Le quantità di frutta esotica consumata nel mondo è in crescita, grazie ai miglioramenti nei sistemi di trasporto e nelle tecniche di trasformazione e conservazione dei frutti stessi e prodotti derivati quali pezzi sciroppati e puree destinate alla produzione di succhi di frutta tropicali. Vanno incluse tra le piante tropicali per uso alimentare non solo ananas, banana, papaya, frutto della passione, mango, avocado, taro, ecc., ma anche frutta secca come le noci di macadamia, senza dimenticare ovviamente cacao e caffè. Molti di tali prodotti sono non solo gradevoli dal punto di vista organolettico, ma anche ricchi di componenti bioattivi, come composti fenolici (tra cui flavonoidi e tannini), carotenoidi, vitamine e fibre. L’industria di trasformazione si trova di fronte al problema dello smaltimento di quantità considerevoli di scarti derivanti dalla lavorazione di tali piante, in particolare bucce, semi e polpa inutilizzata (come nel caso di cacao, caffè e frutta secca dei quali si usano i semi anziché il frutto).
La massa da scartare è in genere uguale o superiore a quella utilizzabile, spesso tali scarti presentano però un contenuto nutrizionale addirittura più elevato rispetto alle parti eduli. Va inoltre sottolineato che un migliore sfruttamento di tali scarti consentirebbe un maggiore profitto per i paesi produttori (che sono spesso in via di sviluppo) e una riduzione della massa dei rifiuti agroindustriali, entrambi temi verso cui i consumatori si stanno recentemente sensibilizzando. Lo sfruttamento degli scarti di lavorazione vegetali non è una novità: le bucce di agrumi sono utilizzate da secoli per estrarre oli essenziali, mentre dai vinaccioli dell’uva dopo pigiatura si ottiene un olio ricco di acidi grassi insaturi. Altre sostanze utili per l’industria alimentare presenti negli scarti sono coloranti, aromi e texturizzanti (in particolare fibre, di cui ovviamente gli scarti sono molto ricchi). Inoltre, il fatto che tali additivi siano naturali è oggigiorno sempre più ricercato vista la crescente attenzione dei consumatori all’assenza di “additivi chimici” in etichetta e la conseguente spinta delle aziende alimentari a creare prodotti sempre più “clean label”. Tra le sostanze estraibili dagli scarti di lavorazione dei frutti tropicali vi sono molti esempi.
Antiossidanti: queste preziose sostanze sono in grado di evitare o rallentare una serie di processi di decadimento che avvengono durante la conservazione degli alimenti, quali imbrunimento e formazione di off-odours. Inoltre molte sostanze antiossidanti naturali, quali i tocoferoli, i carotenoidi, l’acido ascorbico e i composti fenolici, possiedono effetti benefici per l’organismo umano (contrastando i radicali liberi e l’ossidazione delle strutture cellulari) o sono addirittura vitamine o provitamine. Per questo motivo, gli antiossidanti naturali possono essere aggiunti a vari alimenti con il doppio scopo di estenderne shelf life e qualità, e contemporaneamente poter vantare un claim salutistico verso i consumatori (sebbene tale materia in Europa sia regolamentata in maniera estremamente severa e restrittiva). Tra le varie sostanze antiossidanti presenti nei frutti, in genere i carotenoidi sono più concentrati nelle bucce, i composti fenolici nelle bucce e nei semi, mentre l’acido ascorbico è distribuito in maniera piuttosto uniforme. Tra i frutti tropicali più ricchi di antiossidanti vi sono avocado (oltre 500 mg/kg di composti fenolici nel seme, oltre 150 µg/kg di carotenoidi nella buccia), banana (quasi 50 mg/kg di composti fenolici nella buccia), guava (quasi 600 mg/kg di composti fenolici nella buccia e circa 1400 µg/kg di carotenoidi nella polpa ma questi ultimi riferiti al peso secco), jackfruit (quasi 200 µg/kg di carotenoidi nei semi e oltre 450 nella buccia), longan (6 mg/kg di acido ascorbico nella polpa), mango (ben 700 mg/kg di composti fenolici nella buccia, oltre 450 µg/kg di carotenoidi nella polpa), melograno (seppur non tropicale, questo frutto difficoltoso da consumare contiene ben 2,5 g/kg di composti fenolici nella buccia e oltre 1 g/kg di acido ascorbico nella polpa, quantità davvero ragguardevoli).
