Una rondine non fa primavera

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Il 2017, secondo i dati ufficiali ISTAT, non potrebbe iniziare in modo migliore: la pressione fiscale è in calo e il potere d’acquisto delle famiglie sta crescendo. L’analisi, se pur superficiale di questi due parametri, nasconde qualcosa se il 2016 ha chiuso in deflazione (non succedeva dal 1959) e solo nell’ultimo mese dell’anno, anche in relazione all’aumento del prezzo del petrolio, l’inflazione ha fatto capolino con un incremento medio dello 0,5% e un +0,6% per il settore alimentare. Secondo l’ufficio studi di Confcommercio la stima di crescita inflazionistica potrebbe arrivare presto all’1%. Ciò che potrebbe rappresentare un freno al potere d’acquisto con la conferma della stagnazione dei consumi e, per chi può permetterselo, la propensione al risparmio. Peraltro, sempre secondo i dati ufficiali, il potere d’acquisto delle famiglie nel terzo trimestre dello scorso anno è aumentato, rispetto al secondo trimestre dello stesso anno, dello 0,1%. Un niente più che un poco, ma tant’è che almeno, per una volta, possiamo vedere un segno positivo. Mentre l’analisi del calo della pressione fiscale, scesa al 40,8%, 0,2 punti percentuali in meno tra il terzo trimestre 2016 e lo stesso periodo 2015, evidenzia una nota positiva più per i dati ISTAT, che per la percezione dei contribuenti. Il fisco italiano è da tempo noto per essere tra i più elevati delle nazioni industrializzate, soprattutto in relazione alla qualità dei servizi che il Paese eroga, non sempre all’altezza dei bisogni. La percezione che si respira, non solo in Italia, ma anche in molti altri Stati Europei e negli USA in particolare, è quella di un sistema fiscale che consente alle grandi aziende multinazionali di scegliersi il Paese nel quale pagare le tasse, senza rinunciare ai servizi offerti dai Paesi nei quali operano (il caso Apple che ha scelto l’Irlanda ne rappresenta l’esempio più emblematico, mentre ciò non è possibile per le persone fisiche, o per le aziende medio-piccole, che pur rappresentano, nel nostro Paese, la spina dorsale dell’economia. Insomma, la percezione dominante è quella di un fisco che manca di equità e di trasparenza, e che consente alle grandi potenze economiche di avvantaggiarsene nel rispetto delle leggi. Ciò chiama in causa il mondo politico che, come spesso accade, predica bene (in campagna elettorale) e razzola male (al governo). E si badi bene, non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti e nella morigerata Germania. Nel nostro Paese, e questa è un’altra notizia di inizio anno, qualcosa potrebbe cambiare, divenendo operativo il programma volontario di adempimento collaborativo (Cooperative Compliance) introdotto con il D. Lgs. 128/2015, che prevede, almeno in fase di prima applicazione, una sinergia tra grandi aziende (volume d’affari superiore ai 10 miliardi di €) e autorità tributaria. L’obiettivo è dare certezza, e si spera trasparenza, alle operazioni fiscali complesse, limitando il rischio fiscale per le aziende aderenti e, di conseguenza, incentivando gli investimenti nel Paese. E’, però, necessario che il programma volontario di adempimento collaborativo non si limiti ad offrire vantaggi, ancora una volta, a pochi grandi gruppi economici, ma avvii un percorso virtuoso, in grado di aprire rapidamente anche alla vasta area delle piccole-medie aziende la possibilità di beneficiarne. Nel frattempo, il primo storico accordo è stato siglato tra il sistema fiscale e la Ferrero, grande gruppo multinazionale italiano del settore dolciario, e questo è un titolo di merito per l’Azienda e un prestigio per l’intero comparto alimentare. Nell’ambito dell’equità e della trasparenza fiscale questo primo accordo può segnare l’inizio di una nuova stagione, a patto che questo non resti un caso isolato, altrimenti, si sa, una rondine non fa primavera.