I cambiamenti climatici mettono a rischio la produzione di caffè

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Secondo l’UCS (Union of concerned scientists) i cambiamenti climatici stanno mettendo in pericolo la produzione di caffè in tutte le principali nazioni fornitrici. Si tratta di un problema che potrebbe avere un impatto profondo a livello globale dato che, secondo alcune stime, il mercato del caffè fornisce sostentamento a 25 milioni di famiglie in 60 paesi del mondo.

Gli scienziati dell’UCS, organizzazione nata nel 1969 ad opera di alcuni ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology), ritengono che gli eventi atmosferici che negli ultimi anni stanno flagellando molte delle più importanti aree a caffè non siano affatto casuali.

Le diverse varietà di caffè, spiegano, sono adattate alle specifiche zone climatiche in cui crescono e una variazione di temperatura anche solo si mezzo grado può avere un effetto disastroso sui raccolti sia perché limita la crescita delle piante, sia perché può favorire il proliferare di agenti patogeni.

I dati pubblicati dal dipartimento dell’agricoltura USA nel suo report “Coffee: World Markets and Trade” confermano questo quadro preoccupante: gli stati dell’America Centrale, ad esempio, stanno combattendo da tempo con un’epidemia di ruggine, una malattia causata da funghi patogeni che in passato non sopravvivevano al freddo delle montagne. In cinque anni, i raccolti sono calati da 19 a 15 milioni di sacchi.

Elevate temperature e prolungata siccità sono anche alla radice della contrazione registrata in Brasile, primo paese produttore di caffè al mondo, le cui piantagioni hanno toccato il minimo da sette anni. Anche l’Etiopia, quinto produttore mondiale e paese di nascita della varietà “arabica” ha visto ridurre la propria produzione a causa del riscaldamento atmosferico: secondo i dati FAO, dal 2002 al 2009 le piantagioni di caffè etiopi hanno perso quasi il 35%. In Indonesia, quarto posto nella produzione mondiale, sono invece le eccessive piogge in fase di fioritura che limiteranno la produzione di quest’anno di quasi il 3%.