Antimicrobici: spesso le sostanze dotate di tale effetto sono contenute negli oli essenziali e hanno struttura chimica di tipo terpenico: numerosi studi scientifici provano l’efficacia antibatterica, antifungina, antivirale e antiprotozoaria di vari terpeni e terpenoidi (per esempio carvacrolo, eugenolo, cinnamaldeide, ecc.). Benché il loro meccanismo di azione non sia ancora del tutto chiaro, pare sia incentrato su danneggiamento e aumento di permeabilità della membrana dei microrganismi. Anche certi composti fenolici (per esempio acido caffeico e cinnamico) e altri antiossidanti hanno dimostrato un certo potere antimicrobico.
Aromatizzanti: i tessuti vegetali di molte piante tropicali contengono notevoli quantità di sostanze volatili aromatiche, basti pensare all’origine esotica di gran parte delle spezie. Spesso tali sostanze sono anch’esse di natura terpenica, molecole tipicamente dotate di spiccata volatilità (indispensabile per percepirne l’odore) e contenute in oli essenziali presenti in specifiche parti della pianta o del frutto, per es. la buccia. Questi aromatizzanti naturali hanno il vantaggio di avere pressoché sempre lo status di GRAS (generally recognized as safe), e di essere quindi utilizzabili negli alimenti senza particolari restrizioni.
Coloranti: ritroviamo varie sostanze già incontrate come antiossidanti, poiché sia i composti fenolici (tra cui flavonoidi, comprese le antocianine) che i carotenoidi sono spesso dotati di spiccati colori, in particolare nel range del violetto i primi, nel range dell’arancio i secondi. Queste molecole sono molto spesso concentrate soprattutto nelle bucce dei frutti. Durante la loro estrazione dagli scarti, sono importanti parametri quali pH e temperatura: si tratta infatti di molecole più sensibili e delicate rispetto ai coloranti artificiali, che possono subire viraggi di colore indesiderati a seconda dell’ambiente in cui si trovano.
Fibre: le fibre contenute nei frutti, compresi quelli tropicali, sono rappresentate soprattutto da cellulosa, fibra insolubile che può arrivare a rappresentare quasi l’80% del peso secco degli scarti. Vi è poi anche una quota di fibre solubili (particolarmente abbondanti per esempio nelle bucce di mango): mentre quelle insolubili sono soprattutto associate con una facilitazione del transito intestinale, quelle solubili sono associate ad altri effetti benefici quali la riduzione dei livelli di colesterolo. Pertanto anche nel caso delle fibre si è di fronte ad un doppio beneficio usandole come additivi, poiché si può avere sia un effetto texturizzante (per esempio addensante) che un effetto benefico per la salute dei consumatori. Le fibre possono essere vantaggiosamente addizionate, agendo anche come fat replacers e bulking agents, a prodotti da forno, lattiero-caseari, trasformati a base di carne, zuppe vegetali, ecc. Il metodo di estrazione (spesso preceduto da una prima fase di triturazione meccanica) utilizzato per ottenere le sostanze di interesse dagli scarti è importante, non solo dal punto di vista della resa e della qualità delle sostanze ottenute, ma anche per la sicurezza alimentare. Alcuni di questi processi sono stati di recente brevettati. L’estrazione con solventi organici (per esempio acetone, etile acetato ed etanolo), applicata soprattutto per ottenere molecole liposolubili quali gli oli essenziali, ha il doppio inconveniente di lasciare residui di solvente nell’estratto e di generare solventi esausti inquinanti e dal difficile smaltimento. Un metodo più costoso ma innovativo è l’estrazione con biossido di carbonio allo stato supercritico: con questa tecnica non si ha alcun residuo e si riescono ad ottenere estratti di ottima qualità, soprattutto nel caso di molecole delicate e/o volatili. Per separare ed estrarre invece le fibre (per esempio le pectine), spesso si utilizzano acidi minerali come cloridrico o nitrico. Per evitare una eccessiva estrazione di tannini (polifenoli dal gusto amaro e astringente), è appropriato effettuare una idrolisi acida o alcalina durante l’estrazione al fine di inattivarli. È infine importante considerare lo stato dei frutti dai cui scarti si estraggono le sostanze di interesse: i frutti al giusto stadio di maturazione contengono infatti quantità notevolmente maggiori rispetto a quelli acerbi, quantità che poi ricominciano a calare in frutti in via di deperimento o in scarti che non vengano lavorati subito.
Bibliografia
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