Amido, fattori implicati nelle dinamiche digestive e indici di digeribilità

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Figura 2: rappresentazione schematica dei cambiamenti che possono avvenire durante la fase di cottura e raffreddamento degli alimenti
Figura 2: rappresentazione schematica dei cambiamenti che possono avvenire durante la fase di cottura e raffreddamento degli alimenti

In particolare, l’indice glicemico, rappresentando la risposta glicemica all’ingestione di una quantità standard di carboidrati, è ritenuto un valido indicatore per classificare le fonti amidacee in base alla velocità e al grado di digestione. Di norma, maggiore è l’indice glicemico di un alimento e più elevata è la successiva risposta glucidica post-prandiale del soggetto. Passare quindi al consumo di fonti alimentari con moderati indici glicemici può avere importanti effetti positivi sullo stato di salute, nel controllo del rischio di malattie cardiocircolatorie e nella modulazione del senso di sazietà tra i pasti. Poiché la sua determinazione in vivo è costosa e laboriosa, l’impiego di metodiche in vitro può essere favorevole e facilmente applicabile su scala di laboratorio. A tal proposito, nel nostro Istituto è stata sviluppata e validata una metodica multi-enzimatica che, simulando le condizioni del tratto gastro-intestinale, consente di determinare l’indice glicemico degli alimenti (sia crudi che cotti) in modo rapido (180 minuti) e attendibile, ovviando a tutte le problematiche legate alla sua determinazione in vivo. Accanto alla determinazione dell’indice glicemico, anche la quantificazione del carico glicemico è di altrettanta importanza. Il carico glicemico è un parametro che stabilisce l’impatto sulla glicemia di un pasto glucidico in base al suo indice glicemico (misurato sia in vivo che in vitro) e alla quantità di amido (o carboidrati) contenuti nell’alimento test. Anche in questo caso, più alto è il valore di carico glicemico, maggiore è il conseguente innalzamento dei livelli glicemici e il rilascio di insulina nel sangue nel periodo post-prandiale. Parlando di indici legati alla digeribilità, va sicuramente ricordata la frazione dell’amido definita come amido resistente. L’amido resistente rappresenta “la somma dell’amido e dei prodotti della sua degradazione non assorbiti a livello del piccolo intestino da soggetti in salute”. Il suo contenuto varia in funzione del tipo di alimento, del tipo di amido e del tipo di trattamento termico, fattori che, come abbiamo già visto prima, sono direttamente implicati nel determinare il potenziale di digeribilità dell’amido. L’amido resistente negli alimenti è associato a bassi indici glicemici, contribuendo quindi al controllo della glicemica post-prandiale e alla prevenzione dell’insulino-resistenza. Il suo consumo può quindi avere importanti implicazioni nel controllo del diabete ed è associato a una diminuzione dei livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue. Anche in questo caso, l’impiego di metodiche in vitro potrebbe essere molto vantaggioso per la sua quantificazione. A oggi siamo in grado di quantificare tale frazione enzimaticamente (mediante una serie di attacchi enzimatici simulanti il tratto gastro-intestinale) come la frazione dell’amido non degradata dopo 120 minuti di incubazione. In questo modo, possiamo ottenere una stima attendibile di tale frazione, utile per lo sviluppo di particolari classi di alimenti dall’elevato valore salutistico e nutrizionale. Un altro indice d’importanza strategica è legato alla quantificazione della percentuale di amido gelatinizzato dopo trattamento termico. Spesso si da per scontato che l’azione termica migliori la digeribilità dell’amido tramite il processo di gelatinizzazione. Tuttavia tale relazione non è univoca poiché mediata da una serie di profonde trasformazioni strutturali e interazioni tra i vari substrati. In particolare, nei prodotti trattati termicamente (pasta, prodotti da forno dolci e salati, cereali per la prima colazione, ecc.) il grado di gelatinizzazione dell’amido è determinato da complesse interazioni tra le proprietà intrinseche delle materie prime e i parametri caratterizzanti il trattamento termico applicato. Tra i vari indici che possono essere utilizzati, ISAN ha sviluppato una metodica enzimatica che in 60 minuti di incubazione è in grado di fornire la percentuale di amido gelatinizzato nelle varie matrici alimentari. Tale dato è inoltre molto importante a livello di processo, poiché ci fornisce interessanti informazioni sui parametri tecnologi applicati all’alimento stesso.

Pane pugliese dÕAltamura, pagnotta  ALIPAN003BK04.eps

Considerazioni conclusive
La qualità dei prodotti amidacei, molto spesso considerata solo sotto il profilo merceologico e tecnologico, è in realtà un sistema molto complesso che deve considerare anche le caratteristiche fisico-chimiche dell’amido. Tali caratteristiche giocano un ruolo di primaria importanza sulla qualità dei prodotti trasformati, sui parametri di processo e sul potenziale di digestione degli alimenti, con grosse ripercussioni a livello salutistico. L’evoluzione di tutta la filiera dell’agro-alimentare, deve prevedere un moderno approccio nella valutazione degli alimenti mediante nuovi parametri metodologici e di caratterizzazione degli amidi come supporto per nuove scelte operative. Per questo una stretta collaborazione tra mondo accademico ed industriale è fondamentale, per integrare le conoscenze e garantire un innalzamento del livello di tecnologia. Tuttavia la standardizzazione di tali metodiche in vitro e la loro diffusione rimangono di fondamentale importanza per fornire strumenti di laboratorio utili per una rapida ed efficiente valutazione del valore nutrizionale, inteso come potenziale di degradabilità dell’amido, dei cereali da granella e dei prodotti da essi derivati.

Gianluca Giuberti*, Antonio Gallo, Francesco Masoero
Istituto di Scienze degli Alimenti e della Nutrizione (ISAN), Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali *gianluca.giuberti@unicatt.it