più spesse e meno suscettibili al restringimento dopo l’asciugatura rispetto alle pellicole di SPI tradizionali. In conclusione, si può prevedere una sempre maggiore attenzione per i biomateriali biodegradabili. Le strategie di modificazione descritte per le SPI consentono di migliorare le proprietà meccaniche e la resistenza all’acqua; tuttavia, per alcuni dei trattamenti proposti rimangono ancora alcuni inconvenienti, come ad esempio l’elevata sensibilità all’umidità in seguito alla miscelazione delle SPI con plastificanti idrofili o con polimeri naturali, la bassa adesione tra SPI e plastificanti o polimeri idrofobi, l’agglomerazione delle nanoparticelle nelle SPI, la tossicità dei reticolanti chimici contenenti gruppi aldeidici, il prezzo elevato del trattamento con radiazioni, ed infine la degradazione delle SPI indotta da irraggiamento con UV. Pertanto, occorre sviluppare ulteriori nuovi approcci per ottenere buone prestazioni per i materiali a base di SPI.

Bibliografia
Fei Song et al, Biomacromolecules 2011, 12, 3369